In che senso non ci si può sposare allo IOR?
La storia dei due colleghi licenziati per via del loro matrimonio dipende da un regolamento della banca vaticana, che ha delle ragioni e non è un caso unico
La storia dei due dipendenti dell’Istituto per le opere di religione (IOR), la banca del Vaticano, che sono stati licenziati perché si erano sposati ha generato molta attenzione: la notizia del loro licenziamento, data per primo dal Messaggero, è stata ripresa da tutti i principali quotidiani e siti d’informazione italiani, anche perché il mese scorso i due avevano anche scritto a Papa Francesco per protestare e chiedere di poter mantenere il proprio posto di lavoro, inutilmente.
Più in generale la vicenda è stata raccontata come una dimostrazione dell’estremo conservatorismo delle regole interne del Vaticano, oltre che dell’ironia di un’istituzione cattolica che di fatto ostacola e rende più complicato il matrimonio tra due persone, cioè un sacramento previsto e incoraggiato dalle stesse istituzioni cattoliche. La vicenda è un po’ più articolata di così.
I due colleghi al centro della storia avevano una relazione da molto tempo, avevano già figli insieme e mesi fa avevano deciso di sposarsi. Lo scorso maggio, però, lo IOR aveva introdotto un nuovo regolamento interno che includeva, tra le altre cose, una serie di norme per limitare familismo e clientelismo all’interno dell’istituto: una di queste era il divieto di assunzione di coniugi di altri dipendenti, e l’obbligo di dimissioni di uno dei due in caso di nozze.
Il divieto di sposarsi tra colleghi non è una regola specifica dello IOR ed esiste in molti altri luoghi di lavoro, con l’obiettivo di limitare possibili conflitti d’interessi. In alcuni casi le aziende richiedono che eventuali relazioni sentimentali tra colleghi siano semplicemente rese note, in altri sono proprio vietate.
In passato lo IOR è finito varie volte al centro di scandali molto raccontati, e in generale è stato accusato di scarsa trasparenza: il nuovo regolamento era previsto proprio da una serie di leggi e provvedimenti interni introdotti a partire dal 2013, sia dal papato di Benedetto XVI che dall’Autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria (ASIF), l’autorità centrale per la vigilanza del Vaticano.
Non solo: lo IOR aveva motivato l’introduzione del divieto di nozze tra dipendenti anche col fatto che l’Istituto ha poco più di un centinaio di dipendenti, tutti concentrati in un’unica sede e senza filiali esterne. È anche il motivo per cui, a differenza di altri luoghi di lavoro, in questo caso sarebbe stato impossibile trasferire uno dei due coniugi in un’altra sede, visto che non ce n’è una.
I due si sono sposati lo scorso agosto a Fregene, vicino a Roma, e quando è stato introdotto il regolamento interno dello IOR avevano quindi già organizzato tutto. Avevano scritto a Papa Francesco proprio ad agosto, chiedendo una dispensa alla regola secondo cui uno dei due avrebbe dovuto licenziarsi per permettere all’altro di continuare a lavorare. C’è stato anche un tentativo di mediazione dell’associazione dei dipendenti laici vaticani (ADLV), una specie di sindacato interno al Vaticano, che come la lettera al Papa non ha avuto seguito.
Martedì 2 ottobre scadeva il termine entro cui uno dei due coniugi avrebbe dovuto presentare volontariamente le dimissioni, per permettere all’altro di mantenere il proprio posto di lavoro. Non è successo, e così i due hanno perso entrambi il posto di lavoro: secondo i legali della coppia è stato un licenziamento illecito, secondo lo IOR una conseguenza della perdita dei requisiti previsti dal regolamento.
La coppia è assistita dall’avvocata Laura Sgrò, che in molte altre occasioni ha rappresentato persone che accusavano il Vaticano di vari illeciti: Sgrò è l’avvocata della famiglia di Emanuela Orlandi, tra le altre cose. Secondo Sgrò, il licenziamento dei due coniugi è illegittimo anche perché lo IOR non avrebbe offerto nessuna alternativa al licenziamento di uno dei due o di entrambi. Sempre secondo quanto dichiarato da Sgrò, inoltre, nessuno dei due aveva accesso a informazioni riservate, per il tipo di mansioni che svolgevano, e quindi il loro matrimonio non avrebbe comunque rappresentato un problema.
I due hanno annunciato che faranno ricorso al Tribunale della Città del Vaticano, quello competente per i giudizi di primo grado. Nel caso di ulteriori ricorsi, come per l’ordinamento giudiziario italiano, esiste anche una Corte d’appello e una Corte di Cassazione vaticana.