Non è stato solo un chiodo a bloccare i treni in mezza Italia

Il sistema che dovrebbe garantire l’elettricità in caso di guasti non ha funzionato, spegnendo la sala di comando della stazione di Termini

La stazione Termini a Roma, il 2 ottobre 2024
La stazione Termini a Roma, il 2 ottobre 2024 (Cecilia Fabiano/LaPresse)
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Il blocco della circolazione dei treni alla stazione di Termini e i conseguenti ritardi su quasi tutte le linee dell’alta velocità è stato causato da una serie di errori e guasti che hanno coinvolto la rete elettrica delle stazioni. Mercoledì il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha dato la colpa a un operaio di un’azienda di manutenzione che ha piantato un chiodo in una canalina in cui passavano cavi elettrici, un fatto confermato da RFI, l’azienda del gruppo Ferrovie dello Stato che gestisce l’infrastruttura ferroviaria.

La colpa però non è solo di un chiodo piazzato nel punto sbagliato: oltre a quell’errore ci sono stati altri guasti alla rete elettrica, soprattutto al sistema di sicurezza che dovrebbe garantire l’elettricità quando c’è un calo di tensione o un blocco della linea principale.

L’azienda esterna a cui RFI ha affidato i lavori di manutenzione ha iniziato a lavorare intorno alla mezzanotte e mezza di mercoledì nell’area dello scalo ferroviario di Termini. Era un intervento di manutenzione ordinaria, in teoria semplice e con pochi rischi. In questi casi al caposquadra viene fornito un programma dettagliato dei lavori da portare a termine in tempi molto precisi e lo schema di posa dei cavi, una sorta di disegno che indica su quali linee bisogna intervenire e quali invece non devono essere toccate. Uno dei dettagli che verranno accertati da un’indagine interna è se il caposquadra avesse o no questo schema.

Tra le 2 e le 3 un operaio dell’azienda esterna ha piantato un chiodo in una canalina di plastica dove passavano cavi della centralina elettrica che distribuisce l’elettricità negli edifici della stazione di Termini, compresa la sala operativa. Nella sala operativa viene gestito il traffico ferroviario e controllata in tempo reale l’efficienza di binari, scambi, segnali, sistemi di sicurezza e di alimentazione dei treni. Se la sala operativa si spegne non possono partire i treni e non funziona più nulla, nemmeno gli avvisi e il pannello degli orari.

In caso di interruzione della linea elettrica o di un buco di tensione, cioè una rapida e improvvisa diminuzione della tensione di alimentazione per un tempo che va da 10 millisecondi a un minuto, entra in funzione un sistema che rimpiazza la fornitura principale. Questo sistema è solitamente composto da strumenti come l’UPS (Uninterruptible Power Supply), noto come gruppo di continuità, o da gruppi elettrogeni.

Anche se spesso vengono utilizzati come sinonimi, i gruppi di continuità e i gruppi elettrogeni sono due cose diverse: i gruppi di continuità – installati ormai in moltissimi uffici e aziende – sono composti nella maggior parte dei casi da batterie che subentrano immediatamente alla linea principale interrotta e assicurano un’autonomia massima di qualche ora, mentre i gruppi elettrogeni funzionano con un motore e vengono utilizzati nei casi di lunghe interruzioni.

Persone in attesa di informazioni alla stazione Termini di Roma, il 2 ottobre 2024

Persone in attesa di informazioni alla stazione Termini di Roma, il 2 ottobre 2024 (Cecilia Fabiano/LaPresse)

A Termini il gruppo di continuità è entrato correttamente in funzione fino alle 6:20, quando si è spento perché le batterie si sono scaricate. In reti essenziali come quelle che fanno funzionare una stazione ferroviaria c’è un sistema di controllo automatico e segnalazione dei guasti: quando si accende un gruppo di continuità viene mandato un avviso ai tecnici chiamati a intervenire in poco tempo per individuare il problema e in qualsiasi caso garantire l’alimentazione della sala di controllo. Mercoledì mattina l’avviso non è partito e le batterie si sono scaricate senza che nessuno intervenisse.

