L’autostrada che collega l’Italia da sessant’anni
L'Autostrada del Sole fu costruita in soli 8 anni nel pieno del “boom economico”, a cui contribuì unendo Milano a Napoli
Il 4 ottobre 1964, sessant’anni fa, il presidente del Consiglio Aldo Moro inaugurò l’ultimo tratto dell’Autostrada del Sole (A1), che è tuttora la più importante e lunga d’Italia. Si trattava degli ultimi 41 chilometri, quelli che collegano Chiusi e Orvieto: in quell’occasione Moro definì la realizzazione dell’autostrada «un’impresa ardita e geniale», a sottolineare quanto un’opera del genere fosse avveniristica per i tempi.
L’A1 non fu la prima autostrada italiana: era stata anticipata per esempio dalla cosiddetta autostrada dei Laghi, progettata dall’ingegnere Piero Puricelli e inaugurata nella seconda metà degli anni Venti per collegare Milano alle località turistiche del lago di Como e del lago Maggiore. Il progetto dell’A1, però, era più ambizioso: prima della sua inaugurazione non esisteva una strada a scorrimento veloce così lunga (più di 750 chilometri) e in grado di collegare efficacemente il Nord e il Sud del paese. Anche per questo motivo, viene generalmente considerata il simbolo del cosiddetto “boom economico” degli anni Sessanta.
Prima dell’A1, i governi si erano concentrati soprattutto sul potenziamento delle reti ferroviarie, e la realizzazione di un’autostrada in grado di collegare Napoli a Milano fu osteggiata da alcune parti politiche. La sinistra parlamentare si oppose fortemente al progetto, sostenendo che sottraesse risorse alle Ferrovie e che fosse un modo per favorire gli interessi della Fiat.
Per esempio, come riporta il sociologo Enrico Menduni nel saggio L’Autostrada del Sole (1999), tra gli anni Cinquanta e Sessanta L’Unità, che ai tempi era l’organo di stampa ufficiale del Partito Comunista Italiano, portò avanti una dura campagna contro la realizzazione dell’opera, che in un articolo del 1959 venne descritta come «un elemento disorganizzatore di tante comunità locali arrecante alla collettività danni forse più ingenti degli stessi benefici».
Il primo progetto relativo a quella che sarebbe poi diventata l’A1 fu realizzato agli inizi degli anni Cinquanta dal SISI (Società iniziative strade italiane), un consorzio costituito da quattro società che avevano un interesse comune alla costruzione dell’autostrada (Pirelli, Fiat, Agip e Italcementi), che affidò gli studi di fattibilità economica e strutturale all’ingegnere Francesco Aimone Jelmoni. Nel 1956 la costruzione dell’autostrada fu affidata all’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), un grande ente pubblico che gestiva per conto dello stato molte aziende pubbliche. A capo dei lavori fu posto Fedele Cova, un ingegnere che nel Dopoguerra aveva costruito altre opere pubbliche per conto dell’IRI, come per esempio lo stabilimento della Cementir, un’azienda pubblica che produceva cemento.
Cova era considerata la persona giusta non soltanto per le sue esperienze passate con l’IRI, ma anche perché aveva completato la sua formazione universitaria negli Stati Uniti, e di conseguenza aveva una buona conoscenza dei processi con cui venivano costruite le grandi autostrade americane. Ai tempi in Europa non esistevano autostrade concepite per compiere percorsi così lunghi, e di conseguenza bisognava osservare ciò che succedeva oltreoceano.
La prima pietra fu posata il 19 maggio 1956 a San Donato Milanese, alla presenza dell’allora presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Due anni dopo, l’8 dicembre 1958, l’allora presidente del Consiglio Amintore Fanfani tagliò il nastro del tratto che collegava Milano a Parma. Nel 1960 fu aperto il tratto appenninico tra Bologna e Firenze, e il 22 settembre di due anni dopo quello che collega Roma a Napoli. Infine, il 4 ottobre 1964, fu completato il tratto da Chiusi a Orvieto.
I lavori durarono 8 anni, un tempo molto breve per un’opera così ambiziosa, e per completarli fu necessario investire più di 270 miliardi di lire (corrispondenti a quasi 5 miliardi di euro di oggi, meno della metà del costo stimato per il ponte sullo Stretto). Fu possibile realizzarla così velocemente anche perché l’intero processo fu coordinato dallo Stato. L’IRI fondò infatti un’apposita società – la Società Autostrade – per tenere sotto controllo ogni aspetto, dall’acquisto dei terreni all’affidamento dei lavori alle imprese appaltatrici. L’IRI agiva autonomamente anche per ottenere finanziamenti, emettendo obbligazioni trentennali (ossia il cui capitale viene restituito dopo trent’anni) e ponendo a garanzia dei prestiti le infrastrutture già realizzate.
La costruzione dell’A1 generò un grande interesse internazionale anche dal punto di vista ingegneristico: molti dei viadotti e dei ponti realizzati durante il periodo dei lavori furono celebrati come opere d’avanguardia. Per esempio, nel 1964, il Museum of Modern Art (MoMA) di New York organizzò una mostra che omaggiava diversi ingegneri coinvolti nella costruzione dell’A1, come Silvano Zorzi, Riccardo Morandi, Giulio Krall, Carlo Cestelli Guidi e Guido Oberti.
Negli anni successivi dell’A1 si parlò anche per altri motivi, come per esempio alcuni interessi particolari legati alla sua costruzione. Nella cosiddetta Prima repubblica la classe politica aveva una spiccata attenzione per i collegi elettorali di riferimento, principalmente perché i seggi in parlamento erano attribuiti anche in base alle preferenze, cioè ai nomi dei candidati scritti dagli elettori sulle schede. Quest’attenzione poteva facilmente sfociare nel clientelismo: ossia la pratica di garantirsi il voto di determinati bacini elettorali in cambio di un trattamento di favore. Poteva essere esercitato su molti livelli diversi, come per esempio influenzare il percorso di un intero tratto autostradale.
L’esempio più emblematico è il tracciato che l’A1 compie verso Arezzo. Guardando la mappa, si nota come dopo Firenze la strada viri verso est in quella che molto didascalicamente fu soprannominata “Curva Fanfani”. Fanfani era originario di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo. Fin dagli anni Sessanta si diffuse quindi la leggenda secondo cui Fanfani avesse dirottato personalmente il tragitto dell’autostrada, disegnando un tratto rosso sulla mappa del progetto. Nel 2014 Famiglia Cristiana intervistò Alessandro Cova, il figlio di Fedele Cova, che confermò che l’intervento di Fanfani ci fu, e che fu anche piuttosto deciso. Il progetto originario prevedeva che il tracciato, dopo Firenze, puntasse dritto verso Roma senza troppe deviazioni, raccontò Cova, «ma Fanfani ci teneva tanto e mio padre, solo quella volta, non poté dire di no».