Un anno di guerra nella Striscia di Gaza
Dall’attacco del 7 ottobre 2023 in Israele all'invasione del Libano, con quello che è successo in mezzo
È passato un anno dall’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023, che portò all’invasione israeliana della Striscia di Gaza e all’inizio di una guerra che prosegue ancora oggi. In un anno di bombardamenti e attacchi sono state uccise oltre 41mila persone palestinesi e gran parte delle infrastrutture e degli edifici nella Striscia è stata distrutta. Intanto decine di persone israeliane rimangono in ostaggio a Gaza, e mesi di negoziati per raggiungere un cessate il fuoco non hanno portato a risultati concreti.
Le conseguenze della guerra si sono estese al di fuori dei confini della Striscia per coinvolgere altri paesi della regione: soprattutto il Libano, dove da settimane Israele sta attaccando zone densamente abitate da civili per colpire i membri e le infrastrutture di Hezbollah, gruppo alleato dell’Iran (e quindi nemico di Israele). Abbiamo messo in fila gli eventi principali di questi 12 mesi di combattimenti.
L’attacco del 7 ottobre
Intorno alle 7 di mattina di sabato 7 ottobre 2023 circa 2mila miliziani di Hamas entrarono in territorio israeliano superando da diversi punti le barriere di confine che delimitano la Striscia di Gaza. Quello che seguì fu un attacco senza precedenti nella storia di Israele: i miliziani uccisero circa 1.200 persone, in gran parte civili israeliani, e presero circa 250 ostaggi. Colpirono varie località tra cui diversi kibbutz, ossia piccole comunità israeliane egalitarie; il festival musicale Supernova, che si stava svolgendo all’aperto vicino al confine con la Striscia; e gli abitanti di Sderot, la più grande città israeliana vicino alla Striscia.
L’attacco andò avanti per ore, anche perché l’esercito israeliano ci mise moltissimo ad arrivare sul posto: da subito fu chiaro che Israele e il suo apparato di intelligence, considerato fino a quel momento tra i migliori del Medio Oriente, erano stati colti di sorpresa. Una successiva inchiesta del New York Times sostenne che in realtà i servizi segreti sapessero da mesi che Hamas aveva intenzione di attaccare Israele, ma che avessero sempre trascurato il piano sottovalutando le capacità militari e organizzative del gruppo.
L’inizio dell’«assedio totale» della Striscia
La reazione di Israele all’attacco fu da subito molto dura: già dal 7 ottobre l’aviazione israeliana cominciò a bombardare la Striscia di Gaza. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu disse che il paese era «in guerra» e che Hamas «pagherà un prezzo che non ha mai conosciuto». Due giorni dopo il governo israeliano ordinò «l’assedio totale» della Striscia di Gaza: fermò le forniture d’acqua, energia elettrica, cibo e carburante da Israele verso i territori della Striscia, a cui si accompagnò una delle più intense campagne di bombardamenti degli ultimi decenni. Fin dai primi giorni bloccò anche l’ingresso nella Striscia della maggior parte degli aiuti umanitari.
Il 27 ottobre l’esercito israeliano invase via terra la Striscia entrando da nord, con l’obiettivo dichiarato di distruggere Hamas e liberare tutti gli ostaggi. Netanyahu disse da subito che l’operazione sarebbe stata «lunga e difficile», motivo per cui oltre a 100mila soldati dell’esercito furono richiamati anche più di 300mila riservisti. Nei primi mesi l’esercito concentrò le sue operazioni su Gaza, la principale città della Striscia, e ordinò a centinaia di migliaia di civili palestinesi di evacuare le loro case e spostarsi verso sud. Dopo un mese di guerra il ministero della Salute della Striscia stimò che i civili uccisi dai bombardamenti israeliani fossero già più di 10mila.
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L’attacco di al Shifa e degli altri ospedali
Dopo l’inizio dell’invasione gli ospedali di Gaza diventarono un rifugio per la popolazione civile e si riempirono di migliaia di persone ferite dai bombardamenti. Presto però Israele iniziò ad attaccarli, sostenendo che ospitassero le basi operative di Hamas: i combattimenti più intensi avvennero all’ospedale di al Shifa, nella città di Gaza e il più grande della Striscia, che l’esercito israeliano assediò per giorni nonostante fosse pieno di civili.
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La prima (e ultima) tregua temporanea
Alla fine di novembre, dopo quasi due mesi di guerra, Israele e Hamas si accordarono per una tregua temporanea che durò una settimana. In quei giorni Hamas liberò un centinaio di ostaggi, in cambio della liberazione di oltre 200 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Da allora i negoziati per un cessate il fuoco o per istituire un’altra tregua temporanea sono andati avanti ma senza successo.
Con la ripresa dei combattimenti l’esercito israeliano continuò la sua avanzata nella Striscia, costringendo i civili palestinesi a spostarsi verso Khan Yunis e soprattutto verso Rafah, le principali città del sud. In poco tempo nell’area si rifugiarono circa due milioni di persone, schiacciate fra l’esercito israeliano che avanzava e il confine con l’Egitto, che rimaneva chiuso.
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La causa per genocidio alla Corte internazionale di giustizia
Alla fine di dicembre il Sudafrica intentò una causa contro Israele presso la Corte internazionale di giustizia (ICJ), il più importante tribunale delle Nazioni Unite, accusandolo di commettere un genocidio ai danni del popolo palestinese. Israele ha sempre negato fermamente questa accusa. Il processo è ancora in corso e potrebbe durare anni, ma già alla fine di gennaio la Corte ordinò a Israele di intervenire immediatamente adottando «tutte le misure in suo potere» per impedire al suo esercito di commettere atti di genocidio nella Striscia di Gaza. Le decisioni dell’ICJ sono in teoria vincolanti, ma la Corte non ha davvero i mezzi per farle rispettare e quindi spesso non hanno conseguenze concrete.
