L'arbitro di Serie A Gianluca Aureliano (Gabriele Maltinti/Getty Images)

Le parole da sapere per partecipare a una discussione arbitrale

L'ormai noto "step on foot", gli oscuri acronimi GLT, DOGSO e SPA e la differenza tra "negligenza", "imprudenza" e "vigoria sproporzionata"

Sono trascorsi otto anni dall’introduzione nel campionato italiano maschile di calcio del VAR, il sistema che prevede la presenza di un altro arbitro in una sala video che può rivedere le azioni al rallentatore, da varie angolazioni, e richiamare l’arbitro di campo quando pensa che possa aver preso una decisione sbagliata in situazioni determinanti. L’utilizzo del VAR – un tempo chiamata moviola in campo – ha ridotto di molto gli errori, permettendo agli arbitri di non sbagliare su cose oggettive come il fuorigioco e di correggere diverse scelte sbagliate prese nell’assegnazione di rigori o espulsioni.

Tuttavia in questi anni le polemiche arbitrali hanno continuato a esistere. E anzi, alle tradizionali discussioni sulle situazioni di gioco si sono aggiunte quelle sull’uso del VAR stesso: secondo alcuni viene utilizzato troppo per cercare falli, rigori ed espulsioni che normalmente non verrebbero notati, ma che diventano evidenti rivedendo le immagini al rallentatore e decontestualizzate (nell’ultima giornata sono stati assegnati nove rigori, quasi uno a partita di media).

Sono discussioni che in Italia sono state storicamente alimentate anche dalle trasmissioni televisive: DAZN, la piattaforma di streaming che trasmette la Serie A in Italia, ha cominciato a collaborare con gli arbitri stessi nel programma Open VAR, durante il quale vengono riascoltate le conversazioni tra arbitri e sala VAR e analizzate le decisioni. Questo ha aumentato il livello di approfondimento, rendendo il dibattito molto tecnico. Per spiegare i vari episodi, i commentatori arbitrali (DAZN ne ha due che intervengono anche nelle telecronache delle partite) usano perlopiù locuzioni e acronimi presi dall’inglese, il cui significato potrebbe essere oscuro per molti. Qui ne spieghiamo alcuni.

VAR, on-field review (OFR), telecamere, APP
L’acronimo VAR sta per Video Assistant Referee e indica sia lo strumento sia i due arbitri che analizzano le immagini e collaborano con l’arbitro in campo. Può essere quindi tradotto, a seconda dei casi, con video assistenza arbitrale o arbitro di assistenza video (è il motivo per cui, soprattutto nei primi anni, la tecnologia veniva chiamata anche la VAR: nei documenti ufficiali comunque è scritto il VAR). Dall’ottobre del 2021 la Serie A ha un unico centro operativo (la VAR room), a Lissone, in Brianza, con tutte le sale in cui arbitri e tecnici rivedono e analizzano quasi in tempo reale le situazioni di gioco, comunicando direttamente con l’arbitro e i suoi assistenti.

Il VAR può essere utilizzato per cambiare le decisioni dell’arbitro solo in quattro situazioni precise, che riguardano: l’assegnazione di un gol, l’assegnazione di un calcio di rigore, l’espulsione diretta, lo scambio di identità (cioè un errore nell’individuazione del calciatore da ammonire o espellere). Quando gli arbitri nella VAR room ritengono che l’arbitro in campo abbia preso una decisione potenzialmente sbagliata, gli comunicano di interrompere il gioco e cominciano a controllare le immagini (il cosiddetto check). Possono poi decidere, se necessario, di cambiare direttamente loro la decisione oppure di far rivedere all’arbitro di campo le immagini in un monitor posizionato a bordo campo: in quel caso si parla di on-field review, a volte abbreviato in OFR, cioè revisione sul campo.

Durante gli episodi di Open VAR, quando vengono fatte ascoltare le conversazioni tra addetti della VAR room, arbitro e suoi assistenti, spesso gli addetti menzionano le telecamere e le inquadrature da cui stanno rivendendo le immagini: le più utilizzate per valutare le situazioni in area di rigore sono la 16 metri, che è la telecamera posta in linea con il limite dell’area (a 16 metri dalla porta, appunto); la GLT, che è la telecamera principale della goal-line technology (ci torniamo); quella in linea con la linea di porta; e la retroporta, che come si intuisce sta dietro la porta.

Un’altra sigla che si sente spesso durante le revisioni è APP: sta per Attacking Possession Phase, fase di possesso offensivo, e indica la parte dell’azione che va da quando la squadra in attacco ha ottenuto il possesso palla fino a quando è avvenuto l’episodio in questione. È importante definire l’Attacking Possession Phase perché il VAR può intervenire solo su cose successe durante l’APP: se in precedenza c’è stato un fuorigioco o un fallo, per esempio, ma nel frattempo è cominciata una nuova APP, quel fuorigioco o quel fallo non saranno più sanzionabili.

