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  • Lunedì 7 ottobre 2024

La Resistenza degli scout italiani, spiegata ai bambini

Tra il 1943 e il 1945 un gruppo scout lombardo aiutò più di 2mila persone ricercate a fuggire in Svizzera: Stefania Carini lo racconta nel suo nuovo romanzo per ragazzi

Illustrazione di un gruppo di ragazzi in divisa da scout – uno sta giurando come "lupetto" – nella cripta di una chiesa
Un gruppo di scout nella chiesa di San Sepolcro, a Milano, in un'illustrazione di Giulia Rossi dal libro Il coraggio di Oscar di Stefania Carini (© 2024 Mondadori Libri S.p.A., Milano)

Durante la Seconda guerra mondiale tra le persone che in un modo o nell’altro si opposero al fascismo e all’occupazione tedesca ci fu anche un gruppo scout lombardo, che aiutò a fuggire in Svizzera 2.166 persone ricercate da fascisti e nazisti. Il gruppo si chiamava Aquile Randagie e fu fondato da Giulio Cesare Uccellini nel 1928, quando lo scoutismo fu vietato dal governo di Benito Mussolini: continuò a praticare le attività scoutistiche in modo clandestino per tutta la durata della dittatura. Poi, dopo l’armistizio italiano dell’8 settembre 1943, si riorganizzò come O.S.C.A.R. (“Organizzazione Scout Collocamento Assistenza Ricercati”) sotto la guida del sacerdote Andrea Ghetti per aiutare persone ebree, disertori, ricercati politici e soldati alleati a uscire dall’Italia.

Di recente questa storia poco conosciuta è stata raccontata nel romanzo per ragazzi Il coraggio di Oscar da Stefania Carini, giornalista e collaboratrice del Post. Nel libro la storia della Resistenza degli scout è raccontata da un personaggio inventato, una donna anziana, a un gruppo di bambini. Ne pubblichiamo un estratto.

***

«Immaginate dei ragazzi» inizia la signora Elena, «alcuni poco più grandi di voi. Sono scout: avrete visto qualche volta un gruppo scout, no? O magari qualcuno di voi lo è. Gli scout nacquero a inizio Novecento da un’idea dell’inglese Robert Baden-Powell, e alcune associazioni vennero fondate anche in Italia. Vestivano in divisa, facevano tante attività di gruppo immersi nella natura, imparavano a stare insieme, a essere responsabili, a collaborare tra di loro e ad aiutare gli altri. Ma tutto questo finì nel 1928, quando Mussolini decise che i bambini e le bambine non potevano essere liberi di fare ciò che volevano, nemmeno fuori da scuola. Pensate che ai ragazzi e alle ragazze si insegnava la matematica calcolando la lunghezza dei fucili da guerra!»

La signora Elena si incupisce improvvisamente, poi scuote la testa come per scacciare qualche brutto pensiero. E continua: «Mussolini, dunque, vietò agli scout di esistere. Intanto creò una sua organizzazione per ragazzi e ragazze, l’Opera nazionale Balilla, dove però non ti insegnavano ad aiutare gli altri o a pensare con la tua testa, no: dovevi pensare con quella dei fascisti. E dovevi solamente obbedire, come un soldatino diligente, anche se eri appena un bambino. Però accadde che… a un certo punto qualcuno disobbedì!».

«Oscar!» urla Valentino.

«Credi di avere già capito tutto, eh?» La signora Elena sorride, mentre Valentino arrossisce. «Dunque, dicevo: a disobbedire fu un reparto degli scout di Milano guidato da Giulio, un giovane capo di 24 anni.»

La signora Elena fa una pausa, come se stesse immaginando la scena. «Eccoli radunati in gran segreto nella chiesa di San Sepolcro, a Milano. Il buio della cripta, l’eco delle loro voci, la paura di essere scoperti… niente però avrebbe potuto fermarli! Addirittura uno di loro pronunciò la sua promessa da Lupetto, il primo passo ufficiale per diventare uno scout. Da quel momento in poi decisero di continuare a incontrarsi di nascosto, clandestinamente, nonostante il pericolo e il timore di essere denunciati.»

«Doveva piacergli davvero tanto fare gli scout…» commenta Giulia, la compagna di banco di Valentino che sa fare sempre le domande giuste. Per questo è sua amica!

