Un ritmo può essere protetto dal diritto d’autore?
È la domanda a cui dovrà dare una risposta chi sta valutando la discussa causa di due produttori giamaicani incentrata su un suono alla base del reggaeton
Dalla scorsa estate sta ricevendo particolari attenzioni una causa per violazione del diritto d’autore presentata dai produttori giamaicani Cleveland Browne e Wycliffe Johnson, conosciuti con gli pseudonimi di Clevie e Steely, che potrebbe avere un impatto significativo sul modo in cui diversi sottogeneri della musica reggae sono composti e suonati. Alcune riviste musicali hanno evidenziato la portata potenzialmente «storica» della causa, anche perché coinvolge più di 1.800 canzoni, molte delle quali composte da musicisti di fama internazionale come Bad Bunny, Rauw Alejandro e Daddy Yankee.
La causa – la cui fase istruttoria è iniziata a maggio e durerà almeno fino al marzo del 2025 – ha una tale importanza perché Browne e Johnson non hanno accusato gli altri musicisti di aver copiato una melodia, un ritornello o parti di un testo, come avviene solitamente nei casi di questo tipo, ma un suono di batteria elettronica arcinoto: quello della loro canzone del 1989 “Fish Market”.
Si tratta di un pattern ritmico – cioè una singola unità del ritmo, che viene poi ripetuta – conosciutissimo e che da una trentina d’anni viene estesamente utilizzato in generi come il reggaeton e la dancehall, al punto da venire colloquialmente definito “dembow rhythm”, “dembow beat” o semplicemente “dembow”. È un ritmo sincopato, in cui cioè l’accento risulta sfasato rispetto a dove ce lo si aspetterebbe, ed è quello tipico di tutta la musica caraibica e reggaeton, che negli ultimi anni ha avuto enorme influenza sul pop di classifica occidentale e oggi si può sentire ovunque, da “Shape of You” di Ed Sheeran a “La noia” di Angelina Mango. Per capirsi, è il “boom-ch-boom-chick” che accompagna, per esempio, la famosissima canzone del 2004 “Gasolina”, del cantante Daddy Yankee (si può ascoltare dal minuto 0:20).
Steely (Johnson) & Clevie (Browne) furono tra i protagonisti della scena dancehall giamaicana degli anni Settanta e Ottanta, in cui si distinsero per inventiva e apertura verso le nuove tecnologie: per esempio, sono riconosciuti come i pionieri dell’utilizzo della drum machine nella dancehall. Pur avendo uno status molto importante in Giamaica, all’estero sono conosciuti principalmente per via di “Fish Market”, che ha un ritmo effettivamente identico a quello di moltissime canzoni pop uscite negli anni successivi.
Browne e Johnson sostengono di essere gli inventori del “dembow rhythm”, e quindi di averne la proprietà intellettuale: di conseguenza, hanno chiesto un risarcimento non soltanto a tutti i musicisti che hanno campionato nelle loro canzoni delle parti di “Fish Market”, ma più in generale a tutti quelli che hanno utilizzato o hanno preso ispirazione da quel particolare suono di batteria.
Come ha scritto la giornalista di Pitchfork Isabelia Herrera, un’eventuale vittoria di Browne e Johnson non sarebbe un grosso problema per gruppi e cantanti già affermati, dato che sarebbero in grado di coprire i costi della licenza; rappresenterebbe però un danno enorme per i musicisti emergenti, che di fatto verrebbero privati della possibilità di utilizzare un ritmo distintivo del reggaeton e dei suoi sottogeneri.
I legali di Browne e Johnson hanno presentato gli elementi a sostegno delle loro tesi in un atto di 228 pagine in cui sono citati i nomi di decine di musicisti accusati di aver violato il loro diritto d’autore utilizzando il “dembow rhythm” senza possedere una licenza.
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A giugno diversi musicisti citati nell’atto, tra cui il cantante portoricano Bad Bunny, avevano chiesto l’archiviazione del caso sostenendo che Browne e Johnson stessero cercando di «stabilire un monopolio sull’intero genere musicale reggaeton». La richiesta di archiviazione era stata però respinta dal giudice André Birotte Jr., che aveva considerato ammissibili le motivazioni di Browne e Johnson. Birotte aveva inoltre specificato che, in quella fase, la corte non fosse «preparata a esaminare la storia dei generi reggaeton e dancehall», e che di conseguenza fossero necessari ulteriori approfondimenti.
