Il “Supporto per la formazione e il lavoro” è pieno di problemi
Molti non riescono a riceverlo e non si sta rivelando utile a trovare lavoro, eppure aveva sostituito il reddito di cittadinanza per quello
di Mariasole Lisciandro
«Buonasera, sono 2 mesi che ho il pagamento interrotto… Qualcuno può aiutarmi a capire?»: è uno di tanti post simili che si leggono sui vari gruppi Facebook creati per dare un sostegno informale a chi ha problemi con il Supporto per la formazione e il lavoro, uno dei due sussidi con cui il governo di Giorgia Meloni ha sostituito il reddito di cittadinanza, che è vincolato a un percorso di ricerca attiva di un lavoro. Gli amministratori dei gruppi hanno un bel da fare: sono pieni di domande di chi smette di ricevere il pagamento e non capisce perché, di chi non sa neanche da che parte iniziare per chiederlo e di chi deve fare i conti con uffici pubblici che non rispondono, oltre a molti nuovi post ogni giorno con richieste di chiarimento.
Il Supporto per la formazione e il lavoro è in vigore da poco più di un anno, ma sono poche le informazioni a disposizione su come sta funzionando. Non c’è ancora una banca dati accessibile che comunichi periodicamente quanti fanno domanda, quanti lo ricevono, e quanti sono riusciti a trovare lavoro. E pure sul lato pratico sono molti i problemi che incontrano sia chi chiede il sussidio sia le diverse agenzie interessate, come patronati e centri per l’impiego: le procedure si sono rivelate macchinose e complicate, gli uffici che gestiscono le pratiche sono diversi e non comunicano tra loro, il livello dei servizi ha enormi differenze tra nord e sud, grandi centri e periferie.
Il risultato di questa confusione è che finora il sussidio non sembra aver agevolato, come era stato promesso, l’ottenimento del lavoro per le persone a cui si rivolge: eppure era uno dei motivi principali per cui era stato introdotto al posto del reddito di cittadinanza, che i partiti attualmente al governo avevano sempre sostenuto essere inefficace nella ricerca del lavoro; anzi, lo avevano spesso definito un incentivo a non lavorare. D’altra parte chi sostiene l’efficacia del sussidio fa notare che è passato un anno dalla sua introduzione e che servirebbe quindi più tempo prima che inizi a produrre dei risultati.
Ci sono però già abbastanza informazioni per poter dire che le procedure eccessivamente informatizzate e pesanti hanno reso il nuovo strumento addirittura respingente per le persone più ai margini e più lontane dal mercato del lavoro, poco avvezze agli strumenti digitali.
Il Supporto per la formazione e il lavoro è rivolto alle persone in condizione di povertà che rientrano nella categoria che il governo definisce degli «occupabili», cioè che potrebbero effettivamente lavorare: hanno tra i 18 e i 59 anni e all’interno del loro nucleo familiare non deve esserci un minore, una persona con disabilità o che abbia più di sessant’anni. Le persone “occupabili” sono state escluse dall’Assegno di inclusione, l’altro sussidio che ha sostituito il reddito di cittadinanza e che più gli assomiglia, per via dell’importo più generoso (l’importo medio è un po’ superiore ai 600 euro al mese): il Supporto per la formazione e il lavoro invece ammonta solo a 350 euro al mese, si può ricevere al massimo per 12 mesi ed è vincolato alla partecipazione a progetti di formazione, di qualificazione professionale e di accompagnamento al lavoro. I due sussidi hanno proprio una ragion d’essere diversa: il primo è pensato come un sussidio contro la povertà, il secondo serve per aiutare a trovare un lavoro.
I dati a disposizione sono pochi e non stanno consentendo un monitoraggio puntuale: le prime informazioni sul numero di beneficiari sono state pubblicate solo a luglio, dopo dieci mesi dall’attivazione della misura, mentre per il reddito di cittadinanza l’INPS aveva istituito un osservatorio mensile di raccolta organica dei dati. Fonti interne all’INPS fanno sapere che sarebbe in programma di iniziare già da ottobre una pubblicazione sistematica dei dati sui beneficiari con cadenza trimestrale, con l’obiettivo di dare informazioni più consolidate dal punto di vista statistico.
