La Corte penale internazionale ha emesso sei mandati d’arresto per un massacro compiuto in Libia
La Corte penale internazionale (ICC), l’organo che si occupa di processare le persone accusate di aver commesso i più gravi crimini internazionali, ha reso noti sei mandati d’arresto per un massacro compiuto in Libia: i mandati d’arresto erano stati emessi nel 2023 ma l’ICC li ha resi noti solo venerdì. Le accuse hanno a che fare con la scoperta fatta nel 2020 di alcune fosse comuni con i resti di centinaia di persone a Tarhuna, una città di 150mila abitanti una novantina di chilometri a sud-est di Tripoli, nella parte occidentale del paese.
Dalla fine del regime di Muammar Gheddafi la Libia è divisa fra due governi rivali: quello di Bengasi, che si trova a est ed è controllato di fatto dal generale Khalifa Haftar, e quello di Tripoli, l’unico formalmente sostenuto dalla comunità internazionale, governato dal primo ministro Abdul Hamid Dbeibah. Le fosse comuni erano state trovate in seguito al ritiro dalla zona delle milizie legate ad Haftar, che dal 2019 per più di un anno assediarono Tripoli nel tentativo di ottenerne il controllo. I crimini contestati dall’ICC coinvolgono in particolare la milizia Kaniyat, che aveva controllato Tarhuna in un periodo compreso grossomodo tra il 2015 e il giugno del 2020.
In base alle indagini del procuratore della Corte, Karim Khan, le prove raccolte indicano che gli abitanti di Tarhuna «erano stati soggetti a crimini di guerra, tra cui omicidi, oltraggio alla dignità personale, trattamenti crudeli, torture, violenze sessuali e stupri». Le persone su cui pende il mandato d’arresto sono Abdelrahim al Kani, Makhlouf Douma, Nasser al Lahsa, Mohammed Salheen, Abdelbari al Shaqaqi e Fathi al Zinkal. Tre di loro erano importanti membri delle milizie Kaniyat, ha detto Khan: gli altri funzionari della sicurezza libici che avevano legami con le milizie.