Quella volta che un cucciolo di drago finì sui giornali
Vent'anni fa le foto di quello che sembrava un esemplare in barattolo e la strana testimonianza di uno scrittore inglese furono riprese da mezzo mondo, anche in Italia
Allo Story Museum di Oxford, un museo per famiglie dedicato a fiabe e racconti, in questi giorni è esposta la riproduzione di un piccolo drago sotto formaldeide che vent’anni fa finì sulle pagine dei giornali di mezzo mondo, anche in Italia. Attorno al ritrovamento di quello che sui giornali italiani fu definito «il bebè di un drago» o «un mostro alato», con allusioni spudorate all’ipotesi che potesse essere vero, lo scrittore inglese Allistair Mitchell aveva inventato tutta una storia, che di recente ha definito «una bufala nella bufala». Quando poi raccontò la verità, il Times la descrisse come «una delle trovate pubblicitarie di maggior successo da parte di un autore esordiente».
Al tempo Mitchell aveva 42 anni, gestiva una società di marketing e aveva scritto con lo pseudonimo di P.R. Moredun un libro per adulti e bambini chiamato Unearthly History, che si potrebbe tradurre come “Storia soprannaturale”. Nei primi anni Duemila il genere fantasy stava avendo enorme successo soprattutto grazie alle trasposizioni cinematografiche dell’universo del Signore degli Anelli e a quello di Harry Potter, diventati fenomeni culturali di massa: il suo manoscritto, in cui i draghi aiutavano gli esseri umani a salvare il mondo, era però stato respinto da tutti gli editori e gli agenti letterari a cui l’aveva proposto. Così, raccontò al Telegraph, «in sostanza creai la bufala per incuriosire potenziali lettori e cercare di promuovere il mio libro ancora prima che fosse pubblicato».
Mitchell commissionò la realizzazione del piccolo drago alla Crawley Creatures, un’azienda che si occupa di creare oggetti di scena e che tra le altre cose aveva collaborato con una serie della BBC dedicata ai dinosauri; il barattolo invece lo fece fare da un’azienda dell’isola di Wight. La riproduzione del drago era alta circa 30 centimetri, era di lattice e dotata tra le altre cose di piccoli denti, artigli e cordone ombelicale. Parlando proprio con la BBC, l’autore ha detto che i suoi amici ne erano rimasti sbalorditi, così chiamò un fotografo professionista per far scattare alcune foto.
Nell’ottobre del 2003 Mitchell raccontò la storia che si era inventato a un giornale di Oxford, la sua città, e nel giro di qualche mese la notizia fu intercettata dalla stampa nazionale. L’Evening Standard pubblicò un articolo un venerdì di fine gennaio del 2004 e «il sabato la storia era finita in tutto il mondo», ha raccontato Mitchell.
L’autore raccontò che il drago sotto formaldeide era stato creato attorno al 1890 da alcuni scienziati tedeschi che volevano farlo passare come vero e fare in modo che venisse esposto al Museo di storia naturale di Londra, in modo da poter poi umiliare e screditare la comunità scientifica inglese, con cui al tempo c’era una grande rivalità. Sempre secondo la sua storia, gli scienziati inglesi si erano resi conto che la creatura non era vera e non l’avevano mai esposta.
Ma la storia non finiva lì: il barattolo con il presunto cucciolo di drago era stato conservato segretamente da un custode del museo, per poi essere ritrovato cent’anni dopo dal nipote, David Hart. Per dare credibilità alla sua «bufala nella bufala» Mitchell comprò un taccuino di fine Ottocento per creare finti documenti sulla storia del drago; si presentò come amico di Hart e, oltre a tutta la storia che si era inventato, raccontò ai giornali che sarebbe stata fatta una biopsia per stabilire se il drago fosse vero oppure no.
Le immagini del drago sotto formaldeide furono pubblicate dalla Pravda in Russia al Sydney Morning Herald in Australia, spesso con toni sensazionalistici; lui fu intervistato in tv in Francia, in Germania e negli Stati Uniti. Nella sezione “Scienze” del Corriere della Sera fu pubblicato un articolo in cui si diceva che «la comunità scientifica britannica non crede[va] ai suoi occhi». La Stampa ne parlò come del «drago del mistero», citando l’ipotesi di un etologo secondo cui forse poteva essere composto da più parti di animali diversi. Entrambi, come tutti gli altri giornali, citavano la storia inventata da Mitchell.
«Non pensavo che la cosa sarebbe andata da nessuna parte, ma una volta che la storia si diffuse non riuscii a fermarmi», spiegò Mitchell al Times. Alla fine circa due mesi dopo confessò di essersi inventato tutto a un dirigente della Waterstones, la principale catena di librerie nel paese, con cui comunque raggiunse un accordo per l’acquisto e la promozione di 10mila copie del suo libro, pubblicato a sue spese. Sulla copertina c’era proprio un’immagine del drago sotto formaldeide, che peraltro fu esposto nel negozio di Waterstones a Piccadilly.
Parlando sempre con il Times, che rivendicò di essere stato l’unico giornale ad aver trovato delle contraddizioni nella vicenda, Mitchell disse che «da buon anglosassone» si sentiva «molto imbarazzato». A suo dire alcune persone «si arrabbiarono molto» nel sapere che tutta la faccenda era un imbroglio, perché si erano convinte che fosse la prova che i draghi esistevano davvero, e altre invece si sentirono sollevate.
Sempre secondo Mitchell la gran parte degli scienziati aveva dato attenzioni alla sua bufala più che altro per lo scherzo divertente che era: il pubblico adulto invece «ci aveva creduto di più di quanto ci crederebbe un bambino oggi».
Tra gli altri della vicenda si interessò anche il CICAP, l’organizzazione italiana che promuove il pensiero critico verso le pseudoscienze, che aveva da subito sostenuto e argomentato che non potesse essere vero. Tra le altre cose, scriveva proprio il CICAP, «non si capiva come mai il liquido nel barattolo fosse così limpido dopo oltre 100 anni che era lì e non si spiegava nemmeno come mai il drago non avesse attributi sessuali».
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