Southgate, Michigan, Usa, aprile 2024 (Gregory Shamus/Getty Images)

Effetto ,99

«Come per le barzellette, i miti e i proverbi è impossibile dire a chi sia venuta l'idea, se a un bottegaio americano che non voleva farsi fregare i soldi dal suo commesso o al commesso di un grande magazzino di Philadephia che voleva fare uno scherzo o spingere le vendite. L’essenziale è che qualcuno scoprì che si vendevano e si vendono più facilmente i prodotti se il prezzo finisce con 9 o ,90 o ,99 che quelli con il pezzo a cifra tonda. Anche il ,95 finale ha il suo successo. Non si tratta di sconti, che funzionano con una logica inversa e sono sempre a cifra tonda (-30%, -50%, -70% e così via) perché come nelle svendite, i sales, i saldi, gli sconti di fine stagione, la riduzione deve apparire vistosa, rotonda e sbalorditiva»

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Ho fatto il commerciante per cinquant’anni e in cinquant’anni non mi è venuto mai in mente di ridurre il prezzo a virgola novantanove. Se il conto era – mettiamo – 227,00 euro per prevenire la richiesta di sconto (abbastanza frequente) facevo cifra tonda a 200,00, non a 199,99. È vero, il mio settore merceologico si basa sulla conoscenza personale e sulla trattativa diretta con il cliente e quindi non prevede il ,99 effect, l’effetto ,99, come lo chiamano gli esperti di pricing o charm pricing (entrambi intraducibili).

Chi cerca clienti sconosciuti, invece, come un pescatore in riva al fiume, scrive cartelli sempre più vistosi che finiscono quasi sempre per ,99 o simili per far abboccare chi è di passaggio. E in effetti una volta ho ceduto anche io. Quando mi è capitato di dover vedere se un nuovo prodotto “da banco” era adatto per il pubblico che passava dalle mie parti, ho scritto sulla vetrina a caratteri piuttosto vistosi «0,95 euro cad.» e «9,5 euro scatola da dieci». Funzionò. Funzionava. Funziona.

Cecchetto, negozio di prodotti per bambini di Mestre, vende un passeggino a 399 euro, ma scrive anche in lingua bengali, perché i bengalesi fanno più figli degli italiani. Mestre, Venezia, 29 marzo 2024. (Ansa/Andrea Merola)

Nessuno ci fa più caso e trova normale questo ripetersi di virgola novantanove. Chi decide il prezzo lo fa di default (definizione da brivido), chi lo subisce è disarmato. E difatti lamentarsi o farlo notare è una battaglia persa. Però la storia è interessante, o almeno lo sono entrambe le sue versioni. Nel primo caso sarebbe andata così. Chissà esattamente quando (comunque almeno cent’anni fa) e chissà esattamente dove (ma in casi come questi si pensa facilmente agli Stati Uniti).

Un bottegaio – di solito è del Midwest – che doveva allontanarsi per i fatti suoi e aveva lasciato il negozio nelle mani di un commesso (o della moglie, o di un figlio o di un nipote), aveva cominciato a sospettare che durante la sua assenza le vendite non fossero in linea con le sue aspettative, paragonate ai giorni in cui era presente. Si era convinto che qualche dollaro o decina di dollari fossero finiti non nella cassa ma direttamente in tasca. Non nella sua però. Probabilmente al momento del pagamento il suo vice si era preso i soldi senza nemmeno aprire il cassetto.

E così al bottegaio venne in mente che togliendo un centesimo dal prezzo del prodotto, avrebbe obbligato il suo sostituto a digitare l’importo, ad aprire la cassa con il classico dliing e a dare il piccolo resto al cliente, dirigendo i dollari dove voleva che andassero. L’effetto ,99 non sarebbe nato come espediente di marketing per far credere in un prezzo più basso e vantaggioso di quello con la cifra piena – 49,99$ invece di 50,00$, mettiamo – ma come un pretesto per difendersi dai furti dei collaboratori infedeli. Sarà.

