Il recupero della cabina della funivia del Mottarone (Claudio Furlan/LaPresse

I tempi del processo per la strage del Mottarone si allungano

Il tribunale di Verbania ha chiesto alla procura di modificare alcune accuse dell’inchiesta sulla caduta della funivia che causò la morte di 14 persone

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La giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Verbania, Rosa Maria Fornelli, ha restituito il fascicolo d’indagine sull’incidente alla funivia del Mottarone avvenuto il 23 maggio 2021 quando una cabina della funivia che collega la città di Stresa con il monte Mottarone, sulla sponda piemontese del lago Maggiore, cadde uccidendo 14 dei 15 passeggeri a bordo. La procedura ora prevede che la procura debba fare una seconda richiesta di rinvio a giudizio, di fatto ricominciando il processo da capo.

Prima dell’estate la giudice aveva già chiesto alla procura alcune modifiche ai capi di imputazione sulla base di alcune nuove norme contenute nella riforma Cartabia. In particolare aveva chiesto l’esclusione dei reati relativi alla sicurezza sul lavoro. La procura si era però rifiutata di modificare i capi di accusa per non indebolire l’inchiesta: secondo il pubblico ministero infatti l’incidente fu causato dai mancati controlli agli impianti, un reato che con le modifiche chieste dalla giudice rischia di avere una considerazione più marginale nel processo.

Secondo le ricostruzioni la cabina cadde perché si spezzò la fune traente dell’impianto, cioè il cavo che fa muovere la cabina. Il freno d’emergenza, che avrebbe dovuto entrare in funzione, non si attivò. La cabina acquistò sempre maggiore velocità e quando incrociò uno dei piloni del tracciato si sganciò dalla fune portante e si schiantò al suolo dopo una caduta di venti metri, rotolando poi lungo il pendio fino a fermarsi contro alcuni alberi.

Secondo una perizia ordinata in seguito dalla procura di Varese l’incidente fu provocato da un guasto al sistema frenante, ma anche dall’usura della fune dovuta alla mancanza di manutenzione e controlli. Questo provò che la strage non fu accidentale, ma causata da una gestione negligente dell’impianto.

Durante i primi interrogatori il capo degli operai della funivia, Gabriele Tadini, ammise di avere inserito dei “forchettoni”, strumenti che servono a bloccare il freno di emergenza, perché il sistema frenante non funzionava bene e faceva spesso fermare la funivia durante il percorso. Tadini fece anche i nomi di chi era a conoscenza della cosa. Se i freni fossero entrati in funzione, anche dopo la rottura della fune, la cabina si sarebbe fermata quasi subito e non sarebbe corsa all’indietro per poi precipitare.

Lo scorso 18 giugno la procura aveva chiuso le indagini e chiesto di rinviare a giudizio sette persone: Luigi Nerini, il titolare della società che gestiva l’impianto di risalita di Stresa, il caposervizio Gabriele Tadini, il direttore d’esercizio Enrico Perocchio, Martin Leitner, vicepresidente dell’azienda Leitner, Peter Rabanser, responsabile del customer service della Leitner, e per le due società Ferrovie del Mottarone e Leitner. Erano accusati a vario titolo di attentato alla sicurezza dei trasporti, rimozione o omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni colpose gravissime e falso.

Lo scorso febbraio il tribunale di Verbania aveva riconosciuto un risarcimento di 3 milioni di euro a Eitan Biran, il bambino di 9 anni unico sopravvissuto all’incidente. Con l’accordo fra i legali di Biran, Leitner e Ferrovie del Mottarone, la società che aveva in gestione l’impianto, si era chiusa la parte dei processi che riguarda i risarcimenti spettanti alle vittime.

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