Cosa si sa del femminicidio di Maria Arcangela Turturo, in provincia di Bari

Giuseppe Lacarpia ha dato fuoco all'auto dove aveva rinchiuso la moglie, poi ha continuato ad aggredirla sulla strada: prima di morire la donna è riuscita a spiegare cosa era successo

Il muretto dove Giuseppe Lacarpia avrebbe bruciato l'auto con all'interno la moglie Maria Arcangela Turturo
Il muretto dove Giuseppe Lacarpia avrebbe bruciato l'auto con all'interno la moglie Maria Arcangela Turturo (ANSA/ ALBA DI PALO)

A Gravina in Puglia, in provincia di Bari, un uomo di 65 anni, Giuseppe Lacarpia, è stato arrestato e accusato di aver ucciso la moglie Maria Arcangela Turturo. La dinamica del femminicidio è stata ricostruita attraverso le dichiarazioni di una delle figlie di Lacarpia e Turturo che ha assistito e parlato con la madre ricoverata in ospedale prima della morte, attraverso le parole che la donna ha detto a uno dei poliziotti arrivati sul posto dell’aggressione, e grazie a un video di 15 secondi girato da alcune persone che casualmente passavano di lì.

Nella notte tra lunedì 7 e martedì 8 ottobre, intorno all’1.30, Giuseppe Lacarpia e Maria Arcangela Turturo stavano rientrando a casa sulla loro auto, una Fiat Punto. Prima di arrivare a casa Lacarpia si sarebbe fermato, avrebbe chiuso la donna nella macchina e avrebbe appiccato il fuoco. Maria Arcangela Turturo, 60 anni, sarebbe comunque riuscita a uscire dall’abitacolo e a quel punto l’uomo l’avrebbe bloccata a terra sull’asfalto, mettendosi di peso su di lei, schiacciandole il corpo, già ustionato, e il petto con le ginocchia e le braccia provocandole fratture alle costole e allo sterno.

Quando la polizia e i vigili del fuoco sono intervenuti sul posto la donna era viva. A uno dei poliziotti, avvicinatosi mentre la stavano soccorrendo, ha detto che il marito la voleva uccidere. La donna è morta in ospedale, riuscendo però a parlare alla figlia, a ribadire che Lacarpia la voleva uccidere e che l’incendio dell’automobile era stato doloso.

Lacarpia aveva invece dato alla polizia un’altra versione: aveva dichiarato di aver perso il controllo dell’auto, di essere andato a sbattere contro un muretto e che, a seguito dell’impatto, l’auto aveva preso fuoco. Aveva infine raccontato di essere stato lui a tirare fuori dall’abitacolo la donna.

Tra le prove acquisite dalla polizia che smentiscono la testimonianza di Lacarpia c’è anche il video girato da alcune persone che stavano passando in macchina. Diversi giornali raccontano che nel video si vede l’uomo a cavalcioni sulla donna stesa a terra vicino all’auto. Lo si vede premere con le mani sul petto di lei, che sembrava volersi divincolare. Nel video si sentono anche le urla della ragazza che stava riprendendo la scena con il proprio telefono mentre grida all’uomo di smetterla. Successivamente la ragazza ha dichiarato alla polizia che la donna «gridava aiuto, muoveva le mani e le braccia come a volerlo spostare».

La Presse ha visto il decreto di fermo per Lacarpia in cui si legge: «Il video, a dispetto della breve durata, consegna un oggettivo e indiscutibile elemento a carico dell’uomo nel cagionamento doloso della morte della moglie. Si nota l’uomo a cavalcioni sulla donna stesa supina a centro strada e a circa 7 metri dall’auto completamente avvolta dalle fiamme. L’uomo tiene entrambe le mani premute sul petto della donna, che si dimena e batte ripetutamente un braccio sull’asfalto. Durante il video si sentono distintamente le urla della ragazza che sta riprendendo indirizzate all’uomo e urla frasi “lasciala”, “ma che stai facendo”». Dopo l’arrivo sul posto di altre persone per soccorrere la donna, Lacarpia si è fermato, si è avvicinato alla macchina ancora in fiamme per prendere la borsa della moglie che si trovava lì accanto e poi si è seduto sul ciglio della strada.

Lacarpia aveva dei precedenti. Una quindicina di anni fa era stato arrestato e condannato per aver cercato di uccidere il figlio che era intervenuto per fermare la violenza del padre contro la madre. Una delle figlie di Lacarpia e Maria Arcangela Turturo ha anche testimoniato che il padre era violento, che per tre volte la madre era finita in ospedale a causa delle aggressioni subite e che spesso si era rifugiata a casa delle figlie. Nel decreto di fermo, si conferma che il «rapporto personale tra la vittima e il marito» era «connotato da numerose aggressioni fisiche e condotte maltrattanti patite dalla donna per mano del marito lungo tutta la convivenza».

Il femminicidio è spesso l’ultimo atto di una storia di abusi e aggressioni. La parola non indica una fattispecie di reato e non indica genericamente tutti gli omicidi che abbiano come vittima una donna, ma quei casi di violenza alla cui origine c’è una dinamica di sopraffazione, controllo o possesso derivata dal ruolo di subordinazione rispetto agli uomini cui le donne vengono tradizionalmente relegate all’interno della società e nelle famiglie.

– Leggi anche: Quando e perché parliamo di “femminicidio”

In Italia non esistono statistiche sui femminicidi che usino questo specifico termine, ma i dati istituzionali sugli omicidi vengono raccolti dal ministero dell’Interno settimanalmente in modo che possano essere scorporati in base al rapporto tra autore e vittima, dando un’idea del fenomeno. Il report più recente, relativo al periodo che va dal primo gennaio al 6 ottobre del 2024, dice che sono stati registrati 235 omicidi, con 82 vittime donne, di cui 72 uccise in ambito familiare/affettivo. Di queste, 44 sono state uccise dal partner o ex partner. Per le altre, la relazione con la vittima era figlio, padre, amico dei figli, amico, conoscente o altro parente.

I numeri dell’Osservatorio nazionale del movimento femminista Non Una Di Meno, che monitora gli eventi riportati dai media dal 2020 e che viene aggiornato l’8 di ogni mese, dicono che tra le persone uccise nel 2024, la vittima più giovane aveva 17 anni, che la più anziana ne aveva 89, che in almeno 10 casi nei mesi precedenti all’uccisione c’erano state denunce o segnalazioni per violenza, stalking, persecuzione, che la maggior parte delle vittime è morta per accoltellamento e per i colpi di un’arma da fuoco. L’Osservatorio segnala inoltre che, dall’inizio dell’anno, ci sono stati almeno altri 40 tentati femminicidi riportati nelle cronache locali.

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Se hai bisogno di aiuto o sostegno qui c’è l’elenco di tutti i numeri telefonici dei centri antiviolenza della rete Di.Re. È anche possibile chiamare il numero antiviolenza e stalking 1522, gratuito, attivo 24 ore su 24 con un’accoglienza disponibile in italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo. In entrambi i casi si riceveranno indicazioni da persone che hanno l’esperienza e la formazione più completa per occuparsi di questa questione. È anche possibile, di fronte a una situazione di emergenza, chiamare i carabinieri o la polizia al 112