Il film più influente per il vegetarianismo
Lo è diventato l’horror “Non aprite quella porta”, uscito l’11 ottobre di cinquant’anni fa: all’inizio però fu notato più per altre cose
Nei 50 anni che sono passati dalla sua uscita nei cinema statunitensi l’11 ottobre del 1974, il film horror Non aprite quella porta (in originale The Texas Chain Saw Massacre, ovvero “il massacro della motosega nel Texas”) è diventato uno dei film più influenti per il suo genere, condizionando tutti i film horror venuti dopo. La conseguenza meno prevedibile del suo successo e della sua longevità, però, è stato il ruolo che ha avuto nella diffusione della cultura vegetariana, e più in generale nella crescente condanna dell’alimentazione basata sulla carne animale. Non aprite quella porta è ad oggi il più importante e influente film in questo senso, il più citato dalle principali associazioni come la PETA, che difendono i diritti degli animali, e quello più menzionato quando si parla di film che hanno convinto le persone a diventare vegetariane o da mostrare per convincerne di nuove.
La trama racconta di un gruppo di ragazzi che viaggiano attraverso il Texas su un pulmino per andare a controllare cosa sia successo alla lapide del nonno di alcuni di loro, dopo che un gruppo di teppisti ha vandalizzato il cimitero. Durante il viaggio nelle parti più isolate e disabitate dello stato, caricano un autostoppista che rivela un’ossessione per l’omicidio e poi, visitando la vecchia abitazione dei nonni, si spingono uno a uno, per curiosità, fino alla casa accanto. Lì trovano una famiglia di cannibali e vengono assaliti da uno di questi, che indossa una pelle di cuoio sul volto e li uccide in sequenza. Solo una ragazza, dopo essere stata tenuta in casa e poi essere fuggita nella notte, riesce a salvarsi. A differenza di quanto si possa immaginare, Non aprite quella porta non è molto efferato e si vede poca violenza effettiva; la componente spaventosa e (all’epoca) respingente non viene dall’esibizione di sangue ma dal clima di abiezione morale che si respira e dal terrore di ciò che è suggerito. Nulla si vede, tutto si immagina.
All’epoca della sua uscita, Non aprite quella porta non fu considerato come un film che, tra le righe, promuovesse la cultura vegetariana. Il suo regista però, Tobe Hooper, negli anni successivi ha cavalcato molto questa lettura, affermando che fosse una delle sue intenzioni: «Ho smesso di mangiare carne mentre giravo il film. In un certo senso mi sembrava che il cuore fosse proprio la carne: parla della catena della vita e dell’uccidere esseri senzienti, e poi c’è il cannibalismo. Ma è tutto implicito, devi arrivare alle conclusioni da solo».
In realtà, se visto con uno sguardo contemporaneo e consapevole dell’influenza che poi ha avuto, è impossibile non notare quanto il film faccia per associare il consumo di carne di animale all’idea di omicidio. Già mentre i ragazzi sono in viaggio, quando caricano l’autostoppista, viene introdotta l’informazione che in quelle zone c’era stato un grande macello poi chiuso per la crisi economica, lasciando molte delle persone che lavoravano lì disoccupate. In quelle scene è spiegato per filo e per segno (con orrore dei protagonisti) come venissero uccisi gli animali, cioè le tecniche con le quali in seguito saranno uccisi i protagonisti. Una ragazza dice anche: «È orribile. Non si dovrebbero uccidere gli animali per mangiarli». Oltre a questo la casa della famiglia di cannibali e la famiglia stessa sono presentati come ex macellai di quell’impianto, che hanno poi trasformato parte della loro abitazione in un macello per umani. Sono persone diventate pazze per via dell’impoverimento e della mancanza di quello che, a furia di farlo, era per loro diventato uno scopo nella vita: uccidere. E che non potendo farlo agli animali sono passati agli umani.
Leatherface, il nome che è stato dato all’assassino con la maschera di cuoio e la motosega del titolo originale in mano, è vestito da macellaio e in casa ha tutti gli strumenti per il macello di animali, che tuttavia usa contro gli umani. La maniera in cui i protagonisti vengono uccisi deriva da lì, da quelle tecniche. Questo crea da subito un’associazione mentale tra la paura della morte, o la repulsione verso il massacro e la strage dei propri simili, e la macellazione animale. Il regista Guillermo del Toro (La forma dell’acqua, Il labirinto del fauno) ha spesso spiegato come in seguito alla visione del film fosse rimasto così turbato da diventare vegetariano per un periodo della sua vita.
A ridosso dell’uscita del film, tuttavia, vennero notati più altri elementi. L’impatto di Non aprite quella porta è stato legato per esempio all’introduzione di oggetti di tutti i giorni usati come strumenti di delitto. Fino a quel momento gli assassini nei film uccidevano con i veleni, con una pistola, con dei coltelli o comunque con delle armi. Vedere delle persone uccise con ganci, martelli, motoseghe e oggetti che hanno altri utilizzi quotidiani, spostò la paura in un altro territorio: il terrore non era più qualcosa di eccezionale, e il male, il terribile e l’infernale entrarono nella quotidianità.