La Corte internazionale di giustizia non è stato l’unico organo internazionale a occuparsi dei possibili crimini commessi in questi mesi da Israele: a maggio il procuratore capo della Corte penale internazionale, il principale tribunale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità, chiese alla Corte di emettere un mandato di arresto per Netanyahu e per il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, oltre che per tre leader di Hamas (due dei quali furono uccisi poco dopo da Israele).
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Il primo attacco iraniano contro Israele
Mentre combatteva a Gaza, l’esercito israeliano fece diversi attacchi anche in Siria uccidendo importanti esponenti delle Guardie rivoluzionarie iraniane (la principale forza militare dell’Iran) e del gruppo politico e militare libanese Hezbollah, alleato dell’Iran. In risposta a metà aprile l’Iran lanciò contro Israele più di 300 fra droni e missili: l’attacco era parecchio esteso, ma non fece grossi danni poiché quasi tutte le armi iraniane furono intercettate dai sistemi di difesa di Israele e degli alleati, tra cui gli Stati Uniti e il Regno Unito. Nei giorni successivi Israele rispose in modo contenuto all’attacco.
L’assedio di Rafah
A metà febbraio l’esercito israeliano iniziò ad avvicinarsi a Rafah, l’unica città che ancora non era stata attaccata via terra e dove intanto si erano rifugiate 1,4 milioni di persone palestinesi che vivevano in pessime condizioni sanitarie, con scarsissima disponibilità di cibo e acqua. L’esercito rimase alla periferia di Rafah per circa due mesi: per settimane gli Stati Uniti e altri alleati chiesero a Israele di non invadere via terra la città, dato che i civili palestinesi non avevano un altro luogo dove andare e un eventuale attacco avrebbe avuto conseguenze umanitarie disastrose.
A inizio maggio l’esercito israeliano entrò comunque a Rafah. Come era successo per il resto della Striscia, le operazioni di terra furono accompagnate da intensi bombardamenti: a fine maggio uno di questi colpì una zona piena di civili, riuniti lì poiché l’esercito l’aveva designata come “area umanitaria”, ossia un posto considerato sicuro. Netanyahu definì quel bombardamento «un tragico errore», ma la stessa cosa successe di nuovo molte volte (l’esercito israeliano sostiene sempre che nelle aree colpite si nascondano dei miliziani di Hamas).
A fine maggio l’esercito arrivò nel centro di Rafah, costringendo oltre un milione di persone a spostarsi nuovamente, tornando verso il centro della Striscia e le città di Khan Yunis e Deir al Balah, che furono attaccate poche settimane dopo.
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L’uccisione del capo politico di Hamas
Negli ultimi 12 mesi Israele ha ucciso vari esponenti di Hamas. A fine luglio uccise a Teheran, in Iran, il capo politico del gruppo, Ismail Haniyeh, e pochi giorni dopo confermò l’uccisione del capo delle brigate al Qassam, l’ala armata di Hamas nella Striscia, Mohammed Deif. Da allora Hamas è guidata da Yahya Sinwar, che era già capo politico del gruppo nella Striscia di Gaza.
Il primo caso di poliomielite nella Striscia e la campagna vaccinale
A causa delle pessime condizioni igieniche e sanitarie della Striscia a metà luglio fu rilevato nelle acque reflue delle fognature il virus che causa la poliomielite, malattia che può provocare forme permanenti di paralisi e nei casi peggiori la morte. Un caso di poliomielite fu individuato a metà agosto, 25 anni dopo che la malattia era stata considerata eradicata nella regione. Il rischio che i casi di poliomielite si moltiplicassero portò Israele ad approvare delle brevi «pause umanitarie» concordate con l’Organizzazione mondiale della sanità per condurre una campagna vaccinale di massa nella Striscia.
L’operazione militare in Cisgiordania
Dall’inizio della guerra Israele ha anche intensificato la pressione militare ed economica sulla Cisgiordania: a fine agosto l’esercito condusse la più grossa operazione militare fino a quel momento in Cisgiordania, sostenendo di voler contrastare le attività di Hamas nella zona, ma di fatto colpendo aree popolate da civili. La Cisgiordania è un territorio che secondo la comunità internazionale appartiene ai palestinesi ma che da decenni Israele controlla in buona parte e occupa illegalmente tramite la costruzione di colonie: dall’inizio della guerra l’influenza dei coloni sulla regione è molto aumentata, così come le violenze contro i palestinesi.
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I bombardamenti in Libano e l’uccisione del leader di Hezbollah
Dopo mesi in cui gli scontri fra Israele e Hezbollah al confine con il Libano erano diventati più intensi e frequenti, a metà settembre Israele fece esplodere simultaneamente centinaia di cercapersone e walkie-talkie usati da membri del gruppo. La situazione è poi peggiorata velocemente: Hezbollah ha intensificato i bombardamenti verso Israele, che ha risposto bombardando intensamente varie zone del Libano, tra cui la capitale Beirut, colpendo vari edifici residenziali in zone popolate da civili con l’obiettivo di uccidere i leader di Hezbollah e distruggere le infrastrutture del gruppo.
Il 28 settembre con un bombardamento su Beirut l’esercito israeliano ha ucciso il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Nella notte fra il 30 settembre e il 1° ottobre Israele ha invaso il sud del Libano e poche ore dopo l’Iran ha compiuto un nuovo attacco missilistico contro Israele, utilizzando missili più veloci di quelli impiegati ad aprile, ma che comunque hanno fatto danni limitati.