Secondo la seconda versione della storia, invece, il ,99 effect sarebbe stato sperimentato per la prima volta a fine ‘800 – sempre negli Stati Uniti, a Philadelphia – in un grande magazzino che richiamava le clienti con un annuncio stampato in vetrina che reclamizzava un abito per signora da 0,99$. Potrebbe essere stato un commesso in vena di scherzi o un geniale precursore. Sta di fatto che l’abito ebbe un successo di vendite clamoroso (ma nessuno pensò – e chissà se si sarebbe potuto – di brevettare l’idea che avrebbe dominato il marketing e le vite di tutti, venditori e clienti nei secoli a venire).

Come per le barzellette, i miti e i proverbi, che non hanno certificati di nascita, è impossibile trovare fonti o prove documentate, anche perché c’è sempre chi nella trasmissione (o traduzione) aggiunge o toglie qualcosa alla storia. L’essenziale è che qualcuno scoprì che si vendevano e si vendono più facilmente i prodotti se il prezzo finisce con 9 o ,90 o ,99 che quelli con il pezzo a cifra tonda. Anche il ,95 finale ha il suo successo. Non si tratta di sconti, che funzionano con una logica inversa e sono sempre a cifra tonda (-30%, -50%, -70% e così via) perché come nelle svendite, i sales, i saldi, gli sconti di fine stagione, la riduzione deve apparire vistosa, rotonda e sbalorditiva.

San Francisco, California, Usa, 2 marzo 2014 (Justin Sullivan/Getty Images)

Non è un tema nuovo per gli studiosi di pricing (intraducibile). Sono passati molti anni dalle prime ricerche (classicamente americane) sull’effetto e sul riscontro di maggiori vendite con questa così diffusa strategia di neuromarketing.  Gli occhi del consumatore (che sono poi videoantenne del cervello) preferiscono concentrarsi e memorizzare la parte del prezzo a sinistra della virgola, quindi i numeri interi, piuttosto che i decimali a destra della virgola. L’occhio-cervello guarda il “grosso” del prezzo e gli sfugge o tiene in poco conto il resto: il numero 999,99 gli sembra molto inferiore a 1000,00, certamente molto più basso di un centomillesimo. E così gli appare il prezzo.

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Funziona per ogni tipo di merce, dalle caramelle ai telefonini, dalle scarpe ai televisori, alle ville con piscina, ai divani da 699,00 ripetuti mille volte negli spot televisivi; ho trovato biglietti della Scala che partono – più eleganti – da 96,00 euro; ci sono abbonamenti a Sky e Netflix che costano 14,90 al mese, mentre il Post, per differenziarsi, propone 8 euro/mese o 80 per tutto l’anno confidando nel fatto che i lettori sappiano che i mesi sono 12 e siano in grado di vedere all’istante lo sconto di ben 16 euro sui 96,00 euro all’anno calcolati su base mensile.

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Ci sono però casi (molto rari) in cui il prezzo pieno “deve” sembrare più alto per conferire esclusività e superiorità al prodotto. Ma sono veramente eccezioni. Le borse Vuitton, per esempio, hanno quasi tutte un prezzo pieno o comunque che quasi mai contiene il 9. Non così Hermès. Un concessionario Ferrari propone la 296 GTB a partire da 289.830 euro. Chissà che ragionamento sta dietro quei 30 euro finali.

Il ,99 effect si applica anche sulle percentuali che la banca o il mediatore che gestisce il P.O.S. (Point Of Sale) prendono sulle vendite con carta di credito o bancomat. Le ultime proposte di intermediazione sulla piazza di Milano praticate da una multinazionale con sede in Irlanda prevedono commissioni dello 0,79%. Il 9 non manca.

