Il Messico dopo López Obrador
A fine mandato il presidente ha grandi consensi per i programmi di assistenza economica, ma ha fallito sulla lotta al narcotraffico e ha promosso riforme problematiche
Lunedì 30 settembre è terminato il mandato, non rinnovabile, del presidente messicano Andrés Manuel López Obrador. Quando entrò in carica, nel 2018, disse che avrebbe trasformato il Messico: è stato in parte così, ma non sempre nella direzione prospettata allora. I suoi programmi di assistenza economica hanno effettivamente migliorato le condizioni di vita di un pezzo della popolazione, almeno nel breve termine. Altre promesse non sono state mantenute: i servizi pubblici non sono migliorati né sono diventati più accessibili e invece di togliere l’esercito dalle strade, come promesso sei anni fa, sono stati schierati più militari e, nonostante ciò, sono aumentati gli omicidi.
López Obrador è stato un presidente populista di sinistra, con posizioni conservatrici sull’economia. Nell’ultima fase del suo incarico si è concentrato sul far approvare alcune contestate riforme che, tra le altre cose, rischiano di ridurre l’indipendenza dei magistrati, di depotenziare le agenzie che vigilano sull’operato del governo e di delegare alle forze armate compiti di ordine pubblico, inquadrando al loro interno la polizia.
Martedì 1° ottobre si insedierà al suo posto Claudia Sheinbaum, la presidente eletta a giugno che fa parte dello stesso partito di López Obrador (Morena) e sostiene le riforme. Anche se López Obrador non sarà più presidente, quindi, ci si aspetta una netta continuità tra le sue politiche e quelle di Sheinbaum.
Dopo le elezioni di giugno lo schieramento presidenziale ha ottenuto la maggioranza sia alla Camera e al Senato – dove, controllando due terzi dei seggi, può modificare la Costituzione – sia in 27 dei 32 parlamenti statali, a cui spetta l’approvazione definitiva delle leggi. Sfruttando questa situazione particolarmente favorevole, negli ultimi mesi López Obrador era già riuscito a far approvare la riforma che ha reso elettive, e quindi maggiormente controllabili dal governo, le cariche dei giudici federali e della Corte Suprema. Sheinbaum potrà fare altrettanto, anche perché l’opposizione è in difficoltà.
Secondo media e analisti, l’obiettivo di López Obrador era ricreare le condizioni per una lunga fase al potere, come quella del Partito istituzionale rivoluzionario (PRI), che governò il Messico dal 1929 al 2000.
Il presidente ha chiamato “Piano C” l’insieme di venti riforme, di cui 18 costituzionali, presentate lo scorso febbraio. C’era già stato un “Piano B”, annunciato l’anno prima e in larga parte bocciato dalla Corte Suprema dopo grandi proteste. Una delle proposte precedenti era ridurre il numero dei parlamentari (i deputati da 500 a 300 e i senatori da 128 a 64), eliminando i seggi assegnati con metodo proporzionale e mantenendo solo i collegi uninominali dove sono favoriti i grandi partiti come Morena.
Nel “piano C” c’è una riforma per dimezzare il finanziamento pubblico ai partiti e ridimensionare l’Instituto Nacional Electoral (INE), l’ente che controlla la regolarità delle elezioni, cambiandogli nome e riducendo i suoi componenti.
La riforma più contestata però è quella — approvata in via definitiva alla Camera e al Senato, ora manca solo la ratifica dei parlamenti statali – per trasferire la Guardia Nazionale (che è la polizia messicana) sotto il controllo del ministero della Difesa. Non è solo una questione operativa: prevede anche di riformulare alcuni articoli della Costituzione abolendo il divieto di assegnare compiti non militari all’esercito al di fuori di un periodo di guerra.
In pratica, si consentirebbe alle forze armate di condurre operazioni di polizia o di sostituirsi a funzionari civili su richiesta del parlamento o del presidente. «È un passo gigantesco verso la militarizzazione del paese», ha scritto l’ex giudice della Corte Suprema José Ramón Cossío.
Un’altra riforma propone l’abolizione di sette agenzie statali – tra le quali quelle garanti delle Telecomunicazioni e della Trasparenza – delegando le loro funzioni ai vari rami dell’amministrazione pubblica, che però sono inefficienti. Un’altra ancora di consentire la carcerazione preventiva per un numero maggiore di reati.
