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  • Venerdì 11 ottobre 2024

I centri per migranti in Albania sono pronti

I lavori si sono conclusi con cinque mesi di ritardo rispetto alle previsioni, i primi arrivi sono attesi entro la prossima settimana

Il centro per migranti gestito dall'Italia a Shengjin, in Albania
Il centro per migranti gestito dall'Italia a Shengjin, in Albania (AP Photo/Vlasov Sulaj)

Cinque mesi dopo la data prevista per l’apertura si sono conclusi i lavori per l’allestimento dei centri per migranti che l’Italia vuole aprire in Albania. Il governo aveva detto che i centri sarebbero stati pronti e operativi entro il 20 maggio, una data posticipata più volte a causa di diversi problemi non solo relativi al cantiere. Secondo i piani del governo italiano e di quello albanese, ogni mese verranno portati nei centri migliaia di richiedenti asilo soccorsi in acque internazionali e fatti sbarcare dalle autorità italiane appositamente in Albania, in attesa che la loro domanda di asilo venga esaminata.

Le strutture principali sono tre. La prima è un hotspot, ossia un centro per lo sbarco e l’identificazione dei migranti. Si trova a Shengjin, una città di mare circa un’ora di macchina a nord della capitale Tirana. Quella che necessitava di più lavori è invece a Gjader, una frazione del comune di Lezhë nell’entroterra rurale del paese, dove sono stati costruiti un centro di prima accoglienza per i migranti che chiederanno asilo, da 880 posti, e un Centro di permanenza e rimpatrio (CPR) da 144 posti. C’è anche un carcere, organizzato per ospitare un massimo di 20 detenuti, nel caso in cui qualche migrante dovesse essere messo in custodia cautelare mentre è trattenuto nei centri.

Tutte e tre le strutture sono state costruite e saranno gestite dalle autorità italiane: l’Albania non ha sostenuto alcun costo per il progetto. Sono state realizzate nuove reti idriche, elettriche e fognarie, muri di cinta e un impianto di videosorveglianza lungo tutto il perimetro dell’area. È stata portata la connessione internet. Sono state rifatte strade e gli edifici sono stati rifatti quasi completamente per convertirli all’accoglienza di persone migranti. Tuttavia secondo Gennarino De Fazio, segretario generale del sindacato della polizia penitenziaria Uilpa, negli edifici consegnati sono stati predisposti gli impianti, ma manca ancora la corrente elettrica, l’acqua e il collegamento telefonico. Il governo italiano ha stanziato 65 milioni di euro per la costruzione delle strutture, ma dal 2025 in poi i costi di gestione dovrebbero aggirarsi intorno ai 120 milioni di euro all’anno.

Il protocollo operativo prevede che i migranti soccorsi nel Mediterraneo in acque internazionali dalle autorità italiane – quindi dalla Guardia Costiera, dalla Guardia di Finanza o dalla Marina Militare, ma non dalle ong – siano portati su una nave della Marina Militare italiana di fronte a Lampedusa. Le donne, i bambini, le famiglie e le persone con evidenti fragilità saranno portate a Lampedusa e immesse nel circuito di accoglienza italiano.

Gli uomini adulti, invece, dovrebbero essere portati in Albania senza passare dall’Italia. Le operazioni saranno controllate dal personale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). In Albania arriveranno inoltre solo persone provenienti da paesi considerati “sicuri”, ossia dove il governo italiano ritiene che l’ordinamento democratico e i diritti della popolazione siano rispettati. Negli anni però questa definizione è stata attribuita in modo arbitrario anche a paesi dove le violazioni sono note e sistematiche. Le persone che arrivano da paesi non sicuri, anche gli uomini adulti, rientrano invece nel circuito dell’accoglienza.

Tra le altre cose, la scorsa settimana una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha messo in discussione l’applicazione italiana di questa normativa. L’Italia infatti considera sicuri paesi come la Tunisia, l’Egitto o il Bangladesh, ma con eccezioni per gruppi vulnerabili come le comunità LGBTQI+ o gli oppositori politici. Secondo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea questa distinzione non può essere fatta: i paesi o sono interamente considerabili sicuri oppure non possono rientrare nella definizione di “paesi sicuri”. Seguendo questa interpretazione, nessuno dei paesi da cui provengono le persone migranti che attraversano il Mediterraneo potrebbe essere considerato sicuro, ad eccezione di Capo Verde da cui tuttavia provengono pochissime persone ogni anno.

Finora nella maggior parte dei casi le domande di asilo presentate da cittadini di paesi “sicuri” sono state rifiutate: per questo in base al decreto “Cutro”, approvato nel maggio del 2023, il loro esame deve seguire una procedura accelerata che può durare al massimo 28 giorni. Mentre aspettano l’esito, i migranti possono essere trattenuti in stato di detenzione amministrativa in centri come quelli costruiti in Albania.

Le procedure relative all’autorizzazione della detenzione amministrativa e all’esame delle domande di protezione internazionale devono essere svolte dalle autorità italiane. In particolare la questura di Roma avrà il compito di emettere i decreti di trattenimento amministrativo per i migranti che sbarcheranno in Albania, che poi dovrebbero essere convalidati dalla 18esima sezione del tribunale civile di Roma, quella competente sull’immigrazione.

In caso di rifiuto della domanda i migranti dovrebbero essere rimpatriati, ma non è chiaro come questo succederà: non si sa per esempio se potranno partire direttamente dall’Albania, oppure se prima dovranno tornare in Italia. In ogni caso, è difficile che le cose funzionino sempre come previsto: il meccanismo dei rimpatri è notoriamente poco efficiente, e ci sono molti dubbi sul fatto che tutte le domande di asilo possano essere esaminate entro 28 giorni, soprattutto nel periodo estivo, quando i flussi migratori diventano più intensi.