Il difensore Lisandro Martínez dopo un gol subìto dal Manchester United (AP Photo/Dave Thompson)

Il Manchester United non ne esce

Storia di come e perché dal 2013 la squadra non è mai stata competitiva in campionato, subendo varie umiliazioni

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Domenica 29 settembre il Manchester United ha perso 3-0 in casa contro il Tottenham, lo stesso risultato con cui a inizio settembre, sempre in casa, aveva perso contro il Liverpool; dopo sei giornate ha già perso tre partite ed è dodicesimo in classifica con 7 punti. Fino a questo momento, insomma, la squadra non è sembrata in grado di competere per la vittoria del campionato. Va così da quando nell’estate del 2013 se ne andò lo storico allenatore scozzese Alex Ferguson, che allenò lo United dal 1986 al 2013, vincendo tra le altre cose 2 Champions League e 13 Premier League (come oggi viene chiamato il principale campionato inglese).

Grazie soprattutto a quel periodo con Ferguson, il Manchester United è una delle squadre più prestigiose e vincenti d’Inghilterra, ma negli ultimi dieci anni una lunga sequenza di scelte sbagliate l’ha fatta entrare in una fase negativa dalla quale non è ancora uscita.

Oggi le altre squadre sono gestite e allenate meglio e ottengono, di conseguenza, migliori risultati. È ancor più doloroso per i tifosi dello United che tra queste squadre ci siano il Liverpool, una delle sue storiche rivali, e soprattutto il Manchester City, l’altra squadra della città, che per anni non poté nemmeno essere definita una rivale, tale era la disparità tra le due squadre (in favore dello United). In questi anni la gerarchia tra le due si è ribaltata.

Ogni volta che perde malamente una partita, tra tifosi, media ed esperti ricominciano le discussioni sulle ragioni di questo periodo che continua a protrarsi, nel quale il Manchester non è mai riuscito a creare un progetto coerente, perdendo tutto quello che l’aveva resa una tra le migliori squadre al mondo. Lo United avrebbe tutto per essere una delle migliori squadre al mondo: i soldi, lo status, la storia, i tifosi. Il fatto che vada così male è un sintomo che avere grandi disponibilità economiche e il blasone non sono condizioni sufficienti a far vincere una squadra nel calcio di alto livello, senza una gestione competente che faccia scelte azzeccate.

A ogni modo una cosa che emerge da alcune di queste analisi, come quella che pubblicò il sito sportivo The Athletic nel 2023, è che molti aspetti che rendevano lo United eccezionale quindici, venti anni fa, oggi sono anacronistici.

C’è chi dice, insomma, che il Manchester sia fermo a un modo di fare calcio superato. Quello di una squadra senza un vero presidente, che tra gli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila non aveva nemmeno un proprietario vero e proprio. O quello del manager all’inglese, una figura accentratrice e carismatica come Ferguson che aveva potere decisionale su quasi tutto, ma che nei club di oggi, nei quali succedono molte più cose e servono molte più competenze di una volta, difficilmente può funzionare. Pep Guardiola, l’allenatore del Manchester City (considerato uno dei migliori di sempre), pur essendo sempre coinvolto nelle decisioni, è aiutato da alcuni dei migliori dirigenti al mondo come Ferran Soriano e Txiki Begiristain, e ha a disposizione uno staff di persone fidate e molto competenti: due dei suoi ex vice allenatori al City, Mikel Arteta ed Enzo Maresca, oggi allenano rispettivamente l’Arsenal e il Chelsea.

Il Manchester United invece fino al 2021 non aveva un direttore sportivo, ed è stata anche l’ultima squadra tra quelle di Premier League ad aprire un account ufficiale su Twitter (X) e a creare una squadra femminile. Lo stadio del Manchester United, lo storico Old Trafford, è praticamente l’unico tra quelli delle principali squadre a non essere stato ristrutturato di recente. «La presenza soffocante della nostalgia sembra far parte delle fondamenta stesse del club», scriveva l’anno scorso Dario Saltari sul sito di approfondimento sportivo Ultimo Uomo. L’ex attaccante svedese Zlatan Ibrahimovic, che giocò al Manchester tra il 2016 e il 2018, in un’intervista al Guardian del 2021 disse che lì «parlano troppo del passato».

Alex Ferguson, che ora ha 82 anni, nel giorno della sua ultima partita come allenatore del Manchester United, nel 2013 (AP Photo/Jon Super)

D’altro canto in molti criticano gli attuali proprietari per una progressiva perdita della tradizione, che avrebbe allontanato i tifosi dalla squadra. L’adesione al progetto di Superlega del 2021, pesantemente contestata soprattutto dai tifosi dello United, è uno degli esempi più recenti di questo scollamento, ma sin dall’inizio i Glazer, la famiglia di imprenditori statunitensi che possiede il club dal 2005, sono stati percepiti come distanti dalla squadra, incapaci di comunicare con i tifosi e concentrati più sul business che sui risultati sportivi. Già le modalità con cui acquistarono lo United quasi vent’anni fa non furono particolarmente apprezzate, perché lo presero con un meccanismo finanziario (il cosiddetto leveraged buyout) che consentì loro di scaricare sulla squadra gran parte delle spese d’acquisto: in pratica già all’inizio indebitarono pesantemente il club.