«Queste proposte pericolose comprometterebbero l’indipendenza della magistratura, darebbero all’esercito un potere senza precedenti sui civili ed eliminerebbero tutele che servivano a proteggere i diritti umani», ha sintetizzato Juanita Goebertus della ong Human Rights Watch.
Le riforme elencate finora sono quelle più controverse: il resto del “Piano C” ha carattere soprattutto sociale e riprende, o inserisce nella Costituzione, le politiche di assistenza pubblica a cui si devono i livelli di consenso così alti di López Obrador. Il tasso d’approvazione del presidente nei sondaggi, infatti, in sei anni non è mai sceso sotto il 60 per cento e a fine mandato era superiore al 70 per cento: i suoi predecessori erano invece molto impopolari alla fine del loro incarico.
Dal 2018 in poi il presidente ha adottato diversi provvedimenti che secondo i suoi oppositori servivano principalmente a raccogliere consensi. Per esempio nel 2019 López Obrador mise in vendita l’aereo presidenziale, per spostarsi poi principalmente a bordo di voli di linea.
Altri hanno prodotto dei risultati concreti, per esempio il raddoppio del salario minimo, che ha contribuito a migliorare la situazione economica dei messicani. Dal 2018 per la prima volta in 35 anni il potere d’acquisto reale è aumentato e tra il 2018 e il 2022 5,1 milioni di persone che erano in condizioni di povertà ne sono usciti. I livelli di disoccupazione del paese sono tra i più bassi dell’America Latina.
Nel frattempo, però, i servizi pubblici non sono migliorati in modo apprezzabile. Negli scorsi sei anni è raddoppiata la percentuale di messicani (il 39 per cento) che non ha accesso alle cure sanitarie. López Obrador «ha dato alle persone soldi per coprire i loro bisogni immediati quotidiani, ma non ha investito per risolvere i problemi importanti: quelli dell’istruzione, del sistema sanitario o della sicurezza», ha detto lo storico Alfredo Ávila al Washington Post.
Secondo Ávila e altri analisti, paradossalmente sono proprio le fasce più povere della popolazione, cioè le stesse oggetto dei programmi statali, a non passarsela meglio di prima.
Anche sulla lotta alla corruzione e al narcotraffico – altre promesse di inizio mandato – non ci sono stati progressi, anzi. Dal 2018 in poi ci sono stati più di 178mila omicidi (più che durante i governi precedenti). I narcotrafficanti hanno esteso le loro attività a zone del paese che prima non controllavano, anche a causa delle politiche del presidente che a inizio mandato parlava di una strategia inedita, basata sugli abbracci invece dei proiettili (“Abrazos, no balazos”), e volta cioè a ridurre gli scontri tra polizia e narcos per concentrarsi sullo sviluppo delle aree più povere del Messico.
«L’obradorismo [dal cognome di Obrador] non finisce a ottobre. […] C’è una continuità reale, motivata non solo dall’ideologia ma anche da un percorso di riforme e un compromesso esplicito per realizzarle», ha scritto El Financiero, uno dei principali giornali messicani, a proposito della transizione con Sheinbaum. Una grossa questione sarà se e quanto la nuova presidente, che in questi giorni ha detto che «Morena non sarà un partito di stato» alludendo a un certo rinnovamento del sistema di potere uscente, cercherà nel tempo di smarcarsi dalle indicazioni del predecessore.
López Obrador è stato un leader carismatico, che ogni giorno alle 7 di mattina faceva una conferenza stampa di due ore (la mañanera), trasmessa in diretta su YouTube e poi ricondivisa a spezzoni sui social. Sheinbaum eredita lo spazio mediatico monopolizzato per anni da López Obrador e un partito modellato sulla sua immagine: una delle sfide più immediate sarà conservare i suoi livelli di consenso.
Intanto Morena ha nominato la nuova dirigenza: l’ex ministra Luisa María Alcalde ha preso il posto di Sheinbaum come leader, mentre il politologo Andrés Manuel López Beltran (uno dei quattro figli del presidente) è diventato il responsabile della strategia elettorale del partito.
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