Cos’è questa storia dell’ex agente segreto italiano morto avvelenato in Tunisia
C'è di mezzo una cena tra vecchi colleghi dell'intelligence residenti ad Hammamet, un liquore fatto in casa e forse un'inchiesta sulla mafia agrigentina
La scorsa settimana alcuni ex agenti dei servizi segreti italiani sono stati avvelenati ad Hammamet, città sulla costa orientale della Tunisia. È successo al termine di una cena tra vecchi amici e colleghi, molti dei quali si erano trasferiti da tempo lì dopo essere andati in pensione. In base alle informazioni confermate da diverse fonti, la sostanza tossica sarebbe stata in un liquore prodotto artigianalmente dal padrone di casa. Dei circa dieci commensali, a berlo sarebbero stati solo in quattro, che poi sono stati ricoverati con gravi sintomi di avvelenamento. Uno di loro, Giuseppe Maio, ex agente in servizio presso l’AISI (l’agenzia di intelligence interna) è morto poche ore dopo.
Un altro – non è chiaro se anche lui ex agente dell’AISI oppure dell’AISE, cioè il servizio segreto per l’estero – è da giorni in gravissime condizioni, ricoverato all’ospedale di Nabeul, poco a nord di Hammamet, e si sta valutando l’opportunità di trasferirlo in Italia. Su altri due ex agenti il veleno ha avuto effetti meno rilevanti, e si trovano sotto osservazione al Centro anti veleni di Tunisi. Altri due partecipanti alla cena, illesi, sono rientrati in Italia nei giorni scorsi.
La vicenda, ancora poco chiara, è stata resa nota martedì dall’Agenzia Nova, a distanza di vari giorni dai fatti. Molti dettagli non sono ancora del tutto noti, e finora da parte del governo e dei responsabili dell’intelligence italiani non c’è stato alcun commento ufficiale. Il COPASIR, il Comitato parlamentare che vigila sull’operato dei servizi segreti e sulla sicurezza nazionale, ha chiesto al governo di fornire dei chiarimenti, e della vicenda si occuperanno il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, che ha la delega sull’intelligence, e la direttrice del DIS, il Dipartimento che coordina le attività di AISI e AISE, Elisabetta Belloni.
In un primo momento era stata accreditata l’ipotesi che a essere stati coinvolti fossero agenti di intelligence in servizio. Si è poi capito, invece, che tutti i protagonisti della vicenda sono carabinieri e poliziotti che avevano lavorato all’AISI e all’AISE e che da un po’ di anni si erano trasferiti tra Hammamet e Tunisi per godere dei vantaggi fiscali che il paese riconosce ai pensionati stranieri. Nonostante la gravissima crisi economica e istituzionale che la Tunisia sta attraversando, per i pensionati europei è abbastanza facile garantirsi lì una vecchiaia facoltosa, sfruttando le agevolazioni del governo e il cambio di valuta favorevole. Alcuni di questi ex agenti si erano, come si dice, rifatti una vita, trovando in Tunisia nuove frequentazioni e nuove amicizie.
Secondo alcune informazioni lasciate trapelare informalmente da alcuni agenti di intelligence, alla base dell’intossicazione ci sarebbe un’alterazione del liquore artigianale che il padrone di casa ha servito agli ospiti alla fine della cena. Quest’ultimo sarebbe stato un persichetto, ottenuto dall’infusione delle foglie e dai noccioli aperti del pesco in alcol: può capitare infatti che nel corso della fermentazione il contenuto del nocciolo possa rilasciare piccole quantità di acido cianidrico, quello che con qualche approssimazione viene chiamato cianuro.
In una conferenza stampa alla fine del Consiglio dei ministri del 2 ottobre, Mantovano ha commentato la vicenda dicendo semplicemente che «è stata una tragica fatalità per quello che ci risulta». Non ha dato altri dettagli.
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La versione dell’avvelenamento fortuito viene però ritenuta non del tutto credibile, o quantomeno lacunosa, da altri dirigenti dell’intelligence. Già l’Agenzia Nova nel riferire la prima versione della notizia aveva dato conto di alcuni dubbi sulla possibilità che si fosse trattato di un incidente, mettendo in correlazione quello che era successo con un’inchiesta di mafia che aveva coinvolto alcuni degli agenti presenti alla cena, in qualità di investigatori o di informatori più o meno informali.
La storia in questione era quella che aveva portato all’inizio di agosto all’arresto di Angelo Salvatore Stracuzzi, 57enne imprenditore edile di Licata, in provincia di Agrigento, accusato di estorsione e di turbata libertà dei mercati. Stracuzzi era stato arrestato ad Hammamet, anche se era indagato in Italia, da alcuni agenti specializzati della Guardia di Finanza in collaborazione con la polizia tunisina. Si era rifugiato lì da almeno un paio di mesi, dopo che a maggio la Corte di Cassazione aveva confermato un’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti. La direzione distrettuale antimafia di Palermo aveva infatti chiesto che Stracuzzi venisse arrestato per evitare che fuggisse o che reiterasse i reati che gli erano attribuiti: il giudice per le indagini preliminari aveva accolto la richiesta, e la decisione era stata poi ribadita dalla Cassazione. Ma a quel punto Stracuzzi era già fuggito.
Stracuzzi è una figura di un certo rilievo nell’imprenditoria trapanese e agrigentina. Da tempo è considerato molto vicino a esponenti di Cosa Nostra, come già in precedenza suo padre Angelo, e secondo le accuse sarebbe stato proprio grazie a questa sua consuetudine con ambienti criminali che avrebbe ottenuto importanti appalti nel settore edile: con questa tesi la Guardia di Finanza già nel 2016 aveva fatto sequestrare beni di sua proprietà dal valore di circa 20 milioni di euro. Tre anni prima, Stracuzzi era stato vittima di un agguato: mentre era in auto nella zona di Licata era stato bersagliato da una raffica di colpi di pistola. Ne era uscito illeso, e aveva poi deciso di collaborare con la magistratura: le sue dichiarazioni però erano presto risultate lacunose o inattendibili e la collaborazione si era interrotta.
Dopo il suo arrivo ad Hammamet nei mesi scorsi, sembra che la storia di Stracuzzi si sia di nuovo intrecciata con quella di alcuni degli agenti che in passato avevano indagato su di lui: gli stessi che stavano trascorrendo il periodo di pensionamento in Tunisia. Secondo alcune versioni fornite in maniera informale e riservata da agenti di intelligence, proprio alcuni di questi, avendolo riconosciuto per le strade di Hammamet, avrebbero informato i loro vecchi colleghi facendo poi partire l’operazione che aveva portato al suo arresto. Tutte queste circostanze hanno fatto ipotizzare che l’avvelenamento degli ex agenti di intelligence non sia un semplice fortuito incidente domestico, ma una vendetta che lo stesso Stracuzzi, o alcuni suoi collaboratori locali, avrebbe messo in atto contro coloro che hanno reso possibile la sua cattura.
Se diverse fonti sostengono che l’arresto di Stracuzzi sarebbe avvenuto anche grazie agli ex agenti segreti in pensione ad Hammamet, al momento il nesso causale tra questi fatti e l’avvelenamento è stato solo ipotizzato.