L’ex arbitro e oggi designatore Gianluca Rocchi dentro una delle sale della VAR room di Lissone (ANSA / MATTEO BAZZI)

Step on foot
È una delle locuzioni più usate e conosciute, tanto che già nel 2022 la Treccani l’ha inserita nel suo dizionario come neologismo, definendola così: «Nel calcio, fallo commesso schiacciando col piede un piede dell’avversario». In passato veniva chiamato pestone, avviene quando un calciatore pesta il piede di un altro. La scorsa domenica ci sono state discussioni abbastanza accese sul tema dopo che l’arbitro e il VAR di Monza-Roma hanno deciso di non assegnare un rigore alla Roma nonostante il difensore Georgios Kyriakopoulos avesse fatto, appunto, uno step on foot al centrocampista Tommaso Baldanzi.

Durante Open VAR, l’ex arbitro e oggi vice designatore Andrea Gervasoni ha detto che uno step on foot in area non va automaticamente punito con il rigore, ma che ci debba essere imprudenza (ci torniamo anche qui). Queste parole però contraddicono quanto detto lo scorso anno da Rocchi, cioè che nel caso di un pestone non serve ci sia la volontarietà per fischiare fallo.

La spiegazione data da Rocchi sullo “step on foot” lo scorso anno

DOGSO e SPA
Sono due acronimi inglesi per riferirsi a due situazioni di gioco codificate. Nel primo caso si parla di Denying an Obvious Goal-Scoring Opportunity, avviene cioè quando un giocatore nega all’avversario, facendo un fallo, un’evidente opportunità di segnare. I parametri per valutare la presenza di un DOGSO sono quattro: la direzione dell’azione (il calciatore che subisce il fallo deve dirigersi verso la porta avversaria); la probabilità di controllare il pallone (il calciatore deve essere in possesso del pallone o poterlo raggiungere e controllare agevolmente); il numero di avversari che potrebbero intervenire nell’azione (ce ne deve essere uno o nessuno tra il calciatore e la porta, oltre a chi commette il fallo); la zona di campo (più il fallo è avvenuto vicino alla porta, più l’opportunità è evidente).

Quando si verificano le quattro condizioni contemporaneamente chi fa il fallo dev’essere espulso (e il VAR può quindi intervenire per correggere queste situazioni). L’espulsione è necessaria tranne in un caso, e cioè se il fallo avviene in area di rigore (quindi causa un calcio di rigore): in quella situazione, se il tentativo di chi difende viene reputato genuino, se cioè sta cercando di recuperare il pallone e avrebbe possibilità di farlo, allora viene solo ammonito. Si parla qui di DOGSO depenalizzato, introdotto per evitare, in caso di un fallo onesto, di dover assegnare un calcio di rigore e di espellere chi difende, una situazione ritenuta troppo penalizzante per una squadra.

Diverso è il caso della SPA, acronimo di Stop a Promising Attack, traducibile con “interrompere un’azione d’attacco promettente”. Un classico esempio di SPA è quando un calciatore sta avanzando verso la porta avversaria a centrocampo e viene trattenuto dall’avversario, che ferma volontariamente la possibile ripartenza. Nella SPA insomma l’azione non è ancora diventata una chiara occasione da gol, e infatti chi commette il fallo viene sanzionato solamente con il cartellino giallo.

Goal-line technology
Venne introdotta prima del VAR, nel 2012 al Mondiale per Club (una competizione in cui si affrontano le squadre vincenti dei vari tornei continentali) e in Serie A dalla stagione 2015-2016.

È una tecnologia che permette agli arbitri di verificare se il pallone abbia effettivamente superato del tutto la linea di porta, e se quindi debba essere assegnato il gol. Prima che questo sistema fosse introdotto, non erano rari i cosiddetti gol fantasma, una definizione nella quale rientrano sia le reti convalidate nonostante il pallone non avesse superato la linea, sia le reti non convalidate nonostante il pallone fosse entrato in porta. Per l’arbitro, infatti, non è sempre facile capire in tempo reale se la palla sia entrata, magari in azioni particolarmente veloci e concitate, con molti avversari tra sé e la porta, oppure nel caso di un tiro che rimbalza vicino alla linea e poi esce dalla porta.

Sei fotogrammi di un gol fantasma non assegnato al centrocampista dell’Inghilterra Frank Lampard durante la partita dei Mondiali del 2010 contro la Germania, nonostante la palla fosse evidentemente entrata in porta (AP Photo/Alessandra Tarantino)

La FIFA, la federazione che governa il calcio mondiale, ha approvato due diversi tipi di goal-line technology (letteralmente “tecnologia della linea di porta”): Hawk-Eye e GoalRef. La prima è quella usata in Serie A e in generale più utilizzata. È la stessa del tennis e consiste in sette telecamere che inquadrano da diverse angolature la porta a 200 fotogrammi al secondo, e che tracciando il movimento del pallone e trasmettendolo a un computer fanno una proiezione in 3D della traiettoria e della sua posizione. È un sistema quasi infallibile. Nel 2020, durante una partita di Premier League, non segnalò un gol abbastanza evidente perché tutte e sette le inquadrature erano impallate dalla presenza di giocatori: fu il primo errore certificato dopo oltre novemila partite.

