Chi comanda dentro all’islam sciita?
Oltre che un leader politico, il capo di Hezbollah Hassan Nasrallah era un'importante figura religiosa, e la sua morte ha un peso in una disputa che va avanti da decenni
In seguito all’uccisione da parte di Israele di Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, il gruppo libanese è stato privato non soltanto del suo capo politico e militare, ma anche della sua guida religiosa. Nasrallah era uno dei leader religiosi sciiti più importanti del Libano, la cui influenza intellettuale era riconosciuta dai fedeli anche fuori dal paese. Questo lo rendeva una figura importante nella disputa tra le più grandi e autorevoli figure del mondo sciita: da un lato l’ayatollah Ali Khamenei, Guida suprema dell’Iran e massimo leader politico e religioso del paese, con cui Nasrallah aveva un rapporto di alleanza e di dipendenza; dall’altro il grande ayatollah Ali al Sistani, la principale figura religiosa degli sciiti iracheni.
I due si contendono da decenni la supremazia religiosa e ideologica sull’islam sciita, in una disputa che ha anche grossi risvolti politici.
All’interno di questa disputa Hassan Nasrallah, grazie alla propria influenza sul Libano, era un alleato prezioso per Khamenei. Nasrallah godeva tra le altre cose del titolo di sayyed (che significa “signore”) e poteva indossare il turbante nero: sono entrambi privilegi accordati a chi è ritenuto un discendente del profeta Maometto, e segni di autorevolezza all’interno dell’islam sciita.
Gli sciiti seguono uno dei due grandi rami dottrinali dell’islam, assieme a quello dei sunniti. Le divisioni tra sciiti e sunniti risalgono alla morte del fondatore dell’islam, il profeta Maometto, nel 632 dopo Cristo, e hanno ramificazioni religiose, ideologiche e politiche. I sunniti sono la grande maggioranza: si ritiene che siano tra l’85 e il 90 per cento dei musulmani del mondo, e anche per questo nella storia molto spesso la minoranza sciita è stata perseguitata.
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I grandi centri religiosi dello sciismo moderno sono due: le città di Najaf in Iraq e Qom in Iran, con Najaf che ha sempre goduto di maggiore influenza e prestigio. Najaf è la sede del grande ayatollah al Sistani, che come dice il nome è dal punto di vista della gerarchia religiosa la più importante autorità dell’islam sciita (o quanto meno delle sue correnti maggioritarie). Dal punto di vista delle cariche le cose sarebbero in realtà più complicate, perché il termine ayatollah (che significa “segno di Allah”) è un onorifico che viene usato quasi esclusivamente in Iran o per chierici iraniani (Sistani è originario dell’Iran), mentre il termine da usare sarebbe marja, che significa “guida”.
La disputa ideologica e religiosa che divide il grande ayatollah al Sistani e l’ayatollah Khamenei (assieme a Nasrallah), e che è un po’ l’elemento di divisione di tutto lo sciismo, riguarda una dottrina sostenuta da Khamenei e chiamata wilayat al faqih (che si può tradurre liberamente come “tutela del giurista islamico”). La dottrina del wilayat al faqih fu promossa e sostenuta dal predecessore di Khamenei, l’ayatollah Ruhollah Khomeini che fondò la Repubblica Islamica in Iran, e prevede che la guida religiosa sia anche una guida politica.
È quello che succede in Iran, dove Khamenei è la “Guida suprema” del paese, e non è soltanto la principale autorità religiosa del paese, ma anche politica e militare.
La dottrina sostenuta da al Sistani, che ha sede in Iraq, prevede invece una netta divisione tra il potere religioso (detenuto dai chierici) e il potere politico (detenuto dai politici laici). Per questo, mentre in Iran Khamenei si comporta come un capo di stato, riceve diplomatici e prende decisioni strategiche e militari, a Najaf Sistani vive una vita ascetica, e i suoi proclami riguardano soprattutto questioni religiose e sociali.
Questa notevole differenza dottrinaria ha fatto sì che, nei decenni, tra Najaf e Teheran ci sia stata una certa competizione per contendersi la fedeltà e il seguito dei fedeli sciiti. Se da un lato è vero che Sistani dal punto di vista della gerarchia religiosa è la figura più autorevole, dall’altro l’Iran di Khamenei è l’unico paese dove gli sciiti governano e non sono una minoranza, e questo dà prestigio a Khamenei. Al contrario, in Iraq gli sciiti, pur essendo la maggioranza, sono stati spesso perseguitati, e lo stesso Sistani, ai tempi del dittatore Saddam Hussein, era relegato a uno stato di arresti domiciliari informali e il suo ruolo di leader religioso era fortemente limitato.
Come è facile capire, lo scontro tra queste due dottrine ha profondi effetti politici, al punto che Sistani disse nel 2004: «Finché sono vivo, l’esperienza dell’Iran non sarà ripetuta in Iraq», che significa: la leadership religiosa dell’Iraq non proverà a diventare leadership politica come è successo in Iran.
Peraltro poiché entrambi gli ayatollah, Khamenei e Sistani, sono molto anziani (rispettivamente 85 e 94 anni), da tempo tra chi segue queste vicende si parla di preparativi di successione e manovre di potere, con le due fazioni che cercano di conquistare alleati tra i chierici più influenti e di rubarne all’altra.
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Non bisogna però esagerare l’estensione di questa disputa: se è vero che Khamenei e Sistani sono in un certo senso rivali, non bisogna considerarli nemici. Ci provò per esempio l’amministrazione statunitense di Donald Trump, in carica tra il 2016 e il 2020, che tentò di ingraziarsi Sistani per indebolire Khamenei e quindi la leadership iraniana. Per esempio, l’allora segretario di Stato Mike Pompeo disse in un tweet di pregare per la salute di Sistani, riempiendolo di complimenti.
Secondo gli analisti questi tentativi di dividere la leadership sciita sono maldestri e non tengono conto del fatto che, anche se tra Khamenei e Sistani c’è stato più di un momento di dissidio, dal punto di vista religioso le loro posizioni sono molto vicine (e molto conservatrici) e che, nei momenti più gravi, si sono sostenuti a vicenda.