La famiglia di ex macellai è infatti presentata come un nucleo folle che scimmiotta le classiche famiglie americane. La ragazza che poi sopravviverà, prima di scappare, viene legata a una sedia e costretta a una cena in famiglia, in una scena particolarmente impressionante in cui tutto l’arredamento è fatto da ossa umane. Quel pasto con una famiglia che quando può mangia carne umana è forse tra tutte l’immagine che in maniera più diretta crea un’associazione tra la carne che sta nei piatti (quindi che viene solitamente mangiata) e l’uccisione di esseri umani. In aggiunta la vittima è presa in giro con dei versi di animali, come a dirle che lei per loro è come una bestia di cui cibarsi. La ragazza (Sally), una volta fuggita, diventerà poi il prototipo della final girl, un’altra invenzione cinematografica di questo film che è oggi uno standard dei film dell’orrore: l’ultima possibile vittima che invece riesce a fuggire o in certi casi sconfiggere il killer.
Un’altra differenza con i film dell’orrore della sua epoca e che dava a Non aprite quella porta una forza diversa rispetto al solito era il suo essere stato filmato a costi così bassi e in modi così poco ortodossi che a oggi è impossibile stabilire quanto sia costato (la stima più affidabile sono circa 300.000 dollari dell’epoca). Non si presentava come una storia di fantasia, ma“realistica”. Addirittura all’inizio si legge che quelli che verranno mostrati sono fatti veri. Quella fu una componente molto forte del successo del film, percepito come a tutti gli effetti realistico. Non era così ovviamente, e quell’espediente di marketing sarebbe poi stato molto replicato (l’ultima volta che è accaduto con vero successo fu per The Blair Witch Project nel 1999). Tuttavia, il personaggio di Leatherface era ispirato a un vero serial killer, Ed Gein, che uccideva le sue vittime, si vestiva con la loro pelle e teneva le loro ossa. Gein è stato il prototipo del serial killer per il cinema, aveva già ispirato Psyco e poi sarebbe stato uno dei modelli per la scrittura di Hannibal Lecter in Il silenzio degli innocenti.
Per gli standard del 1974, la violenza di Non aprite quella porta era difficile da sostenere, nonostante, come detto, non sia mostrato nulla di efferato. Il clima di caos e totale mancanza di umanità in anni in cui i film, anche dell’orrore, erano molto più composti di oggi, le urla delle vittime (una di queste, trascinata verso la morte, grida esattamente come i maiali condotti al macello, rinforzando subliminalmente l’associazione tra uccidere esseri umani e uccidere animali per mangiarli) e l’esibizione flagrante di amoralità erano difficili da sostenere. Il film fu sconsigliato ai minori di 18 anni negli Stati Uniti e censurato in diversi paesi, in altri è stato proprio bandito per anni, cosa che non ha fatto che aumentare il suo status di esperienza estrema. Al momento non si trova su nessuna piattaforma in Italia, ma per i suoi 50 anni è stato ridistribuito nelle sale per un breve periodo.
Nonostante la posizione del regista e sceneggiatore Tobe Hooper nei decenni sia andata sempre di più verso l’idea che il suo fosse fin dall’inizio un film contro l’alimentazione a base di carne, una buona parte delle ragioni che l’avevano inizialmente spinto a girare un horror così duro e violento veniva dal contesto politico. Dopo l’omicidio di J. F. Kennedy, la morte di molti leader dei diritti civili, lo scandalo Watergate, la guerra in Vietnam e gli omicidi della famiglia Manson, Hooper si era convinto che fosse il momento di fare un film in cui il mostro non fosse un vampiro, una creatura di fantasia o un maniaco ma «un uomo, solo con un’altra faccia», disse, «e per questo gli ho messo una maschera». Quest’idea che nel profondo degli Stati Uniti si nascondesse un’umanità terribile e mostruosa, risultato delle crisi economiche e simbolo di tutti quelli che il paese aveva dimenticato e marginalizzato, sarebbe poi diventata una caratteristica di tantissimi altri horror.
Non aprite quella porta e il suo successo (a fronte dei 300.000 dollari di budget ne incassò 30 milioni) sono stati all’origine di un filone di horror o thriller con mostri campagnoli, da Le colline hanno gli occhi a I guerrieri della palude silenziosa o La casa dei 1000 corpi. Più recentemente questo spunto è stato ripreso da X di Ti West. Inoltre la sua idea di un serial killer che sia pensato per essere un’icona, con un abbigliamento particolare, tratti particolari e abbia abbinata a sé un’arma particolare con cui uccidere una vittima dopo l’altra, dandole la caccia, è poi diventata la base del genere “slasher”, reso famoso poco dopo da Halloween (il cui killer ha anch’esso una maschera e anch’esso non parla mai né lo si vede in volto) e poi fiorito con Nightmare – Dal profondo della notte o Venerdì 13.