Il candidato fantasma alle elezioni presidenziali in Tunisia
Ayachi Zammel è l'unico vero oppositore al presidente autoritario Kais Saied, ma è in carcere da un mese e i suoi manifesti sono rarissimi
di Arianna Poletti
All’inizio della campagna elettorale per le elezioni presidenziali in Tunisia, che si tengono domenica 6 ottobre, i comuni si occupano di disegnare una serie di riquadri sui muri delle strutture che ospitano i seggi, cioè in gran parte dei casi nelle scuole. All’interno dei riquadri sono affissi i manifesti dei candidati: a ciascuno di loro viene assegnato un numero. Nel 2019, quando l’attuale presidente Kais Saied vinse le ultime presidenziali con il 73 per cento dei voti, le facce di ben ventisei candidati si susseguivano per una decina di metri sui muri delle scuole.
Cinque anni più tardi, i riquadri disegnati sugli stessi muri sono solo tre. I candidati ufficiali per le elezioni presidenziali di domenica infatti sono Saied stesso, un suo sostenitore – Zouhair Maghzaoui, della sinistra – e Ayachi Zammel, ex deputato liberale e capo dell’azienda agricola Ayachi Group.
Malgrado la scelta sia già notevolmente più ridotta rispetto alle scorse elezioni, in buona parte dei quartieri di Tunisi e delle principali città della Tunisia in realtà soltanto un riquadro, il numero 3, contiene il rispettivo manifesto elettorale: quello di Kais Saied. Il suo volto onnipresente sui muri tunisini è una buona metafora della situazione politica del paese dopo il colpo di Stato compiuto da Saied nel luglio del 2021. Nei mesi scorsi Saied ha fatto arrestare tutti i suoi principali avversari politici, e quindi a partecipare davvero alle elezioni presidenziali non è rimasto quasi nessuno.
Per le vie del centro di Tunisi capita raramente di incrociare il manifesto elettorale di Zouhair Maghzaoui, il candidato numero 2, che non ha messo in dubbio il progetto politico dell’attuale presidente. È ancor più raro accorgersi dell’unico candidato che si oppone davvero a Saied, a cui paradossalmente gli uffici elettorali hanno assegnato il numero 1: Ayachi Zammel. La sua campagna elettorale, infatti, è resa praticamente impossibile dal fatto che si trova in carcere dal 3 settembre, quando è stato condannato per tredici anni e otto mesi con l’accusa, in quattro processi diversi, di frode. Secondo l’accusa avrebbe falsificato i moduli elettorali richiesti per candidarsi: lui si è sempre detto innocente.
Una strana decisione
Oltre ad aver smantellato il sistema partitico e ad avere fatto eleggere un parlamento composto solo da candidati indipendenti, dal quale peraltro non dipende in alcun modo la stabilità del governo, nel 2022 Saied ha approvato tramite un referendum senza quorum (a cui ha partecipato meno del 30 per cento dei tunisini) la nuova Costituzione del paese.
Fra le nuove norme ce n’è una che stabilisce i criteri per candidarsi alle elezioni presidenziali. Prevede l’obbligo di depositare almeno 10.000 firme di elettori certificati provenienti da dieci circoscrizioni diverse all’Istanza Superiore Indipendente per le Elezioni (ISIE): è l’organismo che ha preso il posto del ministero dell’Interno nella supervisione del processo elettorale dopo la rivoluzione del 2011, quando enormi proteste di piazza portarono alle dimissioni del dittatore Zine El Abidine Ben Ali. Saied ha cambiato la composizione dell’ISIE nell’aprile del 2022.
Da allora, l’organo che dovrebbe garantire la legittimità del processo elettorale è di fatto espressione del presidente in carica, e svolge un ruolo profondamente politico. L’ultimo giorno per presentare le candidature alle presidenziali era il 6 agosto. Quattro giorni dopo l’ISIE ha comunicato di avere respinto quasi tutte le candidature presentate.
È possibile che anche il processo contro Zammel sia stato condizionato da decisioni politiche. La richiesta di rinvio del processo in attesa delle elezioni presentata dagli avvocati di Zammel è stata ignorata. Ad appena qualche giorno dalle elezioni, il 3 ottobre, la sentenza che lo condanna a un totale di tredici anni e otto mesi di prigione è stata confermata in appello, con una rapidità rara per la giustizia tunisina. «Ayachi Zammel resterà comunque candidato alle presidenziali. Niente potrà mettere fine alla sua candidatura, se non la morte», hanno fatto sapere i suoi avvocati, che in sua assenza stanno portando avanti la campagna elettorale.
Zammel non può fare campagna elettorale ma il suo nome rimarrà sulla scheda, dato che al momento la sentenza del tribunale non prevede la sua rimozione. Incredibilmente, i sondaggi più recenti lo danno al secondo posto, non lontano dai consensi di Kais Saied. Non si sa cosa potrebbe accadere se dovesse raccogliere abbastanza consensi da arrivare al ballottaggio (per vincere al primo turno Saied ha bisogno della maggioranza assoluta dei voti). Così Zammel si ritrova a rappresentare inaspettatamente, quasi a sua insaputa, il ruolo dell’unico candidato di opposizione.