Nell’ultimo decennio, diverse cause legali ampiamente discusse e commentate hanno riguardato i confini del plagio musicale e la determinazione di quali particolari elementi contribuiscano a definire la proprietà intellettuale di una canzone pop e quali, invece, debbano invece essere considerati di dominio pubblico. Un esempio è quella persa nel 2015 dai cantanti Robin Thicke e Pharrell Williams: per le somiglianze tra il loro grande successo pop “Blurred Lines” e la canzone di Marvin Gaye “Got to Give It Up”, Thicke e Williams dovettero pagare 5,3 milioni di dollari e devolvere il 50 per cento dei diritti sulla canzone alla famiglia di Gaye.
La sentenza contro Thicke e Williams, considerata problematica fin da subito da diversi esperti di musica e addetti ai lavori nell’industria discografica, generò un aumento di altre accuse contro musicisti famosi per presunti plagi: accuse spesso anche molto deboli e difficili da sostenere. E la tendenza dei musicisti a risolvere le controversie attraverso accordi privati, in un contesto di accresciuta incertezza su come sarebbe potuta eventualmente finire in tribunale, ha incoraggiato chi aveva qualcosa da recriminare a tentare la causa, considerando che il gioco valesse sempre la candela.
Nei paesi in cui vige la common law, in cui cioè la giurisprudenza si basa sui precedenti giudiziari, è comune che a una determinata sentenza seguano moltissime cause legali presentate da chi pensa di rientrare nella stessa casistica: a fronte delle spese legali iniziali confida di poter ottenere complessivamente più soldi dal risarcimento finale. Di conseguenza, fare causa per violazione del copyright può essere molto conveniente.
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Come ha notato Herrera, la causa di Browne e Johnson presenta però alcuni elementi di novità. Negli Stati Uniti infatti la maggior parte dei casi relativi alla violazione del diritto d’autore si concentra su melodie, ritornelli o testi, mentre in questo caso viene contestato il plagio di un ritmo di batteria. Olufunmilayo Arewa, docente della George Mason University specializzata in casi che riguardano il diritto d’autore, ha sottolineato che questa circostanza renderà più difficile il lavoro di interpretazione del giudice, e in particolare per un motivo: l’assenza di uno spartito musicale, che costituisce un elemento di prova spesso decisivo in cause di questo tipo.
A differenza di quanto accade con la melodia e con gli accordi, infatti, il ritmo della batteria non viene quasi mai trascritto nelle partiture. «Se qualcuno vuole far riconoscere un ritmo non lo trascrive su un foglio bianco, ma al massimo batte le mani», ha spiegato Arewa. Più in generale, secondo Arewa, la cosiddetta musica afrocubana «non può essere trascritta come si deve usando le convenzioni che sono state stabilite durante l’era della musica classica», che sono molto limitate per quanto riguarda la trascrizione del ritmo.
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Arewa ha definito questa consuetudine un «pregiudizio eurocentrico radicato nella legge» che ha impedito a generazioni di musicisti neri di vincere cause relative alla violazione del diritto d’autore. La musica afrocubana, infatti, è definita principalmente dal ritmo, mentre l’elemento maggiormente distintivo della musica europea è tradizionalmente la melodia. Di conseguenza, le leggi sono state scritte tenendo conto unicamente dell’aspetto melodico, e viceversa hanno trascurato l’elemento del ritmo. Un’eventuale vittoria di Browne e Johnson potrebbe quindi creare un precedente giurisprudenziale importante, rendendo molto più facile la protezione dei diritti d’autore anche del ritmo.
Gregor Pryor, un avvocato che si occupa di questioni relative alla protezione del diritto d’autore, ha detto al Guardian che portare avanti l’accusa sarà problematico. Browne e Johnson dovranno infatti dimostrare che tutti i musicisti citati nell’atto di accusa abbiano utilizzato il “dembow rhythm” dopo avere ascoltato “Fish Market”, quando in realtà le canzoni impostate su quel pattern sono tantissime, e nella maggior parte dei casi decisamente più famose e ascoltate. Per fare un esempio, su Spotify la canzone ha poco più di 58mila ascolti, mentre “Despacito” di Luis Fonsi (un’altra canzone che usa lo stesso pattern) quasi 2 miliardi. Sarà molto difficile insomma dimostrare che i musicisti citati da Browne e Johnson abbiano voluto copiare “Fish Market”, anche perché le canzoni con lo stesso ritmo sono centinaia.