Un anno dopo, nei kibbutz israeliani assaltati da Hamas non è tornato quasi nessuno
Quelli più colpiti sono ancora spopolati e semidistrutti, ma qualcuno sta comunque provando a ricostruire
Un anno dopo l’attacco di Hamas contro i kibbutz israeliani vicini al confine con la Striscia di Gaza, molte delle località colpite sono ancora disabitate e in parte inagibili, con edifici distrutti o danneggiati dalle razzie e dai combattimenti del 7 ottobre 2023. In quasi tutti sono comunque previsti progetti di ricostruzione, e alcuni ex residenti sperano di poter tornare presto a vivere nelle proprie case. Non è detto che sarà possibile, soprattutto finché continua la guerra nella Striscia di Gaza. Nell’ultimo anno l’esercito israeliano ha ucciso nei combattimenti oltre 42mila persone palestinesi, in gran parte civili.
I kibbutz sono piccole comunità ebraiche egalitarie, nate principalmente prima e dopo la Seconda guerra mondiale. Il termine “kibbutz” viene dalla parola ebraica che significa “ritrovo” o “collettivo” (“kibbutzim” al plurale) e indica una specie di comune basata su principi egalitari fra gli uomini e le donne che ne fanno parte. In Israele ce ne sono più o meno 250, con una popolazione totale di circa 125mila abitanti: nacquero essenzialmente come comunità di agricoltori, ma nel tempo hanno avviato al loro interno attività commerciali e perfino turistiche.
Il 7 ottobre del 2023, quando migliaia di miliziani e membri di Hamas attaccarono il territorio israeliano, si rivolsero soprattutto ai kibbutz che erano stati costruiti nelle vicinanze del confine con Gaza. Molti di questi kibbutz distavano pochi chilometri, facilmente percorribili anche in moto, ma c’erano comunità ancora più vicine. Per esempio il kibbutz di Kerem Shalom, dove prima dell’attacco vivevano poco più di 200 persone, è a circa 100 metri dal confine con la Striscia. Oltre ai kibbutz vicini al confine i membri di Hamas colpirono anche il festival musicale Supernova, che si teneva all’aperto e in cui furono uccisi almeno 260 ragazze e ragazzi, e la città di Sderot, che per ore il 7 ottobre rimase sotto il controllo dei miliziani.
Complessivamente nell’attacco i miliziani uccisero quasi 1.200 persone, per la maggior parte civili, e presero circa 250 persone in ostaggio.
I kibbutz più colpiti, quelli dove ci fu il maggior numero di morti, feriti e rapiti, furono nove: Be’eri, Kfar Aza, Nahal Oz, Nir Oz, Sufa, Holit, Re’im, Kissufim e Nirim. Le storie dei loro abitanti parlano di massacri e violenze, molto spesso perpetrati in maniera estremamente cruenta. Data la violenza dell’attacco di Hamas, e poi dei successivi combattimenti con l’esercito israeliano arrivato con grande ritardo in aiuto degli abitanti dei kibbutz, oggi molti degli edifici di quelle comunità sono ancora diroccati, crivellati di proiettili o danneggiati dalle granate.
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Nei giorni immediatamente successivi al 7 ottobre 2023 il governo israeliano evacuò tutti i kibbutz al confine con la Striscia di Gaza, sia quelli che erano stati assaltati sia quelli risparmiati, e alloggiò migliaia di persone in vari hotel in città più all’interno del paese. Il governo istituì poi un nuovo ufficio chiamato Minhelet Tekuma, che significa “autorità della ricostruzione” e che ha tuttora il compito di gestire la situazione dei sopravvissuti al massacro di Hamas e di riavviare, quando e dove possibile, la ricostruzione delle comunità nella regione attorno alla Striscia di Gaza.
Nel corso dei mesi Minhelet Tekuma ha pian piano consentito agli abitanti dei kibbutz che non erano stati assaltati da Hamas di tornare nelle proprie abitazioni, anche se molti non hanno voluto farlo a causa del pericolo percepito e dei traumi subìti il 7 ottobre. I kibbutz più colpiti, invece, sono ufficialmente rimasti chiusi e completamente evacuati, e le autorità non progettano di avviare progetti di ricostruzione prima della fine del 2025.
Nonostante questo, e nonostante la chiusura formale, una minoranza dei vecchi abitanti è tornata a vivere anche nei kibbutz più colpiti.
Un esempio notevole è quello del kibbutz Be’eri, forse il più famoso tra quelli assaltati da Hamas. Prima dell’attacco a Be’eri vivevano circa mille persone: i miliziani di Hamas uccisero 96 civili, oltre a poliziotti e membri dell’esercito. Presero anche 26 ostaggi, dei quali 11 sono ancora nella Striscia di Gaza, mentre cinque sono ritenuti morti. Delle circa 350 case di cui era composta la comunità, 120 sono state distrutte dai combattimenti. Be’eri divenne un simbolo anche perché era uno dei pochi kibbutz israeliani che ancora mantenevano lo spirito comunitario delle origini: i suoi abitanti mangiavano tutti insieme in una grande sala comune, e la vita della comunità era improntata alla condivisione.
Dopo la prima frettolosa evacuazione, nei mesi successivi al massacro la popolazione di Be’eri fu spostata in un kibbutz a 30 chilometri di distanza, quello di Hatzerim, dove furono costruite delle case temporanee. Oggi circa il 70 per cento della popolazione di Be’eri vive a Hatzerim, mentre altri vivono in città circostanti, o ancora in hotel. Ma circa un centinaio di persone ha deciso di tornare a vivere a Be’eri, nonostante la presenza delle rovine e l’ordine di evacuazione delle autorità, e da qualche tempo ha ripreso anche alcune attività economiche.
Avida Bachar è un residente di Be’eri che durante l’assalto di Hamas ha perso la moglie e il figlio di 15 anni; lui stesso ha perso una gamba a causa di una granata lanciata da un miliziano contro la sua casa. Dopo sei mesi di ospedale, Bachar è tornato a Be’eri e ha ripreso il suo lavoro da agricoltore: «Questo posto fiorirà ancora, e noi con lui. Tra tre o quattro anni sono sicuro che sarà un posto migliore», ha detto a Reuters.
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Situazioni simili si vivono in tutti gli altri kibbutz colpiti, in cui alcune persone sono tornate a vivere tra le macerie. A Kfar Aza, dove prima del massacro vivevano circa mille persone, oggi i residenti sono una cinquantina. A Nir Oz, dove prima vivevano circa 420 persone, oggi sono soltanto in due.
La situazione ancora sospesa degli ex residenti dei kibbutz, molti dei quali hanno ancora parenti e amici rapiti da Hamas, rende complicata anche la commemorazione di questo primo anniversario del 7 ottobre. Molti dei residenti accusano il governo di non aver fatto abbastanza per prevenire l’attacco di Hamas, e chiedono un accordo per la liberazione degli ostaggi.
I residenti del kibbutz di Kfar Aza, per esempio, hanno pubblicato qualche tempo fa un comunicato in cui hanno fatto sapere che non parteciperanno alle commemorazioni nazionali dell’anniversario «finché non potremo abbracciare i nostri amici quando torneranno dalla prigionia». Le comunità dei kibbutz di Be’eri, Nirim e Nir Oz hanno chiesto l’apertura di un’indagine ufficiale sulle responsabilità per i fallimenti del 7 ottobre, cosa che finora non è stata fatta.