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  • Mercoledì 9 ottobre 2024

Come funzionano le espulsioni per motivi di sicurezza dello Stato

Sono decise per lo più a discrezione del ministero dell’Interno, come è accaduto a Bologna dove è stato chiesto il rimpatrio di un imam

Foto di Matteo Piantedosi in occhiali da sole
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi visita l’hotspot di Lampedusa, il 25 aprile 2023 (Eugenio Grosso/contrasto)

Martedì il ministero dell’Interno ha emesso un decreto di espulsione “per motivi di sicurezza dello Stato” nei confronti di Zulfiqar Khan, un cittadino pachistano da quasi 30 anni in Italia, imam del centro islamico del quartiere Bolognina a Bologna. Nel provvedimento firmato dal ministro Matteo Piantedosi, Zulfiqar Khan viene descritto come un fanatico religioso propenso a posizioni radicali di matrice islamica, «connotate da un forte risentimento antioccidentale e antisemita e da una retorica omofoba e antifemminista». L’espulsione per motivi di sicurezza dello Stato è uno dei provvedimenti più gravi e particolari a cui può essere sottoposta una persona straniera: viene disposto dal ministero o dalla prefettura con una discrezionalità che spesso dà origine a contestazioni, come è avvenuto a Bologna.

In Italia esistono vari tipi di espulsione per le persone straniere, che siano irregolari, cioè che non abbiano un permesso per rimanere sul territorio italiano (né turistico, né lavorativo, né una forma di protezione internazionale né sono in attesa che la loro richiesta venga esaminata), oppure regolari.

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Il più grave, che può riguardare anche le persone con i documenti in regola, è appunto il decreto di espulsione amministrativa per motivi di sicurezza. Viene emanato quando il ministero vede un rischio per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato: è il caso, per esempio, di persone sospettate di attività di spionaggio o terrorismo. Il provvedimento deve essere motivato in modo chiaro per esplicitare il grado di pericolosità della persona in relazione alla sicurezza dello Stato. Un altro obbligo del ministero è la comunicazione preventiva al presidente del Consiglio e al ministero degli Esteri.

Non è semplice ricostruire con precisione i dati relativi a queste espulsioni, perché il ministero dell’Interno cambia spesso periodo di riferimento: a volte li conta di sei mesi in sei mesi, a volte li conta per anno, altre volte ogni anno e mezzo. Dal 2004 al 2014 il governo italiano espulse poche persone per motivi di sicurezza: una media di 14 all’anno. Negli ultimi anni i decreti sono aumentati. Dal 2014 al 2017 le espulsioni per motivi di sicurezza sono state 133, in media 44 all’anno. Nel 2018 sono state circa 100, l’anno successivo 71, tra il luglio del 2021 e l’agosto del 2022 sono state 61, nel 2023 sono state 77, mentre dall’inizio di quest’anno fino al 31 luglio 53.

Lo scorso anno con l’approvazione del decreto immigrazione sono state introdotte nuove regole per accelerare le procedure di espulsione per motivi di sicurezza, e limitare i ricorsi. Tra le altre cose, ora le questure possono decidere di negare il reingresso a chi faccia ricorso contro la propria espulsione, se si ritiene che questo possa generare pericolo per l’ordine pubblico.

Questo tipo di espulsione è un provvedimento molto discrezionale perché le formule “ordine pubblico” e “sicurezza dello Stato” non sono così chiare e si possono prestare a diverse interpretazioni. Secondo la legge, infatti, l’ordine pubblico è inteso solo come il «complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché la sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni». Anche il concetto di “sicurezza dello Stato” è molto ampio.

Negli ultimi anni questo tipo di discrezionalità ha portato il ministero a disporre le espulsioni con motivazioni essenziali: spesso i funzionari ministeriali lo hanno fatto appellandosi al rispetto del segreto delle indagini e alla necessità di preservare le segnalazioni arrivate da servizi di intelligence italiani o stranieri. Ci sono stati diversi casi in cui i giudici civili chiamati a valutare il provvedimento ministeriale non avevano abbastanza elementi per valutare il rispetto di diritti fondamentali, soprattutto la tutela della libertà personale.

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Zulfiqar Khan arrivò in Italia dal Pakistan nel 1995. È padre di tre figli con cittadinanza italiana e lavora in un’azienda di distribuzione alimentare. Nel decreto con cui il ministero ha chiesto di revocare il permesso di soggiorno di lungo periodo e quindi ordinato l’espulsione si legge che l’uomo è sotto osservazione dall’autunno del 2023 per il suo «crescente fanatismo». Secondo il ministero, i suoi sermoni diffusi anche su Facebook avrebbero favorito «processi di radicalizzazione violenta» tra i frequentatori del centro islamico, oltre che l’infiltrazione di «organizzazioni politico-religiose e para-terroristiche».

In particolare Khan avrebbe «più volte manifestato una visione integralista del concetto di jihad, esaltando l’operato dei mujahidin [chi combatte il jihad, ndr] nell’ambito dell’odierno conflitto israelo-palestinese» e definendo «i miliziani dell’organizzazione terroristica Hamas martiri e liberatori». Nel decreto si legge anche che «durante un incontro in un centro interculturale di Bologna ha definito l’omosessualità come una malattia da curare, che ogni musulmano ha il dovere di contrastare per evitare conseguenze catastrofiche, quali addirittura l’estinzione stessa del genere umano».

Khan era stato accusato di fare propaganda jihadista anche dal sottosegretario leghista Alessandro Morelli, che lo scorso giugno aveva diffuso un virgolettato di un presunto discorso dell’imam: «Dobbiamo ucciderli tutti, anche i più piccoli e le donne incinte». Quelle frasi erano un’accusa nei confronti di Israele, motivo per cui Khan ha presentato una denuncia per diffamazione contro Morelli. Salvini commentò la notizia della denuncia così: «Anziché vergognarsi denuncia il leghista Alessandro Morelli: l’imam Zulfiqar Khan merita soltanto una richiesta di espulsione immediata dal nostro paese».

«Viene da pensare maliziosamente che quel tweet sia stato esaudito col provvedimento di espulsione», ha detto Francesco Murru, avvocato di Khan. «Pare una ritorsione ai danni di Khan, reo di essersi rivolto alla magistratura penale per ottenere giustizia». Secondo l’avvocato, che ha già dichiarato l’intenzione di presentare un ricorso al tribunale amministrativo del Lazio contro l’espulsione, le motivazioni espresse dal ministro Piantedosi sono totalmente generiche e prive di prove. Murru ha definito il decreto un «ritorno ad uno stato di polizia e al perseguimento dei reati di opinione: per fortuna viviamo in uno stato di diritto e la magistratura dovrà valutare la fondatezza del provvedimento».

Anche il presidente della comunità islamica di Bologna Yassine Lafram, che in passato ha avuto diverse discussioni con Khan, ha criticato il provvedimento del ministero. «Ho letto il suo decreto di espulsione e mi pare che lì dentro ci siano prevalentemente reati di opinione: Voltaire si rivolterebbe nella tomba», ha detto Lafram. «Io stesso sono stato spesso in disaccordo con lui, ma ho sempre difeso la sua libertà di esprimersi: a patto di non inneggiare alla violenza e all’odio».