L’irripetibile doppiaggio dei Cavalieri dello Zodiaco

Negli anni Novanta Enrico Carabelli e Stefano Cerioni diedero alla serie un tono cavalleresco e con citazioni poetiche italiane, lontanissimo dall'originale

(Toei Animation)
(Toei Animation)

Recentemente su Prime Video sono state rese disponibili le prime due stagioni di I Cavalieri dello Zodiaco, la serie animata seguitissima dai bambini negli anni Novanta tratta da Saint Seiya, un manga di enorme successo scritto e disegnato dal giapponese Masami Kurumada. Il suo primo episodio fu trasmesso in Italia, su Odeon TV, il 26 marzo del 1990: era ambientata in un futuro apocalittico e raccontava le avventure di cinque combattenti (Pegasus, Andromeda, Crystal, Sirio e Phoenix, dai nomi delle rispettive costellazioni, ovvero Pegaso, Andromeda, Cigno, Dragone e Fenice) e il loro addestramento per diventare dei “Saint”, ossia dei guerrieri devoti alla dea Atena.

Fra gli anni Ottanta e Novanta era piuttosto comune che, nel processo di localizzazione, cioè di adattamento all’Italia di prodotti provenienti dall’estero, gli studi di doppiaggio, in accordo con gli editori, cambiassero dettagli anche sostanziali – come le ambientazioni, i nomi dei personaggi, il contenuto delle battute e alcuni riferimenti culturali legati alla cultura giapponese – per rendere le puntate più fruibili per il pubblico italiano. Nel caso di I Cavalieri dello Zodiaco l’intervento fu particolarmente massiccio.

La direzione del doppiaggio fu affidata a Enrico Carabelli (che nel cartone animato dava la voce al Maestro dei Cinque Picchi, l’allenatore di Sirio), mentre Stefano Cerioni si occupò di adattare i dialoghi.

Il lavoro di Carabelli e Cerioni passò alla storia per le soluzioni di doppiaggio originali, che conferirono alla serie un tono epico e cavalleresco che distingueva i Cavalieri dello Zodiaco dalla maggior parte dei cartoni del tempo. Per esempio poteva capitare che Pegasus, il protagonista della serie, pronunciasse un sonetto di Ugo Foscolo nel mezzo di un combattimento, o che inserisse versi di Leopardi nei suoi discorsi.

Inoltre «fu una faticaccia», racconta Cerioni, perché ogni puntata doveva essere adattata e doppiata in un solo pomeriggio, dato che la messa in onda era programmata per il giorno dopo. Oltre a questo, Carabelli e Cerioni dovettero affrontare un ulteriore ostacolo: non disponevano di un vero e proprio copione delle puntate. «Avevamo soltanto delle tracce di pochi fogli che, in sostanza, erano delle traduzioni dal giapponese all’inglese di alcune parti di dialogo, non tutte», racconta Cerioni.

Si trattava di tracce «molto lacunose, che a volte erano anticipate da una sinossi della puntata, altre volte no». Di conseguenza, in un modo o nell’altro, «siamo stati costretti a fare di necessità virtù e a sforzarci di “rimpolparle”, cioè riempire con nostre invenzioni le parti di dialogo che non erano presenti. E a riuscirci senza fare disastri». Per dare l’idea, continua, «su 20 battute ce ne saranno state 5 0 6: erano scelte con una certa perizia e in effetti restituivano lo “spirito” del dialogo, ma erano comunque insufficienti per realizzare una traduzione fedele all’originale».

– Leggi anche: L’epoca d’oro delle sigle italiane dei cartoni giapponesi

Dato che le tracce venivano inviate allo studio di giorno in giorno, per evitare contraddizioni di trama gli interventi dovevano essere molto prudenti. «Bisognava inventare, ma al tempo stesso dovevamo farlo in modo tale da non creare dei problemi di continuità narrativa nelle puntate successive», spiega. «Ogni puntata aveva una sua storia e noi facevamo di tutto perché fosse compiuta, perché avevamo il timore di dare anticipazioni sbagliate o di contraddire cose già dette».

Anche se i copioni erano piuttosto carenti, Cerioni poteva fare affidamento su due elementi che gli consentivano di capire a che punto fosse la storia e che tono dare alle asserzioni di un determinato personaggio. Il primo erano i disegni, che «erano fatti molto bene, avevano una grande dinamicità e contribuivano a caratterizzare l’azione e l’attitudine dei personaggi. Guardandoli in sequenza, la storia si raccontava un po’ da sola». L’altro erano le musiche, che «davano un’idea del ritmo della narrazione e del climax raggiunto dalla serie in un certo momento». 

L’idea delle citazioni poetiche «venne a Carabelli, e devo dire che fu una buona intuizione, perché rese la serie immediatamente familiare al pubblico italiano», spiega Cerioni. «Erano citazioni che il pubblico di riferimento dei Cavalieri dello Zodiaco, ossia i bambini, leggevano a scuola. Probabilmente, vederle riprese in un cartone animato così appassionante e incentrato sull’azione li meravigliava in maniera positiva».

Più in generale, in tutte le puntate vennero mantenuti degli standard di linguaggio piuttosto alti, e capitava spesso che i personaggi pronunciassero monologhi originali, eleganti e con picchi lirici notevoli. Uno dei più famosi è quello che Pegasus pronuncia nel 64esimo episodio della serie: «Caldo di luce, il seme in me germoglia. Da ghiaccio in foco il core mio tramuta. Dona la forza, la mente mia rinfranca, e per la Dea il braccio mio non stanca». «Fu un’idea di Carabelli, che lo scrisse in un pomeriggio», racconta Cerioni.

Oltre alla difficoltà di dover lavorare su un materiale di partenza scarno e manipolato, Carabelli e Cerioni avevano anche alcuni paletti da rispettare. Per esempio Giochi Preziosi, che commercializzava in Italia i giocattoli dei Cavalieri dello Zodiaco, chiese di non usare i nomi originali dei personaggi (Seiya, Shiryu, Hyoga, Shun e Ikki) perché li riteneva poco vendibili. Per evitare contraddizioni nella trama, Cerioni decise quindi di adottare nomi legati alle loro costellazioni di appartenenza.

– Leggi anche: Quello che ha creato Hayao Miyazaki

Venivano considerati inadatti per la sensibilità del tempo anche i nomi di alcuni antagonisti. Ne era un esempio Arles, uno degli antagonisti principali della serie. In giapponese veniva chiamato spesso kyōkō, la cui traduzione letterale sarebbe “papa”. «In quegli anni non era immaginabile associare la parola “papa” a un cattivo, e così lo definimmo in maniera più generica Grande Sacerdote».

Anche altri meccanismi narrativi ricorrenti, come per esempio la tendenza dei personaggi a pronunciare la locuzione «per il sacro» prima di utilizzare le loro mosse, furono invenzioni originali di Carabelli e Cerioni. «Ci siamo presi i nostri rischi, ma non potevamo fare diversamente: non erano esercizi di stile, ma scelte obbligate».

Parlando del successo che I Cavalieri dello Zodiaco hanno ottenuto in Italia nonostante tutte le complessità affrontate nel processo di doppiaggio, Cerioni dice che «probabilmente, siamo riusciti a restituire al pubblico la passione e l’impegno che ci abbiamo messo».