Non è chiaro come sia potuto accadere. Secondo alcuni tecnici sentiti da Repubblica – non è chiaro se siano tecnici di RFI o dell’azienda esterna – il cavo non sarebbe stato tranciato di netto dal chiodo e per questo non sarebbe partita la segnalazione. Due esperti tecnici manutentori sentiti dal Post dicono che non è una circostanza plausibile perché il sistema di allerta è legato all’accensione del gruppo di continuità, ma senza indizi è complicato capire cosa possa essere effettivamente successo. Anche la linea elettrica d’emergenza non ha funzionato e anche in questo caso non è ancora possibile capire perché.

Da quel momento di fatto la sala operativa si è spenta e la circolazione si è bloccata. In totale sono stati coinvolti circa 180 treni tra alta velocità e intercity: la maggior parte è stata cancellata, altri sono partiti in forte ritardo da altre stazioni della tratta, tutti gli altri hanno subito ritardi di ore. Ci sono state conseguenze in molte altre stazioni, soprattutto nelle grandi città come Firenze, Napoli, Bologna, Milano e Torino. Con un blocco così esteso e lungo sono saltati anche molti turni e cambi di personale, cosa che ha causato ulteriori ritardi.

I tecnici di RFI sono intervenuti dopo il blocco per accendere i gruppi elettrogeni e riportare elettricità alla sala operativa. Di per sé è un’operazione che non richiede molto tempo. Le operazioni più lunghe hanno riguardato il riavvio del sistema informatico e di configurazione di tutte le funzionalità della stazione, soprattutto i segnali e gli scambi che devono essere regolati con l’intera rete.

Per riportare l’elettricità e riavviare il sistema sono servite circa due ore. I primi treni sono partiti alle 8:30. A quel punto però i ritardi avevano già avuto conseguenze su quasi tutti i treni programmati nella giornata. Stefano Antonio Donnarumma, amministratore delegato e direttore generale del gruppo Ferrovie dello Stato, ha detto che «i colleghi di RFI e Trenitalia si sono mobilitati tempestivamente» e ha sottolineato «l’importanza di gestire con professionalità imprevisti come questi». Mercoledì sera RFI ha detto di aver sospeso il contratto con la ditta a cui era stata affidata la manutenzione.

Quello di mercoledì è stato l’ultimo di una serie di guasti che negli ultimi mesi hanno interessato stazioni e linee ferroviarie. Al di là degli ammodernamenti fatti per la circolazione dei treni ad alta velocità, negli ultimi anni la rete ferroviaria italiana non è cresciuta di pari passo con il traffico: in molte regioni circola una quantità di treni superiore a quanto la rete possa sopportare e per questo i guasti e i ritardi sono frequenti. L’aumento del traffico è un problema anche per le aziende che si occupano di manutenzione che devono lavorare più in fretta.

Tra le altre cose, negli ultimi mesi migliaia di manutentori hanno protestato contro un accordo firmato tra RFI e i sindacati confederali per introdurre nuovi orari di lavoro. Oltre 2.500 ferrovieri hanno scritto una lettera per denunciare le conseguenze dell’accordo, che secondo loro «smantella tutte le tutele contrattuali su orari, nastri di lavoro (l’organizzazione dei turni mensili, ndr) e riposi giornalieri e settimanali ed erode le tutele normative su salute e sicurezza incidendo pesantemente sulla gestione della vita privata e sociale dei lavoratori». Proprio alla stazione di Termini, all’inizio di giugno, un centinaio di manutentori di RFI ha scioperato e partecipato a un presidio contro i nuovi turni.

– Leggi anche: I rischi del sistema di manutenzioni sulle ferrovie italiane