Al momento mancano del tutto anche i dati su quanti dei beneficiari hanno poi trovato effettivamente un lavoro, una carenza che esisteva anche per il reddito di cittadinanza su cui l’ANPAL, l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro, forniva comunicazioni sporadiche; l’agenzia fu commissariata e poi soppressa. Le uniche informazioni su quanti hanno trovato un impiego le ha date finora in modo occasionale la ministra del Lavoro Marina Calderone, l’ultima volta durante un question time al Senato il 26 settembre, cioè una di quelle sessioni in cui i ministri rispondono alle interrogazioni dei parlamentari. Disse che avevano complessivamente trovato lavoro 26.845 persone tra quelle che avevano sottoscritto un piano di attivazione digitale: un piano che però viene firmato sia da chi chiede il Supporto per la formazione e il lavoro che da chi percepisce l’Assegno di inclusione. La ministra inoltre non ha indicato la durata o la tipologia contrattuale del lavoro trovato.
Sul numero dei beneficiari si trova qualcosa nel rapporto annuale dell’INPS pubblicato di recente. Da settembre del 2023 fino a giugno del 2024 hanno ricevuto il sussidio 102mila persone, il 78 per cento delle quali è concentrato al sud e nelle isole. La regione dove ci sono più beneficiari è di gran lunga la Campania, con oltre 28mila beneficiari. L’INPS non dice quanto è stato speso, ma dovrebbe essere più o meno intorno ai 132 milioni di euro (calcolando la cifra su 102mila persone che hanno ricevuto per una media di 3,7 mensilità un sussidio da 350 euro).
Finora quindi con il Supporto per la formazione e il lavoro il governo ha più che altro raggiunto l’obiettivo di risparmiare rispetto al reddito di cittadinanza, giudicato eccessivamente costoso: la riduzione della spesa d’altra parte era uno degli obiettivi principali che il governo si era posto con la riforma. L’obiettivo di creare uno strumento più utile a trovare lavoro invece per il momento sembra lontano.
Fonti del ministero del Lavoro hanno detto al Post che rispetto a giugno i beneficiari sarebbero già aumentati a 130mila: è un numero comunque molto sotto la platea potenziale individuata inizialmente dal governo, che aveva previsto di raggiungere oltre 400mila persone, per cui erano stati stanziati 1,5 miliardi di euro per il solo 2024: la stima si basava su coloro che percepivano il reddito di cittadinanza nel 2022 e che rientravano nella categoria degli “occupabili”, come definita dal governo.
Dai dati INPS risulta che di questi 400mila solo poco più di 200mila abbiano fatto richiesta per i nuovi sussidi: 120 mila per l’Assegno di inclusione, e solo 82 mila per il Supporto per la formazione e il lavoro (i percettori complessivi sono di più perché non tutti quelli che lo hanno chiesto erano già percettori del reddito di cittadinanza). Gli altri 200mila circa si dividono tra: chi ha attualmente un lavoro (98mila persone); chi lo ha trovato ma lo ha perso, e ora percepisce il sussidio di disoccupazione (27mila); e chi invece non ha fatto domanda per il nuovo sussidio rinunciando a qualsiasi beneficio. Rientrano in quest’ultima categoria circa 80mila persone, che sono dunque state perse del tutto dal sistema delle politiche attive, per motivi che secondo l’INPS non sono chiari.
Una ragione potrebbe essere legata alla differenza nei requisiti per fare domanda: per avere diritto al reddito di cittadinanza bisognava avere meno di 9.600 euro di ISEE, l’indicatore che serve ad attestare la condizione economica familiare; per il Supporto per la formazione e il lavoro il limite è stato fissato più in basso, a 6mila euro. Dunque le persone “occupabili” con ISEE tra 6mila e 9.600 euro hanno prima perso il reddito di cittadinanza e poi non hanno potuto fare domanda per il nuovo sussidio.
Un motivo è probabilmente legato ai meccanismi per la richiesta, che si sono rivelati molto complicati e respingenti per una platea di persone generalmente poco istruita e senza particolari competenze o dotazioni tecnologiche, come potrebbe essere una casella mail, lo SPID o una PEC. Lo confermano anche le persone che lavorano nelle strutture che dovrebbero aiutare chi ha diritto al sussidio. Una persona che lavora in un patronato a Brescia, e che preferisce restare anonima, dice che il sistema per chiedere il Supporto per la formazione e il lavoro «non era proprio quello che serviva a queste persone, non fatto così».