Nonostante lo United all’epoca fosse una squadra fortissima e vincente (tra il 2005 e il 2013 vinse cinque campionati e la Champions del 2008), le proteste contro i Glazer furono immediate. Alcuni tifosi contrari all’acquisizione statunitense fondarono nel 2005 il Football Club United of Manchester, una squadra controllata al cento per cento dai suoi tifosi e non profit per statuto, che oggi gioca nella settima serie inglese. Indossare sciarpe e maglie gialle e verdi divenne un modo per esprimere disapprovazione nei confronti della proprietà: è un omaggio alle origini del club, che fu fondato nel 1878 con il nome Newton Heath e diventò Manchester United solo nel 1902.

Una protesta dei tifosi del Manchester United contro la famiglia Glazer e la Superlega nel 2021 (AP Photo/Jon Super)

In questi anni il debito ha continuato a crescere per via di una gestione non oculata e soprattutto degli interessi altissimi, ma questo non ha impedito alla famiglia Glazer di guadagnarci: come si legge sul sito sportivo ESPN, tra il 2018 e il 2022 il Manchester United è stato l’unico club di Premier League a pagare dividendi ai suoi proprietari, nonostante i deludenti risultati sportivi, una pratica evidentemente molto invisa ai tifosi. Per comprare il Manchester nel 2005 i Glazer pagarono poco meno di un miliardo di euro: lo scorso febbraio hanno venduto il 25 per cento a Ineos, un’azienda chimica che ha investimenti in vari sport come ciclismo e vela, per un miliardo e mezzo.

The Athletic ha sintetizzato bene questa contraddizione: a seconda dei momenti e delle sensibilità, «il Manchester United moderno o è troppo legato alla gloriosa storia del club o troppo separato da essa, o troppo globale nella sua prospettiva o troppo campanilistico, o troppo freddo e corporativo o troppo informale nei modi». Quel che è certo è che le persone che hanno guidato il club in questi anni, la famiglia Glazer in particolare ma anche i dirigenti e i vari allenatori che si sono susseguiti, non hanno saputo cambiare e adeguarsi per migliorare la situazione, e quando ci hanno provato lo hanno fatto in maniera impulsiva e disorganica.

La dimostrazione più chiara di tutto questo è il calciomercato: dall’estate del 2013 a oggi in Europa solamente il Chelsea ha pagato di più per acquistare i giocatori rispetto al Manchester United, che ha speso poco più di 2 miliardi di euro e ha peraltro il peggior saldo tra calciatori acquistati e ceduti (-1,4 miliardi). Nonostante questi investimenti, oggi la squadra è parecchio inferiore alle migliori di Inghilterra e d’Europa: qualcosa è andato storto.

Un altro articolo molto critico pubblicato da ESPN lo scorso aprile elencava alcune delle scelte sbagliate dello United sul calciomercato. Un po’ di anni fa per esempio provò a prendere Virgil van Dijk, che passò invece al Liverpool diventando uno dei migliori difensori degli ultimi anni, e finì col prendere Victor Lindelöf, un difensore discreto. Due stagioni dopo comprò il terzino Aaron Wan-Bissaka per 60 milioni di euro nei giorni in cui il Manchester City in quel ruolo prese più o meno per la stessa cifra João Cancelo, uno dei migliori terzini di quegli anni.

Sempre nel 2019 pagò 87 milioni di euro per Harry Maguire, un altro difensore con buone qualità ma nel complesso non eccezionale, che è diventato un po’ il simbolo delle spese impulsive e eccessive del Manchester United. Nell’estate del 2023 spese 86 milioni di euro per acquistare il ventenne attaccante danese Rasmus Højlund, dopo che aveva giocato appena una stagione con l’Atalanta in Serie A, segnando 9 gol. Nel 2012 non riuscì a rinnovare il contratto del centrocampista francese Paul Pogba, che era cresciuto nelle giovanili dello United e passò alla Juventus a parametro zero (lo United cioè non incassò niente).

Quattro anni dopo lo riacquistò per 100 milioni di euro. Nel 2022 Pogba è tornato alla Juventus, di nuovo a zero.

L’ex centrocampista del Manchester United Paul Pogba (AP Photo/Rui Vieira, File)

La lista potrebbe continuare. Ma il fatto è che se quasi tutti i giocatori quando arrivano al Manchester United falliscono, o comunque giocano peggio di come si pensava, il problema potrebbe non essere del singolo, ma più sistemico. Casemiro e Varane, entrambi presi dal Real Madrid nella loro fase discendente con contratti molto onerosi, fino all’anno prima erano due giocatori molto influenti in una delle migliori squadre al mondo, e anche gli altri erano promettenti. È come se allo United chiunque arrivi diventa sempre la peggior versione di se stesso.