Come è noto, commercianti e tassisti appaiono spesso seccati per le commissioni bancarie, ma non citano mai i vantaggi: le carte di credito azzerano la sventura di rapine o furti (interni o esterni), la seccatura di contare i soldi a fine giornata e di andare in banca per il versamento, fanno spendere ai clienti soldi che non hanno con sé, quindi di più – la carta di credito “nera” dell’American Express ha una lamina metallica per pesare di più delle normali carte di credito di plastica e già a maneggiarla comunica fisicamente lo status economico di chi la esibisce. Non so se passa ai metal detector degli aeroporti. Questi soldi finiscono direttamente sul conto corrente bancario del commerciante e nessun altro può infilarseli in tasca.

Eppure i commercianti si lamentano lo stesso. Qualche anno fa, in una nota località turistica (non specifico del napoletano per evitare il luogo comune), in una classica bottega per turisti ho cercato di comprare “artigianato locale” (magari cinese) per un centinaio di euro (99,99) ma il proprietario (o quello che io credevo fosse il proprietario) mi disse che non accettavano carte di credito ma solo contanti. Molto strano. Chiesi al bar di fianco come fosse possibile che un’attività esclusivamente turistica non prendesse carte di credito e il titolare mi fece capire che se il pagamento fosse stato elettronico, il commerciante quei soldi non li avrebbe mai visti sia perché il conto bancario non era intestato a lui ma al cognato sia perché era in debito con la banca e quindi neanche il cognato li avrebbe visti. Per dire.

Il tema della “negoziazione” nelle transazioni commerciali si perde nella notte dei tempi. Proverbialmente nelle contrattazioni eccellono gli arabi (a cui dobbiamo come è noto anche i numeri) che ne fanno un rito imprescindibile. Ma lo sconto è possibile nei negozi sotto casa a conduzione familiare, quelli dove sei tu, se ne hai il coraggio, a chiedere lo sconto; non nel grande magazzino. Nella grande distribuzione e online non esiste proprio che il consumatore chieda lo sconto, ma è il prezzo a essere o apparire già scontato. E comunque non si discute.

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Nessuno penserebbe di metterlo in discussione con un cassiere di supermercato, il giornalaio o su Amazon. E invece magari con il gommista sì. Con il fioraio magari ci provi e funziona, quasi sempre. Capiamo che c’è un margine di trattativa. Sappiamo che chi vende ha pagato molto meno quello che ci sta proponendo. E chi compra?

Nei miei anni da commerciante ho individuato alcune tipologie di clienti che chiedono lo sconto. Chi lo chiede prima del conto non è molto saggio («Che sconto mi fa?») perché potrebbe essere destinato a farsi redigere un conto più alto del previsto. Ci sono quelli che si vergognano a chiedere e pagano senza batter ciglio. Quelli che presumono, dato il loro rapporto amichevole con il commerciante, di aver già ottenuto un trattamento di favore e ringraziano a prescindere. Quelli a cui chiedi 500 euro e te ne schiaffano in mano 300 in contanti stringendoti il pugno e aggiungendo ammiccanti: «Non mi serve lo scontrino. Mettili in tasca». E ti danno del tu anche se non ti hanno mai visto.

Sta di fatto che dal medico (ma anche in farmacia o dal notaio o al ristorante) nessuno chiede lo sconto e i conti non finiscono mai per ,99. E men che meno in taxi. Una volta di norma la cifra segnata dal tassametro si arrotondava all’insù, per dare il resto di mancia. Ora succede di rado e con i pagamenti elettronici o automatici mai. Se ti capita un prezzo in virgola novantanove, il tuo centesimo non lo vedi più. Le macchine non rendono il dovuto resto di un cent, non ce l’hanno. Proprio come quel cent coniato anni fa dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato in onore di Donald Duck o zio Paperone: è una moneta a serie a tiratura limitata CS2 n. 09794, lega speciale in bronzo, che è in vendita su Internet (esaurita) al prezzo di 39,99.

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