Un attacco di Israele al nucleare iraniano sarebbe molto rischioso
Lo sta considerando il governo israeliano, ma potrebbe essere inefficace e soprattutto controproducente
Da giorni si attende un annunciato attacco di Israele contro l’Iran, in risposta al lancio di missili balistici iraniani contro Israele della scorsa settimana. In questo contesto molte attenzioni di analisti ed esperti si stanno concentrando sul programma nucleare iraniano: alcuni politici e militari stanno facendo pressioni sul primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu affinché Israele attacchi le strutture e i centri di ricerca che l’Iran usa per arricchire l’uranio, e che potrebbe usare, in futuro, per costruire una bomba nucleare.
Un eventuale attacco di questo tipo costituirebbe un atto di guerra che potrebbe portare a un ulteriore allargamento del conflitto in Medio Oriente. C’è inoltre il timore che un attacco contro i siti nucleari iraniani possa essere controproducente per la sicurezza israeliana, dato che potrebbe spingere l’Iran a sviluppare infine una bomba nucleare.
Con “programma nucleare iraniano” si intende quell’insieme di processi e di infrastrutture che l’Iran ha realizzato nel corso dei decenni per produrre energia nucleare. L’Iran sostiene che il suo programma serva esclusivamente a scopi civili, ma a partire dal 2019, dopo il fallimento dell’accordo sul nucleare con l’Occidente, il paese ha iniziato ad arricchire parte dell’uranio a sua disposizione ben oltre le quantità che sarebbero necessarie per scopi civili. Per intenderci: per usare l’uranio come combustibile per le centrali nucleari basta arricchirlo del 3,76 per cento, ma attualmente l’Iran ha notevoli scorte di uranio arricchito al 60 per cento. Per costruire una bomba nucleare, l’uranio deve essere arricchito al 90 per cento.
Israele tenta da decenni di rallentare e danneggiare il programma nucleare iraniano, che considera una minaccia per la propria sicurezza: l’ha colpito con sabotaggi e celebri attacchi informatici, ma non l’ha mai bombardato direttamente, sia a causa della contrarietà degli Stati Uniti, sia perché un attacco del genere costituirebbe un atto di guerra.
Ma ora che l’Iran ha attaccato per ben due volte in pochi mesi il territorio israeliano con missili e droni, molti ritengono che per Israele questa sia l’occasione giusta per rispondere colpendo le strutture nucleari iraniane, prima che l’Iran possa davvero costruire una bomba.
Uno dei più convinti sostenitori di questa necessità è l’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett, un nazionalista di destra che negli ultimi giorni ha scritto sui social: «Israele ha ora la sua più grande opportunità in 50 anni, quella di cambiare la faccia del Medio Oriente. Dobbiamo agire ora per distruggere il programma nucleare iraniano, le sue infrastrutture energetiche e per colpire mortalmente il suo regime terroristico».
Anche Donald Trump, ex presidente degli Stati Uniti e candidato Repubblicano alle elezioni presidenziali del prossimo 5 novembre, ha detto che Israele dovrebbe «colpire prima il nucleare e poi pensare al resto».
Secondo vari media, l’amministrazione statunitense del presidente Joe Biden (Democratico) ha però fatto sapere al governo Netanyahu che non intende sostenere un eventuale attacco israeliano contro il programma nucleare iraniano. Questo potrebbe essere un problema se Israele volesse davvero attaccare. L’Iran ha costruito le sue principali strutture nucleari sottoterra: per esempio l’impianto nucleare di Natanz, dove ci sono le centrifughe nucleari più sofisticate del paese che servono ad arricchire l’uranio, si trova a decine di metri di profondità.
Per distruggere o danneggiare gravemente impianti del genere, ha spiegato di recente il New York Times, servono capacità di attacco e bombe ad alto potenziale distruttivo di cui al momento soltanto gli Stati Uniti dispongono.
– Ascolta Globo: Israele, Iran, Libano, con Lorenzo Trombetta
Ci sono poi altri problemi che riguardano l’opportunità di un attacco e le sue conseguenze sul lungo periodo. Nelle ultime settimane Israele ha già indebolito gravemente l’Iran: con una serie di grossi attacchi ha sfiancato, almeno per il momento, il gruppo politico e militare libanese Hezbollah, che è il più importante alleato del paese nella regione.
L’Iran considerava Hezbollah come il suo principale strumento di deterrenza contro Israele, tanto che molti in questi giorni hanno scritto che Hezbollah era la «polizza assicurativa» dell’Iran, perché tutti sapevano che se Israele avesse provato ad attaccare l’Iran, Hezbollah avrebbe risposto con il suo arsenale missilistico e le sue forze paramilitari. Ma ora che Hezbollah è fortemente indebolito il suo potere di deterrenza viene meno, e l’Iran si trova più esposto e vulnerabile.
Secondo molte analisi, questa vulnerabilità potrebbe spingere l’Iran ad affrettare il suo programma nucleare militare.
Attualmente l’Iran fa ancora parte del Trattato di non proliferazione nucleare e consente ispezioni regolari – sebbene molto limitate – ai suoi impianti da parte dell’AIEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica che si occupa per conto delle Nazioni Unite di impedire la proliferazione nucleare. Il rischio è che, sentendosi minacciato, l’Iran possa decidere di uscire dal Trattato e di avviare davvero i lavori per la costruzione di una bomba.
Ci sono alcune avvisaglie di questa possibilità, anche se per ora nessuna dichiarazione ufficiale. A fine settembre Fereydoun Abbasi, ex capo dell’agenzia atomica iraniana, ha detto che la leadership del paese dovrebbe cominciare a produrre uranio arricchito al 90 per cento, necessario per costruire una bomba.
Secondo le stime più accreditate l’Iran impiegherebbe poche settimane per arricchire parte del proprio uranio al 90 per cento. Ma da qui alla costruzione di una vera bomba nucleare servirebbero mesi: l’Iran dovrebbe sviluppare sistemi di guida dei missili e missili capaci di trasportare una testata per centinaia di chilometri. Questo richiede lo sviluppo di tecnologie di cui al momento il paese non dovrebbe disporre.