È successo praticamente anche a tutti gli allenatori che ci sono stati negli ultimi dieci anni. Il primo, David Moyes, fu preso con l’approvazione dello stesso Ferguson e con un contratto di sei anni, insolitamente lungo, con l’idea di farne una specie di “nuovo Ferguson”. Non durò nemmeno una stagione, stretto tra la pressione di dover reggere un confronto impossibile con il suo predecessore, la relativa inesperienza per un contesto così prestigioso (nei dieci anni precedenti aveva allenato l’Everton) e la difficoltà di mostrare autorevolezza.

Dopo di lui ci furono due allenatori molto diversi tra loro, entrambi di grande esperienza e personalità: il nederlandese Louis van Gaal e il portoghese José Mourinho. Nessuno dei due fu particolarmente efficace: il primo provò a imporsi in maniera autoritaria, non riuscendo praticamente mai a legare con dirigenti, giocatori e tifosi; Mourinho tentò di rompere col passato, allontanando tutti i componenti dello staff ancora presenti dai tempi di Ferguson, e accentrò su di sé tutte le attenzioni e le responsabilità, ma non riuscì a reggerle. Vinse tre coppe (tra cui un’Europa League) ma non fu praticamente mai competitivo per la vittoria della Premier League, e alla fine venne esonerato anche lui senza che fosse riuscito a cambiare le cose.

L’allenatore portoghese José Mourinho, 61 anni, quando allenava il Manchester United (AP Photo/Dave Thompson, File)

Fallito il tentativo di avere successo con allenatori affermati ma estranei alla storia dello United, il club scelse di ripartire dal norvegese Ole Gunnar Solskjaer, ex attaccante considerato una sorta di leggenda della squadra, in cui giocò per oltre dieci anni. Ma Solskjaer non aveva mai allenato un club di quel livello: arrivò nel dicembre 2018 come allenatore ad interim, cominciò molto bene e ottenne il rinnovo del contratto per tre anni. Riuscì in parte a riavvicinare i tifosi alla squadra, puntando sul suo legame con il Manchester United, ma ottenne risultati altalenanti e non riuscì a vincere nessun trofeo: nel novembre 2021, dopo un inizio di campionato molto negativo, fu esonerato anche lui.

A quel punto i dirigenti cambiarono ancora radicalmente direzione, nominando l’austriaco Ralf Rangnick con l’idea che allenasse fino alla fine della stagione e diventasse poi un dirigente (Rangnick ha avuto vari ruoli ed è considerato il creatore e ideologo del modello Red Bull). Nell’estate del 2022 però Rangnick se ne andò rinunciando anche al ruolo di dirigente. Come suo successore fu scelto il nederlandese Erik ten Hag, considerato un allenatore capace di proporre un gioco moderno ed entusiasmante, espresso al suo meglio all’Ajax.

In questi due anni Ten Hag ha vinto due coppe nazionali, ma ha anche ottenuto il peggior piazzamento nella storia dello United da quando esiste la Premier League (dal 1992), arrivando ottavo la scorsa stagione. Ci sono stati più bassi che alti, e dopo questo inizio negativo in molti considerano il suo futuro al Manchester incerto, nonostante in estate la nuova dirigenza arrivata con l’entrata in società di Ineos abbia deciso di confermarlo. Dell’allenatore sicuro e coraggioso visto all’Ajax non è rimasto quasi niente: Ten Hag sembra essersi incartato sia nel gioco sia nella comunicazione, dove appare sempre più distante dalla realtà: «Se non mi vogliono più, andrò in qualche altro posto a vincere trofei, perché è questo quello che faccio io», aveva detto lo scorso maggio dopo la vittoria nella FA Cup.

Erik ten Hag, 54 anni, allena il Manchester United dall’estate del 2022 (AP Photo/Dave Thompson)

In tutto questo, oltre ad aver cambiato varie volte idea su che tipo di allenatore e di giocatori dovesse puntare la squadra per provare a tornare ai livelli di un tempo, il Manchester United sul campo è stato protagonista di varie brutte figure e record negativi che hanno aumentato la frustrazione dei tifosi.

In questi anni ha perso 5-0 e 7-0 contro il Liverpool, 6-3 e 4-1 contro il Manchester City, 4-0 contro il Chelsea. Lo Swansea ha ottenuto la sua prima vittoria di sempre in casa dello United, il Cardiff City ha vinto per la prima volta a Old Trafford dal 1954, il Burnley non ci riusciva dal 1962, il Newcastle dal 1972, lo Sheffield United dal 1973 e il West Bromwich dal 1978. Oggi quasi tutte le squadre vanno a giocare in casa del Manchester United con la fondata speranza di poter vincere, una cosa che ha a che fare con il miglioramento delle squadre meno forti e ricche, ma anche con la mediocrità del Manchester. Nello scorso campionato ha subìto 60 gol.

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