Il funzionamento del Supporto per la formazione e il lavoro richiede procedure online che erano state presentate come estremamente agevoli e di semplice gestione. Gli interessati possono fare domanda autonomamente sul sito dell’INPS, a cui si accede tramite SPID o carta d’identità elettronica: una volta compilati tutti i moduli si riceve la conferma di avvenuta richiesta e il numero di protocollo. In questa prima fase possono decidere di rivolgersi ai patronati o ai CAF, i centri di assistenza fiscale, che possono inoltrare la richiesta per loro conto.
Per acquisire il diritto al sussidio bisogna poi passare per un’altra piattaforma online, chiamata Sistema Informativo per l’Inclusione Sociale e Lavorativa (SIISL), su cui il richiedente deve inserire il proprio curriculum e sottoscrivere un primo “patto di attivazione digitale”: anche questo si può fare in autonomia o tramite patronati e CAF. A questo punto la richiesta è inserita e bisogna recarsi in un centro per l’impiego per firmare il “patto di servizio personalizzato”: è una sorta di piano in cui si definiscono le competenze e le aspirazioni del richiedente, oltre che alcune possibili strade per la formazione e la riqualificazione professionale.
A quel punto la persona che ha chiesto il sussidio deve scegliere tre agenzie per il lavoro o enti autorizzati a prenderla in carico: se i requisiti sono a posto la richiesta viene accettata e la persona viene convocata. Da quel momento il diritto a ricevere il sussidio è acquisito, e la persona potrà ricevere offerte di lavoro o di partecipazione a servizi di orientamento e accompagnamento al lavoro: a questi si aggiungono progetti di formazione o qualificazione professionale, organizzati da enti pubblici o privati, anche online, e progetti di servizio civile. Il richiedente può consultare anche le offerte che ci sono sulla piattaforma SIISL.
Rossella Marinucci lavora nella divisione mercato del lavoro e politiche attive della CGIL, uno dei sindacati che attraverso la sua rete di sportelli di orientamento e patronati sono direttamente coinvolti nella gestione delle domande del sussidio. Racconta che in questo primo anno ci sono state molte difficoltà sul fronte delle domande.
Quella più comune è legata al fatto che chi fa richiesta per il Supporto per la formazione e il lavoro non ha a che fare con un solo ente, ma fino a tre diversi: c’è l’ufficio che recepisce la domanda, come un CAF o un patronato, se non si provvede da soli; poi c’è il centro per l’impiego, che invece si occupa della parte di ricerca del lavoro; e infine l’INPS, per tutto ciò che riguarda il pagamento del sussidio. «Il problema è che ognuno dei soggetti ha solamente accesso alle informazioni sul suo pezzetto di procedura» dice Marinucci, dunque se c’è un intoppo il richiedente prima deve riuscire a capire cosa è andato storto, e poi andare all’ufficio competente: un patronato non può risolvere per esempio problemi nei pagamenti, così come un centro per l’impiego non può occuparsi di intoppi nella domanda iniziale.
La risoluzione dei problemi è dunque spesso demandata alla buona volontà degli impiegati: «Molti si rivolgono a noi anche per problemi non di nostra competenza, e capita che gli operatori dei nostri centri li aiutino come possono, magari guidandoli sui loro telefoni», dice ancora Marinucci. Tutto dipende dunque da chi ci si trova davanti, ma capita spesso che di fronte all’ufficio sbagliato e all’impossibilità di ricevere assistenza poi la persona abbandoni del tutto la procedura, e dunque rinunci al sussidio e alle politiche attive per trovarsi un lavoro. Dopo una curiosità iniziale dei primi mesi in cui la misura era in vigore, i centri oggi si ritrovano a gestire relativamente poche domande, anche a causa della complessità delle procedure.
Chi fa domanda spesso non è avvezzo né alla burocrazia né alla gestione delle pratiche digitali: secondo i dati INPS solo il 6 per cento dei richiedenti ha un diploma di scuola superiore. Sono spesso persone a rischio di esclusione sociale, eppure devono essere in grado di destreggiarsi tra strumenti digitali che sanno usare poco.
Un’altra fonte di intoppi riguarda le misure di controllo lungo il percorso. I beneficiari sono infatti tenuti ad aderire a tutte le misure di formazione e attivazione che sono richieste dal centro per l’impiego e periodicamente devono dimostrare di averlo fatto, altrimenti perdono il sussidio.
