Un chitarrista fuori dal tempo
Stevie Ray Vaughan nacque settant'anni fa, e prima di morire in un incidente in elicottero rese di nuovo di moda il blues, per la gioia di musicisti e nostalgici
Il 27 agosto del 1990 un elicottero si schiantò contro una collina vicino a East Troy, una cittadina dello stato americano del Wisconsin. Nell’incidente morirono quattro persone: tra loro c’era anche Stevie Ray Vaughan, un chitarrista che oggi ha uno status leggendario specialmente tra chi suona lo strumento. Aveva 35 anni, suonava in giro per gli Stati Uniti già da un ventennio ed era considerato l’ultimo grande musicista del blues, un genere spiccatamente americano che però aveva progressivamente perso rilevanza, e soprattutto esponenti illustri, a partire dagli anni Settanta.
Il giorno prima Vaughan aveva suonato con la sua band, i Double Trouble, all’Alpine Valley Music Theatre, un anfiteatro da 30mila posti a una cinquantina di chilometri da Milwaukee, per aprire una data del tour nordamericano del chitarrista e cantautore inglese Eric Clapton. Dopo il concerto, Vaughan salì sull’elicottero insieme al pilota Jeff Browne e a tre membri dello staff di Clapton: la guardia del corpo Nigel Browne, il responsabile del tour Colin Smythe e il manager musicale Bobby Brooks.
Vaughan non sarebbe dovuto salire su quell’elicottero: il piano iniziale era aspettare quello successivo e rientrare a Chicago insieme al fratello Jimmie e sua cognata, Robbie. Alla fine però decise di accorciare i tempi per la stanchezza, e occupò l’unico posto rimasto libero nell’abitacolo.
Negli anni successivi, Jimmie Vaughan e la moglie furono impegnati in una battaglia legale contro Omniflight, la società proprietaria dell’elicottero, che si concluse nel 1995 con un accordo in base al quale le vedove di Browne e Smythe ricevettero un risarcimento di più di 2 milioni di dollari.
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Vaughan era nato a Dallas, in Texas, il 3 ottobre del 1954, settant’anni fa. Cominciò a strimpellare la chitarra a 7 anni provando a emulare suo fratello Jimmy, che come lui sarebbe poi diventato un chitarrista di successo. La sua fu una formazione interamente da autodidatta: imparò a muoversi sulla chitarra istintivamente e suonando soprattutto il repertorio di Jimi Hendrix, il musicista che influenzò maggiormente la sua produzione musicale. Altri riferimenti che Vaughan utilizzò per migliorare il suo stile furono Muddy Waters, Albert King, Chuck Berry, Lonnie Mack, Otis Rush, Django Reinhardt e Wes Montgomery.
Musicalmente insomma non fu un innovatore: non era interessato alla ricerca di nuovi suoni o a proporre nuovi modi di intendere la musica rock. Per tutta la sua carriera suonò un blues piuttosto classico, scandito da lunghi assoli a volte forsennati e virtuosi e a volte lenti e melodici, e contraddistinto da un utilizzo intenso dello slide (il cilindro che viene fatto scivolare sulle corde mentre vengono pizzicate, per ottenere suoni particolari) e dalla tendenza a suonare contemporaneamente la parte ritmica e quella solista, un po’ come se maneggiasse due chitarre.
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La critica musicale del tempo definì questo stile “Texas Blues”, giocando in parte sulla provenienza e sull’estetica di Vaughan, che durante le sue esibizioni indossava spesso camicie in stile vittoriano e cappelli da cowboy. Anche se non inventò nulla di nuovo, Vaughan ottenne comunque uno status mitico tra gli appassionati del genere: insieme a gente come Santana e Van Halen è considerato uno degli ultimi guitar hero, uno di quelli a cui le riviste di settore, e in particolare quelle che si occupano di rock con un approccio nostalgico, dedicano spesso copertine o posti in classifiche dedicate ai migliori chitarristi di sempre.
Cominciò a esibirsi nelle sale da concerto di Austin nel 1971, come chitarrista dei gruppi blues Cast of Thousands e Nightcrawlers. Si fece notare sin da subito per l’unicità del suo stile e per un tocco formidabile che gli consentiva di riproporre dei classici del genere in una maniera molto personale. Molte delle sue reinterpretazioni ottennero una fama paragonabile a quella delle composizioni originali: da questo punto di vista, il caso più famoso è probabilmente la sua versione di “Little Wing” di Hendrix.
Vaughan raggiunse però un effettivo successo internazionale soltanto agli inizi degli anni Ottanta. Accadde soprattutto grazie al chitarrista dei Rolling Stones Keith Richards e al cantante Mick Jagger, che erano suoi grandi ammiratori. I due segnalarono il suo nome al produttore Jerry Wexler, che decise di farlo esibire insieme alla band che nel frattempo aveva fondato, i Double Trouble, al Montreux Jazz Festival del 1982.
L’esibizione di Vaughan non fu particolarmente apprezzata: la schematicità del blues era poco adatta a esaltare il pubblico di Montreux, che era composto soprattutto da gente desiderosa di ascoltare costruzioni complesse, ricercate e intricate, molto lontana dalle strutture essenziali e ripetitive del blues. A una persona presente tra il pubblico, però, l’attitudine di Vaughan piacque: era David Bowie, che rimase colpito dal suo stile al punto da ingaggiarlo come chitarrista solista per il suo album del 1983, Let’s Dance.
L’incontro con Bowie diede uno slancio enorme alla carriera di Vaughan, che da quel momento in poi acquisì una fama sufficiente a produrre album a suo nome. Il primo, Texas Flood, uscì alla fine di quell’anno, e ottenne un successo enorme soprattutto grazie al singolo “Pride and Joy”. A Texas Flood seguirono Couldn’t Stand the Weather (1984), Soul to Soul (1985) e In Step (1989), dischi che consolidarono la sua fama da ultimo grande bluesman.
In quel periodo la cocaina e l’alcol occuparono una parte significativa delle giornate di Vaughan, la cui tendenza agli eccessi diventò proverbiale nell’ambiente. Per esempio, ebbe un collasso durante un concerto in Germania nell’ottobre del 1986, e per riabilitarsi fu costretto a ritirarsi dall’attività del vivo per qualche mese.
La figura di Vaughan continua a essere amatissima ancora oggi, specialmente dalle persone che cominciano a strimpellare, e che spesso prendono questa decisione per provare a replicare la sua versione di “Little Wing”. Anche la sua chitarra, la cosiddetta Number One, una Fender Stratocaster in stile relic (un processo di scolorimento del legno che viene usato per dare risalto alle imperfezioni estetiche dello strumento), è diventata un oggetto in qualche modo mitico, così come la sigla con cui si presentava: SRV.
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