Chi è esattamente, Zammel
La storia di questo ingegnere chimico diventato capo dell’azienda agricola di famiglia, che commercia soprattutto olio d’oliva e pomodori, mostra bene la repressione sistematica compiuta da Saied contro alcune figure della società tunisina.
Saied ha indicato gli imprenditori come nemico numero uno del paese, simbolo, a suo dire, della corruzione dilagante. Eletto deputato nel 2019 nella regione rurale di Siliana, da dove proviene, nel nord della Tunisia, Zammel ha fatto parte per due anni del gruppo parlamentare del partito liberale Tahya Tounes. Poi, il 25 luglio 2021, l’accesso al parlamento venne sbarrato dalle forze di polizia per volontà di Saied. Da allora Saied approvò alcune riforme che di fatto lo hanno svuotato di ogni potere.
Da quando aveva perso il suo seggio in parlamento Zammel era scomparso dalla scena pubblica, fino a quando il suo nome non era ricomparso fra i nomi dei potenziali candidati alle elezioni presidenziali. Zammel è considerato un moderato, legato al mondo degli affari, non ha posizioni che si possono definire radicali e non si è mai fatto notare per le sue posizioni politiche. Il suo programma, però, propone misure che non piacciono a Saied. Per esempio l’abolizione del decreto presidenziale numero 54, che condanna con il carcere chiunque diffonda generiche “informazioni false”, utilizzato negli scorsi mesi per arrestare giornalisti indipendenti, attivisti e politici dell’opposizione.
I leader politici che ancora erano rimasti liberi in seguito a questa campagna di repressione si erano candidati alle presidenziali, ma la loro candidatura è stata respinta. Diversi di loro hanno fatto ricorso contro la decisione, e a metà settembre il tribunale amministrativo di Tunisi aveva ribaltato la decisione di escludere Mondher Zneidi – il principale avversario politico di Saied, ex ministro negli anni di Ben Ali –, Abdellatif Mekki (ex leader del partito islamista Ennahda) e Imed Daïmi (consigliere dell’ex presidente Moncef Marzouki, vicino a Ennahda). La decisione del tribunale, però, è stata aggirata dallo staff presidenziale, che ha costretto il parlamento a cambiare la legge elettorale a nove giorni dalle elezioni, eliminando la possibilità dei tribunali amministrativi di esprimersi sulle decisioni dell’ISIE.
Altri candidati semplicemente non hanno potuto candidarsi e fare campagna elettorale perché si trovano in carcere. È successo per esempio a gran parte dei leader del Fronte di salvezza nazionale, un gruppo politico che si era formato a seguito del colpo di stato di Saied, al quale hanno aderito alcuni esponenti di Ennahda. Così come alle figure più note della scena politica tunisina nel decennio 2020-2021 – da Abir Moussi del Partito Desturiano Libero, vicina all’ex regime di Ben Ali, al leader di Ennahda, Rached Ghannouchi.
Ayachi Zammel rimane quindi l’unica opzione per chi intende votare contro Saied e i suoi metodi autoritari. Il suo volto compare oggi, suo malgrado, sulle magliette di alcuni degli attivisti che chiedono un’elezione libera e trasparente.
Dopo essere stato l’unico paese del Nord Africa a costruire uno stato democratico in seguito alle rivolte delle primavere arabe, la Tunisia era riuscita a trasformare la propria rivoluzione in un fragile Stato di diritto, che è però imploso a dieci anni dalle proteste del 2011 con il colpo di stato di Saied del 2021. Mentre prometteva di ripulire il paese dalla corruzione e da una generica “influenza straniera”, mese dopo mese Saied ha smantellato le fragili istituzioni tunisine con misure rimaste incontestate a causa dell’assenza di una Corte Costituzionale.
Ormai da diversi mesi la repressione riguarda diversi pezzi della società civile tunisina, e in particolar modo le associazioni che si occupano di migranti subsahariani. Da un anno e mezzo Saied accusa i migranti subsahariani di avere peggiorato la condizione economica e sociale della Tunisia, e per molti di loro è diventato praticamente impossibile affittare una casa o trovare un lavoro. È la ragione per cui nel 2023 moltissimi di loro cercarono di scappare via mare in Italia, rendendo la Tunisia il primo paese di partenza per i migranti che cercano di raggiungere via mare l’Italia. Dopo mesi di arrivi l’Unione Europea su pressione del governo italiano di Giorgia Meloni ha stretto un accordo proprio con Saied affinché le forze di sicurezza tunisine fermino con la forza le partenze di migranti.
I pochi attivisti e simpatizzanti dell’opposizione hanno fatto campagna elettorale in un clima politico molto teso. Il 25 settembre una donna di nome Mawadda Jmei, 21enne di Gabès, nel sud del paese, ha postato sui social network una fotografia scattata di fronte al manifesto elettorale di Kais Saied mentre faceva il dito medio. Jmei è stata arrestata e poi rilasciata dopo 24 ore grazie alla pressione della società civile, diventando rapidamente un simbolo dell’opposizione. L’unico candidato che rappresenta lei e più in generale l’opposizione a Saied, però, non ha potuto fare campagna elettorale.