Chi lavora negli uffici che devono gestire le pratiche segnala vizi procedurali evidenti, e non tanto nella prima presa in carico, che anzi per i centri specializzati e i patronati risulta molto semplice, quanto nel momento dell’attivazione professionale: una persona che lavora in un patronato dice che capita molto frequentemente che non si riesca «a sbloccare l’erogazione del sussidio proprio perché non si capisce come portare a termine la parte amministrativa». Il risultato è che le persone fanno tutto quello che serve, vanno agli appuntamenti e seguono i corsi, ma l’erogazione del sussidio viene interrotta o addirittura non parte proprio. Fonti del ministero del Lavoro hanno detto al Post che effettivamente gran parte delle segnalazioni di problemi che ricevono riguarda proprio i casi in cui il sussidio viene perso per presunto abbandono delle politiche attive.
Una persona che lavora per uno di questi enti accreditati per la formazione e l’erogazione delle politiche attive – che preferisce restare anonima – dice che capita quasi sempre che le persone che prende in carico tornino da lei lamentando di non ricevere il sussidio. «Noi non possiamo aiutarlo, e io mi sento anche responsabile perché so che queste persone hanno bisogno di quei soldi», dice. L’ente responsabile dei pagamenti sarebbe l’INPS, che secondo molte testimonianze spesso rimanda indietro chi chiede il sussidio anche quando ha la documentazione perfettamente in regola, in un rimpallo di competenze che fa perdere mesi di pagamenti.
Dopo un anno non ci sono state ancora correzioni. Fonti del ministero del Lavoro hanno detto al Post che sarebbe stato costituito un gruppo di lavoro per monitorare come funziona l’accesso alla misura, e che il ministero sarebbe al corrente che varie cose debbano ancora essere sistemate.
Tra i problemi c’è anche il fatto che la procedura non è del tutto uniforme a livello nazionale, ogni regione ha le sue regole. Marinucci della CIGL sostiene che siano le differenze tra le regioni a generare gran parte dei problemi. Fa l’esempio delle difficoltà ad accedere ai corsi di formazione, necessari per ottenere il sussidio: nei territori più densamente popolati le classi si riempiono alla svelta, e i corsi partono abbastanza velocemente; in altri invece si fa fatica a raggiungere il numero minimo e a volte i richiedenti attendono mesi prima di iniziare a frequentarli.
Le differenze territoriali sono anche dirimenti nella possibilità di trovare lavoro: è evidente che nelle aree più industrializzate sia più facile trovare un’azienda pronta ad assumere, mentre succede molto meno nelle zone dove l’attività economica è più scarsa. Il tutto è complicato poi dalle caratteristiche di chi chiede il sussidio: il governo ha valutato come unico requisito per poter lavorare quello anagrafico e familiare, ma le persone che si rivolgono alla rete di assistenza sono spesso ai margini della società per via di storie lavorative complicate, un basso livello di istruzione e una conseguente scarsa appetibilità sul mercato del lavoro. Secondo Marinucci procedure così standardizzate non stanno consentendo di cogliere le reali difficoltà di queste persone nel trovare un lavoro: «Puoi mandare le persone a fare otto ore di corso di excel, ma se queste poi non hanno manco un computer dentro casa con cui fare pratica è evidente che non le rendi pronte per il mercato del lavoro».
La sensazione tra chi ha a che fare con il sussidio e con i percorsi che richiede è che sia più orientato alla riqualificazione professionale, e non davvero alla ricerca di lavoro. Capita anche che non siano neanche tenute troppo di conto le esperienze passate o le competenze dei richiedenti: non è infrequente che a persone che hanno fatto lavori manuali per tutta la vita, per esempio i muratori, vengano proposti in età già mature corsi di informatica che con ogni probabilità non gli serviranno mai.
Non è chiaro infine che vantaggio stia dando la piattaforma SIISL nella ricerca di lavoro: era stata creata proprio per creare un canale privilegiato per i beneficiari del sussidio, che sono gli unici che possono accedervi. Non si sa esattamente come funzioni, così come non si sa quanti annunci ci siano pubblicati sopra e di che tipo. Quando fu inaugurata il ministero del Lavoro disse che c’erano già 60mila annunci, ma da allora le comunicazioni ufficiali sono state poche: fonti del ministero dicono che nell’intero anno ci sono state 136mila offerte di lavoro. La ministra Calderone durante il question time di fine settembre ha detto che sul portale sono presenti anche più di 27mila corsi di formazione e quasi 6mila progetti di pubblica utilità.
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