Il Premio Nobel per l’Economia a Daron Acemoglu, Simon Johnson e James A. Robinson
Per i loro «studi su come le istituzioni si formano e impattano sulla prosperità» delle nazioni
Il Premio Nobel per l’Economia 2024 è stato assegnato a Daron Acemoglu, Simon Johnson, entrambi dell’MIT di Boston, e a James A. Robinson, dell’Università di Chicago, per i loro «studi su come le istituzioni si formano e impattano sulla prosperità» delle nazioni.
I tre economisti hanno dimostrato che una buona parte della differenza nella ricchezza e nello sviluppo degli stati dipende da come funzionano le istituzioni. Società con uno scarso stato di diritto e istituzioni fragili non riescono a generare crescita e cambiamento, e i loro studi – sia empirici che teorici – sono in gran parte volti a capire perché questo avvenga.
Acemoglu è uno degli economisti più citati nella ricerca scientifica degli ultimi anni su questi temi, e il suo lavoro è un punto di riferimento per tutta l’economia dello sviluppo. Ha condotto studi con entrambi gli altri due economisti premiati e i libri che ha scritto, Perché le nazioni falliscono nel 2012 con Robinson e Potere e progresso nel 2023 con Johnson, sono stati oggetto di grande attenzione anche fuori dagli ambienti accademici.
I tre studiosi hanno dimostrato il grande ruolo che le istituzioni hanno nel formare i presupposti per la prosperità degli stati, che spiega evidentemente gran parte della differenza tra il blocco dei paesi avanzati e quello dei paesi in via di sviluppo. Hanno cioè dimostrato la causalità del fenomeno: non solo le istituzioni sono più carenti nei paesi più poveri, ma i paesi sono più poveri proprio perché le istituzioni sono più carenti.
In un loro lavoro hanno analizzato la città di Nogales, al confine tra Stati Uniti e Messico: nella parte nord – che è dentro il territorio statunitense, in Arizona – gli abitanti hanno un buon tenore e un’alta aspettativa di vita, generalmente una buona istruzione, e godono di un ambiente tutto sommato sicuro e libero; la parte a sud invece si trova già in Messico e, sebbene lì il tenore di vita sia comunque leggermente superiore di quello medio del paese, le condizioni di vita degli abitanti sono peggiori di quelle oltre il confine, per minori opportunità economiche e un generalizzato sistema di corruzione e criminalità. Gli abitanti godono dello stesso clima, mangiano lo stesso cibo, e sono molto simili anche a livello culturale: ciò che cambia è l’apparato istituzionale, che da un lato è regolato in maniera democratica e dall’altro invece meno.
I loro studi hanno anche consentito di spiegare le differenze tra le singole nazioni povere. Per farlo hanno analizzato la colonizzazione da parte dei paesi europei nelle diverse aree del mondo a partire dal sedicesimo secolo, quando contribuì a creare condizioni di partenza e sviluppo significativamente eterogenee. La loro ricerca mostra che il sistema politico ed economico imposto dai coloni, o quello esistente che scelsero di mantenere, ha portato in certi casi a un capovolgimento delle sorti: i paesi che prima della colonizzazione erano più ricchi ora sono tra i più poveri.
I tre studiosi sono noti anche per aver creato un modello teorico che oggi è un riferimento nel campo, e che divide le istituzioni in “inclusive” ed “estrattive”: quelle “inclusive” basano la loro esistenza sulla partecipazione degli abitanti stessi, incentivano la libera iniziativa economica e proteggono lo stato di diritto; in quelle “estrattive” lo stato ha diversi monopoli, cioè è responsabile del funzionamento e delle decisioni di buona parte del sistema economico, che usa per mantenere il potere sugli abitanti, che vengono sostanzialmente sfruttati. Nelle istituzioni “inclusive” c’è il rispetto della proprietà privata, un sistema giuridico sopra le parti ed è garantito a tutti l’accesso alle stesse opportunità e ai medesimi servizi. Questo non succede nelle istituzioni “estrattive”, dove il potere è totalmente in mano a un gruppo ristretto di persone, che ne approfitta per arricchirsi.
I paesi più prosperi sono quelli dove ci sono istituzioni “inclusive”, al contrario sono più poveri dove sono di tipo “estrattivo”.
Secondo il loro modello è molto difficile uscire da quello che chiamano “la trappola delle istituzioni estrattive”, perché queste riescono a stare in piedi grazie al fatto che la popolazione non ha fiducia nella sua classe politica e nelle sue promesse, e dunque non ha alcuna speranza che le cose potranno mai cambiare. Finché il sistema politico avvantaggia le élite, la popolazione non crederà mai che le istituzioni avranno mai un ruolo per migliorare la vita della società. Allo stesso tempo, finché le élite crederanno che un nuovo sistema toglierà loro tutti i privilegi non saranno mai incentivate a cambiare. Si crea dunque uno stallo e un disincentivo al cambiamento, in cui il paese resta povero, disuguale e corrotto.
Daron Acemoglu è nato a Istanbul, in Turchia, ha 57 anni ed era da tempo che la comunità accademica si attendeva un Nobel per il suo lavoro. Ha studiato economia prima all’Università di York e poi alla London School of Economics, dove ha conseguito il dottorato. Nel 1993 si è trasferito al MIT, il prestigioso Massachusetts Institute of Technology di Boston, dove a soli 33 anni è diventato professore ordinario.
Simon Johnson è nato a Sheffield, nel Regno Unito, ha 61 anni e ha studiato economia all’Università di Oxford. Ha conseguito il dottorato al MIT, dove poi ha iniziato a insegnare. È stato capoeconomista del Fondo Monetario Internazionale tra il 2007 e il 2008.
Anche James A. Robinson è nato nel Regno Unito, ha 64 anni e ha studiato alla London School of Economics, all’Università di Warwick e ha ottenuto il dottorato a Yale. Attualmente insegna all’Università di Chicago, ma ha insegnato per oltre 10 anni all’Università di Harvard e a quella di Berkeley.
L’importante riconoscimento è stato assegnato ai tre economisti dalla Commissione dei Nobel a Stoccolma, in Svezia: non è tecnicamente un Nobel come gli altri, pur essendo altrettanto prestigioso nel suo campo, ma un premio della Banca di Svezia per le scienze economiche dedicato alla memoria di Alfred Nobel, il chimico e filantropo svedese che, oltre alla dinamite, inventò i premi che portano il suo nome.
Il Nobel per l’Economia dello scorso anno era stato assegnato all’economista Claudia Goldin, professoressa statunitense di Harvard di 77 anni, per aver realizzato il primo ampio studio sull’evoluzione della partecipazione delle donne al mercato del lavoro nel corso dei secoli, spaziando dai livelli occupazionali alla loro retribuzione.