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  • Giovedì 3 ottobre 2024

Le nuove norme europee sulla deforestazione sono un problema per la Costa d’Avorio

Il principale produttore mondiale di cacao dovrà presto adeguarsi a nuovi standard, ma i costi sono alti e le misure potrebbero avere un grosso impatto sui produttori

Fave di cacao, Costa d'Avorio, 19 novembre 2023 (AP Photo/Sophie Garcia)
Fave di cacao, Costa d'Avorio, 19 novembre 2023 (AP Photo/Sophie Garcia)
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Il governo della Costa d’Avorio, paese dell’Africa occidentale che è anche il principale produttore mondiale di cacao, sta cercando con difficoltà di trovare un equilibrio tra la protezione dei produttori e dei lavoratori locali e le necessità ambientali. Uno degli obiettivi è adattarsi ai nuovi standard approvati dall’Unione Europea sui prodotti di importazione, pensati per rendere il settore del cioccolato più sostenibile ed equo riducendo il ricorso al lavoro minorile e alla deforestazione.

La produzione mondiale di cacao è concentrata in Africa occidentale, dove quattro paesi – Costa d’Avorio, Ghana, Camerun e Nigeria – producono quasi il 75 per cento del cacao mondiale. La Costa d’Avorio è quello che ne produce di più: a fronte di un consumo mondiale di 5 milioni di tonnellate all’anno, 2 vengono da lì. La coltivazione intensiva ha però grosse conseguenze sull’ambiente, tanto che dal 1960 a oggi il paese ha perso circa l’80 per cento delle proprie foreste.

A differenza della maggior parte degli altri prodotti agricoli, la produzione di cacao non è mai stata trasformata in un’attività industrializzata, sia per le caratteristiche specifiche dei procedimenti agricoli sia perché sono mancati gli investimenti. Gli alberi del cacao riescono a produrre frutti dopo i 7 o 8 anni di età e solo una piccola parte di questi contiene le fave per il cacao. I frutti crescono sia sui rami che sul tronco, il raccolto viene fatto a mano e deve essere molto delicato per non rovinare la pianta.

I principali produttori sono paesi in via di sviluppo: i governi controllano completamente la produzione e la affidano perlopiù a piccoli contadini che, per ottenere dei margini di guadagno (che rimangono comunque molto bassi) sono disposti a distruggere le foreste per allargare gli appezzamenti o a impiegare manodopera minorile. Approfittando di questo sistema, per decenni i paesi occidentali e le loro multinazionali hanno comprato il cacao a prezzi eccessivamente bassi.

L’interno di un frutto della pianta del cacao mostrato da un agricoltore di Divo, Costa d’Avorio, 19 novembre 2023 (AP Photo/Sophie Garcia)

Il 9 giugno del 2023 è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il Regolamento 2023/1115 (EUDR) sui prodotti a “deforestazione zero”. La principale causa della deforestazione, si dice nel Regolamento, è l’espansione dei terreni agricoli, a sua volta legata alla produzione di materie prime come bestiame, legno, cacao, soia, olio di palma, caffè, gomma e alcuni dei loro prodotti derivati, come cuoio, cioccolato, pneumatici o mobili.

Il Regolamento impone che qualsiasi operatore o commerciante che immette queste materie prime sul mercato dell’UE, o esporta da esso, debba dimostrare che i prodotti non provengono da terreni recentemente disboscati o che hanno contribuito al degrado forestale. Il Regolamento dovrebbe essere completamente applicato dal 30 giugno del 2025, anche se il 2 ottobre la Commissione Europea ha proposto di posticipare l’entrata in vigore al 30 dicembre 2025.

Poiché i paesi in cui il consumo di cioccolato pro capite è più alto sono tutti in Europa, e il 60 per cento del cacao consumato in Europa proviene dalla Costa d’Avorio e dal Ghana, tale Regolamento avrà conseguenze dirette su questi paesi.