La signora Elena risponde con calma: «Non è solo questo… Per quei giovani, continuare a essere scout significava difendere le loro idee e il loro modo di essere, i loro principi: quelli della libertà, della lealtà e della fraternità. Significava ribellarsi alla violenza, alla repressione, all’odio del regime fascista. Significava resistere un giorno in più del fascismo. Significava diventare “aquile randagie”, come decisero di chiamarsi!».

Valentino spalanca gli occhi. «“Aquile Randagie” sembra il titolo di una serie TV! E il nuovo Lupetto sarà Oscar, ovvio!» esclama rivolgendosi a tutta la classe e alla maestra, sicurissimo delle sue intuizioni.

La signora Elena scrolla la testa divertita. «No, no… il nuovo Lupetto non è Oscar. Eh sì, anche io ho sempre trovato “Aquile Randagie” un nome bellissimo. Vedete, il gruppo iniziò a cercare una sede dove incontrarsi di nascosto, ma non fu facile perché le parrocchie che inizialmente li ospitavano temevano problemi. In passato c’erano già state violenze dei fascisti contro gli scout, figurarsi ora che Mussolini li aveva ufficialmente banditi!»

«E allora come fanno le Aquile?» chiede Giulia, ansiosa di sapere.

«Be’, le nostre coraggiose Aquile scelsero di essere randagie. Ciò significava che non avrebbero avuto una sede, e si sarebbero incontrate di nascosto, ogni volta che potevano, libere e indipendenti. E decisero di chiamarsi “Aquile” perché per loro questo animale simboleggiava volontà, decisione, osservazione, potenza e nobiltà di ideali. Le Aquile inizialmente erano circa venti, tra gli 11 e i 17 anni, provenienti da Milano e da Monza; e del gruppo faceva parte anche Andrea, un ragazzo di 16 anni, carismatico tanto quanto Kelly. I due formavano una coppia formidabile, così diceva sempre Fabio.»

Valentino la guarda stranito. «Ehi, aspetta! Chi è Kelly? E chi è Fabio?»

La signora Elena si porta la mano alla bocca. «Uh, hai ragione, sono andata troppo di fretta! Be’, oramai avete capito che le Aquile randagie dovevano fare tutto in segreto, giusto? E così adottarono degli stratagemmi per non farsi scoprire. Ad esempio ognuno di loro scelse un nome in codice. Giulio – quello che aveva disobbedito all’inizio, ricordate? – si fece chiamare Kelly; Andrea, il suo compare, fu Baden (dal nome del fondatore degli scout). E Fabio, invece, scelse di chiamarsi…»

«Oscar!» urla Valentino.

«… Falchetto Veloce! Ti ho fregato anche questa volta.»

La signora Elena scoppia a ridere.

«Fabio aveva 12 anni e occhi brillanti come il suo enorme e perenne sorriso. Era sempre di corsa, non stava mai fermo, e quando voleva qualcosa non ci pensava due volte, scattava veloce… proprio come un falchetto, dicevano tutti. Adorava camminare all’aria aperta, dormire in tenda, mangiare davanti al falò: imparava così un sacco di cose. Amava il gioco, l’avventura e aiutare gli altri, cosa che non smetterà di fare anche quando diventerà molto rischioso.»

La signora Elena guarda un’altra volta con malinconia la macchinina di latta che tiene in mano, ma si riprende subito e prosegue: «Non che continuare a essere scout non fosse già rischioso, eh! Questi ribelli, se scoperti, potevano essere denunciati e picchiati da qualche fascista, che avrebbe potuto anche perquisire le loro case.
Le loro famiglie ne erano consapevoli: erano antifasciste, e accettarono il rischio di poter essere interrogate e di perdere il lavoro».

«Perché rischiano così tanto?» chiede ancora Giulia; mentre Valentino pensa che la sua amica gli ha rubato la domanda.

«È difficile da spiegare… Forse perché molti di noi sono capaci di opporsi a quello che ritengono ingiusto, cominciando dalle piccole cose per poi, chissà, passare a cose più grandi».

© 2024 Mondadori Libri S.p.A., Milano
Illustrazioni di Giulia Rossi

La copertina di "Il coraggio di Oscar"