Perché Olindo Romano e Rosa Bazzi non avranno un nuovo processo
Secondo i giudici la richiesta di processo di revisione non era stata sostenuta da nuove prove, ma solo da ipotesi di complotto e interviste che non hanno valore in aula
I giudici della Corte d’Appello di Brescia hanno depositato le motivazioni della sentenza con cui è stata respinta la richiesta di revisione del processo per la strage di Erba, e confermata la condanna nei confronti di Olindo Romano e Rosa Bazzi. I giudici hanno spiegato che tutti gli elementi con cui i difensori della coppia hanno chiesto una revisione della condanna erano già stati valutati nei tre gradi di giudizio, e che quindi non possono essere considerate nuove prove. Inoltre hanno smentito qualsiasi ipotesi di complotto ai danni di Romano e Bazzi, una versione sostenuta soprattutto da alcuni giornali e trasmissioni televisive.
Olindo Romano e Rosa Bazzi furono condannati all’ergastolo per l’omicidio di quattro persone avvenuto a Erba, in provincia di Como, l’11 dicembre del 2006. Le vittime furono Raffaella Castagna, 30 anni, suo figlio Youssef, due anni, sua madre Paola Galli, 57 anni, e una vicina di casa di Castagna, Valeria Cherubini, 55 anni. Tutte queste persone furono uccise con coltelli e armi contundenti. Il marito di Cherubini, Mario Frigerio, 66 anni, fu colpito alla gola da una coltellata, ma riuscì a salvarsi.
Romano e Bazzi confessarono pochi giorni dopo l’omicidio, salvo poi cambiare versione durante i processi, sostenendo di essere innocenti. Durante gli interrogatori però Romano e Bazzi avevano parlato ai magistrati di dettagli che solo chi aveva commesso gli omicidi poteva conoscere e durante le indagini erano state raccolte prove contro di loro. La condanna all’ergastolo fu confermata dalla Corte d’Appello di Milano e infine dalla Cassazione, l’ultimo grado di giudizio.
Nel 2023 gli avvocati difensori di Romano e Bazzi presentarono una richiesta di revisione del processo, l’estrema e straordinaria possibilità prevista dal codice di procedura penale italiano di correggere un errore giudiziario che ha portato a una condanna definitiva e irrevocabile. Una seconda richiesta fu presentata dal sostituto procuratore di Milano Cuno Tarfusser. Entrambe si basavano su presunti errori commessi durante le indagini e su possibili nuove prove emerse grazie a consulenti di parte interpellati negli ultimi anni.
Secondo la difesa di Romano e Bazzi, gli errori più gravi furono commessi durante la testimonianza di Mario Frigerio, nella gestione della confessione dei coniugi e infine nel ritrovamento di una macchia di sangue sull’auto di Olindo Romano.
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Entrambe le richieste di revisione sono state respinte dalla Corte d’Appello lo scorso 10 luglio. Nelle motivazioni si legge che l’istanza è inammissibile perché le presunte nuove prove presentate dalla difesa non erano davvero nuovi elementi rispetto alle prove già esaminate nei tre gradi di giudizio. Questi nuovi elementi, scrivono i giudici, erano più che altro un presunto «complotto ai danni di Romano e della Bazzi, che avrebbe condotto gli inquirenti a costruire a tavolino la traccia ematica rinvenuta sul battitacco della Seat Arosa [l’auto di Romano, ndr]» e a condizionare la testimonianza di Mario Frigerio per poi costringere Romano e Bazzi a confessare, anche in questo caso «sopprimendo conversazioni oggetto d’intercettazione che avrebbero potuto dimostrarne l’innocenza».
Ma secondo la sentenza gli elementi non sono nuovi, e di conseguenza non c’è stato nessun complotto di chi indagò sul caso.
In particolare, scrivono i giudici, il tema della capacità di ricordare di Mario Frigerio è stato ampiamente esaminato nei tre gradi di giudizio, quindi la validità della sua testimonianza non può essere messa in discussione ora, tanto meno con ipotesi che non hanno fondamento perché non sono nuove prove.
Nelle motivazioni della sentenza, inoltre, i giudici hanno chiarito che le interviste televisive non possono essere considerate nuove prove perché le persone intervistate non hanno l’obbligo di dire la verità come durante un processo. Anzi, possono essere condizionate dal mezzo stesso e dalla pubblicità che la televisione garantisce fino a compiacere «l’intervistatore e a porsi in una luce favorevole, abbandonandosi a supposizioni ed esprimendo opinioni personali che non sarebbero ammesse in sede processuale».