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  • Martedì 15 ottobre 2024

Cosa succederà ai migranti portati in Albania, in teoria

Una volta sbarcati dalla nave Libra finiranno in un "hotspot" e poi in una specie di centro di accoglienza, in attesa che venga sommariamente esaminata la loro richiesta d'asilo

Foto di due agenti di polizia all'ingresso del centro di prima accoglienza allestito a Shengjin, in Albania
Il centro di prima accoglienza allestito a Shengjin, in Albania (ANSA/Armand Mero)
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È previsto per mercoledì l’arrivo in Albania del primo gruppo di persone migranti che saranno trattenute nei discussi centri per richiedenti asilo voluti dal governo italiano, completati la settimana scorsa. I migranti sono attualmente a bordo della nave della Marina Militare italiana Libra. Sono 16 uomini egiziani e bangladesi, e col loro arrivo in Albania inizierà ufficialmente il nuovo sistema di gestione dei migranti in arrivo verso le coste italiane voluto fortemente dal governo di Giorgia Meloni.

Il sistema prevede che ogni mese alcune categorie di richiedenti asilo soccorsi in acque internazionali vengano fisicamente portate in Albania, in attesa che la loro richiesta d’asilo in Italia venga esaminata. Il governo ha detto che l’obiettivo è decongestionare i centri di accoglienza italiani – anche se in realtà in Albania verrà accolta soltanto una frazione dei migranti che arriveranno via mare in Italia – e scoraggiare altri migranti a cercare di raggiungere via mare l’Italia, anche se in realtà gli esperti di migrazione non ritengono che questa strategia possa funzionare (specialmente per chi ha viaggiato per mesi o anni prima di arrivare in Libia e imbarcarsi per l’Italia).

Per gestire la permanenza di migranti fuori dal territorio italiano, il governo di Meloni ha fatto un accordo col governo dell’Albania per poter costruire una serie di strutture in territorio albanese, interamente finanziate dal governo italiano, che finora ha stanziato 65 milioni di euro (dal 2025 i costi di gestione dovrebbero aumentare, aggirandosi attorno ai 120 milioni di euro all’anno).

Il protocollo operativo del governo riguarda soltanto i migranti soccorsi nel Mediterraneo centrale dalle autorità italiane, quindi dalla Guardia Costiera o dalla Guardia di Finanza: quelli soccorsi dalle navi delle ong sono esclusi da questa trafila (probabilmente per evitare conflitti con gli stati di bandiera delle varie navi). Un primo esame dei migranti soccorsi, delle loro condizioni e della loro provenienza dovrebbe essere effettuato già a bordo delle navi della Guardia Costiera o della Guardia di Finanza.

I migranti soccorsi poi saranno trasferiti a bordo di una seconda imbarcazione, cioè la Libra, la nave della Marina Militare italiana, posizionata circa 37 chilometri a sud di Lampedusa. La Libra stazionerà nella zona SAR italiana, cioè nel tratto di mare in cui l’Italia si impegna a garantire un servizio di ricerca e soccorso, nell’angolo più vicino possibile alle coste della Tunisia e della Libia, i due paesi da dove partono le imbarcazioni di migranti dirette in Italia.

A bordo della Libra dovrebbe avvenire un secondo esame dei migranti soccorsi, e l’effettiva selezione di quelli che dovranno essere portati in Albania, e di quelli che invece potranno sbarcare in Italia, cioè a Lampedusa. Contattato dal Post, il ministero dell’Interno ha detto di non potere prevedere come verranno gestiti i migranti provenienti da paesi cosiddetti sicuri nei giorni in cui la Libra sarà in viaggio verso l’Albania.

Il protocollo prevede che vengano portate a Lampedusa e inserite nel circuito di accoglienza italiano donne, bambini, famiglie e persone con evidenti fragilità. Dovranno invece essere portati in Albania i migranti uomini che siano adulti, ritenuti non vulnerabili, e provenienti da “paesi sicuri”, paesi cioè in cui secondo il governo italiano vengono rispettati l’ordinamento democratico e i diritti delle persone. È una classificazione controversa, dato che diversi paesi che l’Italia considera “sicuri” non hanno ordinamenti democratici né rispettano effettivamente i diritti umani, e di recente messa in discussione da una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Una volta arrivati in Albania i migranti verranno fatti scendere dalla nave e accompagnati in una prima struttura, nel porto di Shengjin, una città di mare a circa un’ora dalla capitale Tirana: qui verranno fatte le procedure di sbarco e identificazione che normalmente avverrebbero subito dopo lo sbarco in Italia, nei cosiddetti hotspot. La struttura per le procedure di identificazione si trova proprio a pochi metri dal pontile per l’attracco della nave, è gestita dalla Polizia di Stato italiana e comprende servizi igienici, di soccorso medico, di recupero di eventuali corpi e uno sportello di assistenza per i migranti.

Dopo le procedure di identificazione, i migranti verranno trasportati a Gjader, una frazione del comune di Lezhë nell’entroterra del paese: lì ci sono altre due strutture, un centro di prima accoglienza per i migranti che chiederanno asilo, da 880 posti; e un Centro di permanenza e rimpatrio (CPR) da 144 posti, dove finiranno i migranti la cui richiesta di asilo verrà respinta, in attesa che siano rimpatriati. I CPR sono di fatto centri di detenzione per stranieri che non hanno i documenti per stare in Italia; di norma sono fatiscenti, abbandonati a se stessi e le violazioni dei diritti umani sono sistematiche. Sia l’hotspot di Shengjin che le due strutture a Gjader saranno gestite interamente dalle autorità italiane.

C’è anche un carcere, organizzato per ospitare un massimo di 20 detenuti, nel caso in cui qualche migrante dovesse essere messo in custodia cautelare mentre è trattenuto nei centri.

Le procedure relative all’autorizzazione della detenzione amministrativa e all’esame delle domande di protezione internazionale devono essere svolte dalle autorità italiane: la questura di Roma dovrebbe emettere i decreti di trattenimento amministrativo dei migranti sbarcati in Albania, che poi dovrebbero essere convalidati dalla 18esima sezione del tribunale civile di Roma, quella competente sull’immigrazione. Sempre secondo il protocollo le richieste d’asilo dovranno essere esaminate entro 28 giorni: è la cosiddetta “procedura accelerata” che il governo applica dal 2023 per chi proviene da paesi che considera sicuri. Gli esperti di migrazione hanno da mesi seri dubbi sul fatto che in un mese si possa verificare la reale condizione di una persona e del contesto da cui scappa.

In caso di rifiuto della domanda i migranti dovrebbero essere rimpatriati, ma non è chiaro come questo succederà: non si sa per esempio se potranno partire direttamente dall’Albania, oppure se prima debbano tornare in Italia. In ogni caso, è difficile che le cose funzionino sempre come previsto: il meccanismo dei rimpatri è notoriamente poco efficiente, e ci sono molti dubbi sul fatto che tutte le domande di asilo possano essere esaminate entro 28 giorni, soprattutto nel periodo estivo quando i flussi migratori diventano più intensi.