Nel caso in cui ci sia un malfunzionamento della tecnologia, il VAR può intervenire per correggere un evidente errore: è successo nella prima giornata di questo campionato, durante Milan-Torino. Dai Mondiali in Qatar del 2022 anche il fuorigioco utilizza questo sistema, motivo per il quale oggi si parla di fuorigioco semiautomatico.

L’altra tecnologia approvata dalla FIFA, GoalRef, prevede invece la presenza di un chip nel pallone che interagisce con un campo elettromagnetico. Sui pali e sulle traverse sono montate delle specie di antenne, quando il pallone con il chip supera la linea di porta, attraversando una specie di muro invisibile creato dalle antenne, il sensore altera il campo magnetico. A quel punto un computer rileva l’alterazione e invia il segnale all’arbitro. La FIFA ha stabilito per questa tecnologia un piccolissimo margine di errore (meno di mezzo centimetro), che tiene conto anche della deformazione della palla.

Encroachment
È un’altra parola inglese usata per spiegare una situazione che esisteva anche prima del VAR, ma che con il VAR è diventata più frequente. Vuol dire letteralmente invasione e avviene quando, durante un calcio di rigore, un qualsiasi giocatore entra in area prima che il rigorista colpisca il pallone. L’encroachment non va sanzionato in tutti i casi, ma solamente quando il calciatore che ha invaso l’area ha un impatto sull’azione, cioè disturba il tiratore oppure, in caso di rigore sbagliato con la palla che torna in gioco, contende a un avversario la palla. In queste occasioni il rigore va ripetuto.

Negligenza, imprudenza, vigoria sproporzionata
I casi in cui un contrasto di gioco va sanzionato con un fallo e, eventualmente, con un cartellino giallo o rosso non sono facilmente codificabili. A differenza del fuorigioco, che si basa su una valutazione oggettiva, nella valutazione di un fallo e della sua gravità rimane sempre un margine di discrezione per l’arbitro. Il regolamento individua comunque tre categorie diverse in cui dividere i comportamenti dei giocatori quando fanno un fallo, e sulla base dei quali decidere quindi la sanzione.

La prima categoria è la negligenza, cioè quando il calciatore mostra una mancanza di attenzione e considerazione nell’effettuare un contrasto, o che agisce senza precauzione. Sono falli non gravi o violenti, che non vanno quindi sanzionati con un cartellino.

Invece c’è imprudenza quando il calciatore non solo agisce in maniera disattenta, ma è anche noncurante del pericolo o delle conseguenze per l’avversario: per questo deve essere ammonito.

La vigoria sproporzionata infine è quando l’intervento del calciatore ha un impeto e una forza esagerati rispetto a quanto richiederebbe la situazione, e mette in pericolo l’incolumità di un avversario: in questo caso deve essere espulso. Nell’ultima categoria sono compresi i falli più gravi, quelli per esempio in cui un calciatore interviene con il cosiddetto piede a martello, cioè contrasta l’avversario con il piede posizionato a 90 gradi e la caviglia bloccata rispetto alla gamba. Logicamente anche queste categorie non sono perfettamente definite e tra l’una e l’altra esistono grandi “zone grigie” che lasciano spazio all’interpretazione dell’arbitro.

Falli di mano: zona verde, zona rossa
Sono una delle cose che hanno fatto più discutere in questi anni, perché in molti sostengono che alcuni rigori assegnati per fallo di mano siano troppo severi e fiscali, non tengano conto di come si muove un calciatore, della volontarietà e dell’effettivo impatto di un tocco di mano sull’azione. Oggi sostanzialmente quasi tutti i tocchi di mano fatti da chi difende in area sono puniti con un rigore, mentre in attacco se il tocco di mano è involontario viene considerato un fallo solo se viene fatto in un momento che precede di poco un gol o una chiara occasione da gol (se invece dopo il tocco di mano involontario succedono altre cose prima di un gol, allora non dovrebbe essere fischiato il fallo).

Per capire da dove inizia la mano (anche il braccio è considerato mano), si parla spesso di zona verde e zona rossa. La zona verde è la spalla: quando si colpisce con la spalla, come nell’azione del gol di Christian Pulisic nell’ultimo Inter-Milan, non è fallo. La zona rossa comincia invece a metà dell’òmero, l’osso che collega la spalla al gomito. Forse è più chiaro con un’immagine.

La distinzione tra zona verde e zona rossa

Questa distinzione è importante anche nei casi di fuorigioco, perché la zona rossa non viene considerata una parte del corpo attiva: un calciatore cioè non può essere considerato in fuorigioco, o viceversa non tiene in gioco un avversario, con la parte rossa del braccio.

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