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  • Domenica 13 ottobre 2024

In Libano più di un milione di persone ha dovuto lasciare la propria casa

Gli sfollati sono più dell'ultima volta che Israele invase il paese nel 2006, e sabato sera l'esercito ha ordinato nuove evacuazioni

Gli abitanti di un palazzo colpito da un bombardamento israeliano recuperano un passeggino, a Beirut il 12 ottobre
Gli abitanti di un palazzo colpito da un bombardamento israeliano recuperano un passeggino, a Beirut il 12 ottobre (AP Photo/Hassan Ammar)

Il governo libanese ha stimato che 1,2 milioni di persone hanno dovuto lasciare la loro casa da fine settembre, quando gli attacchi israeliani si sono intensificati e hanno poi portato a un’invasione via terra nel sud del paese. Da allora l’esercito israeliano ha esteso gli ordini di evacuazione più volte: sabato lo ha fatto per gli abitanti di 23 piccoli centri urbani, ordinando agli abitanti che erano rimasti di andare a nord del fiume Awali.

Per un paese che era già in crisi prima della guerra, la gestione di così tanti sfollati è un grosso problema.

L’esercito israeliano ha motivato le nuove evacuazioni dicendo che servono a proteggere le persone in previsione di altri attacchi contro Hezbollah, il gruppo politico e militare alleato di Hamas e sostenuto dall’Iran. Sabato Hezbollah ha lanciato circa 320 razzi e droni sul nord di Israele e nel tardo pomeriggio l’esercito ha dichiarato zone militari, interdette ai civili, cinque aree al confine con il Libano, attorno ai villaggi israeliani di Zar’it, Shomera, Shtula, Netua ed Even Menachem.

È possibile che ciò preceda nuove operazioni militari o l’intensificarsi dei combattimenti con Hezbollah. Il governo israeliano ha sempre sostenuto che gli attacchi a nord servono a mettere in sicurezza quella parte di paese e a consentire il ritorno ai più di 60mila israeliani che l’hanno lasciata nell’ultimo anno, da quando Hezbollah ha aumentato il lancio di razzi in risposta all’invasione israeliana della Striscia di Gaza.

Un edificio colpito da un bombardamento israeliano a Barja, a sud di Beirut, il 12 ottobre

Un edificio colpito da un bombardamento israeliano a Barja, a sud di Beirut, il 12 ottobre (AP Photo/Mohammed Zaatari)

Sabato gli attacchi israeliani in Libano hanno ucciso almeno 15 persone, al di fuori dalle aree controllate da Hezbollah. Il ministero della Salute libanese ha detto inoltre che cinque ospedali sono stati danneggiati dai bombardamenti.

L’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) ha stimato che in Libano ci siano più sfollati che nel 2006, l’ultima volta che Israele invase il paese, quando furono circa un milione. Già prima della guerra, come detto, la situazione in Libano era molto difficile: più di 3,7 milioni di persone avevano bisogno di assistenza umanitaria, su una popolazione di quasi 5 milioni e mezzo di persone.

Fin dall’inizio non ci sono state strutture adatte ad accogliere gli sfollati. Una parte di loro si è rivolta a parenti e conoscenti, che in diversi casi hanno a loro volta dovuto lasciare casa propria nei giorni successivi. Molti centri per i rifugiati in realtà sono scuole in cui non si fa più lezione. Mancavano – e mancano ancora, ma l’intervento delle ong locali e internazionali ha migliorato un po’ la situazione – servizi di base. C’è carenza di letti, bagni funzionanti, forniture per l’igiene personale.

Oltre agli 1,2 milioni di sfollati interni, l’ONU ha calcolato che tra le 200mila e le 300mila persone siano fuggite in Siria, un paese governato da un regime autoritario e, dunque, insicuro. In Libano, peraltro, si erano rifugiati 1,5 milioni di siriani che erano fuggiti dalla guerra nel loro paese.

Venerdì nella base di Naqura era stato ferito un altro soldato dell’UNIFIL, la missione ONU nel sud del Libano. Nei giorni precedenti due altri soldati e due operatori erano stati feriti da attacchi israeliani che avevano colpito le strutture dell’UNIFIL. Sabato 40 paesi che partecipano alla missione hanno diffuso una dichiarazione congiunta in cui dicono che «queste azioni devono cessare immediatamente e devono essere adeguatamente investigate».

Anche il segretario della Difesa statunitense, Lloyd Austin, ha espresso «grande preoccupazione» in una telefonata al ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant. L’amministrazione statunitense, a partire dal presidente Joe Biden, non è però quasi mai riuscita a farsi ascoltare dal governo del primo ministro Benjamin Netanyahu.

– Leggi anche: Che cos’è la missione UNIFIL