In Costa d’Avorio la coltivazione del cacao è vietata nei parchi nazionali, nelle riserve e nelle foreste protette. Tuttavia, al momento una parte significativa della produzione di cacao avviene proprio in queste aree: in futuro questi prodotti potrebbero non essere più esportabili. Un censimento del 2020 del Conseil du Café-Cacao, l’ente ivoriano regolatore della coltivazione di questi prodotti, stimava che il numero di coltivatori nelle 234 foreste protette del territorio fosse pari a 120mila, ovvero il 12 per cento di tutti i coltivatori del paese. Secondo la ong Mighty Earth, il viaggio delle fave di cacao dai campi al primo punto di acquisto è molto difficile da tracciare: ed è qui che le fave provenienti da aree deforestate possono essere mescolate con quelle coltivate legalmente. La realtà, dice la ong, è che il 30-40 per cento del cacao prodotto in Costa d’Avorio non è tracciabile.

I frutti dell’albero del cacao a Fangolo, Costa d’Avorio, 31 maggio 2011 (AP Photo/Rebecca Blackwell, File)

Concretamente, quello che avviene è che alcuni coltivatori cominciano a liberare dello spazio per poi piantare i semi degli alberi di cacao. E poiché questi alberi hanno bisogno della luce del sole, cominciano a bruciare gli alberi delle foreste: uno ad uno partendo dalla base dei tronchi, provocandone la morte graduale e poi la caduta. Questo permette loro di non essere identificati dai droni, perché gli alberi che vengono bruciati cadranno settimane o mesi dopo.

Il governo della Costa d’Avorio sta cercando di eliminare le attività agricole illegali: lo scorso 17 settembre a Bouaflé, nell’ovest del paese, con l’intervento dell’esercito sono stati sgomberati e distrutti 42 campi dove vivevano centinaia di famiglie che coltivavano cacao in una zona dove non era permesso farlo. La foresta di Bouaflé ospita agricoltori fin dagli anni Sessanta. Nel 1974 lo stato autorizzò le attività di coltivazione su una superficie di 15mila ettari, ma con il passare del tempo gli agricoltori non hanno rispettato tali limiti e si sono gradualmente espansi.

Thibault Yoro, portavoce del sindacato agricolo della Costa d’Avorio, ha parlato di «case bruciate, studenti privati ​​delle scuole, contadini abbandonati a loro stessi, senza alloggi alternativi e poco prima dell’inizio della raccolta del cacao». Yoro ha parlato anche di un «uso sproporzionato della violenza» e soprattutto della «mancanza di sostegno per le persone sgomberate». Il 22 settembre, dopo il clamore causato dallo sgombero, il ministro ivoriano delle Acque e delle Foreste, Laurent Tchagba, ha annunciato la sospensione dell’operazione: ha però invitato gli abitanti dei 30 campi risparmiati dalla prima fase di sgomberi a prendere «le misure necessarie per abbandonare la foresta».

Fave di cacao, Fangolo, Costa d’Avorio, 31 maggio 2011 (AP Photo/Rebecca Blackwell,File)

Lo sgombero di Bouaflé «è rappresentativo del dilemma del governo ivoriano, diviso tra la protezione dei coltivatori di cacao e la preservazione della natura», ha scritto la corrispondente dalla Costa d’Avorio di Le Monde Dialla Konaté.

Lo scorso 27 settembre il sindacato agricolo ha chiesto all’Unione Europea di rinviare di un anno l’attuazione del Regolamento sui prodotti a “deforestazione zero” e di avviare dei negoziati direttamente con il governo ivoriano. Secondo il sindacato le cooperative di coltivatori di cacao non sono ancora pronte ad adottare un sistema di tracciabilità efficace, a causa della mancanza di risorse. Secondo alcune stime per adeguare una cooperativa agli standard europei servirebbero tra i 24 e i 37mila euro, solo in parte coperti dal sostegno del settore pubblico e dei privati.

Con l’avvicinarsi della scadenza imposta dall’Unione Europea gli sgomberi potrebbero aumentare, ma il rischio è che si inneschi una grave crisi sociale che colpirà persone già in condizione di precarietà: «È essenziale preservare la natura. Ma non credo che l’Europa voglia che questo avvenga a costo di una catastrofe umana», ha spiegato Yoro.