Il nuovo “non condono” del governo sembra proprio un condono
Il “concordato preventivo” dovrebbe invogliare potenziali evasori a pagare le tasse, ma al momento sono stati stimati solo meno introiti
La maggioranza di destra, d’accordo con il governo di Giorgia Meloni, prossimamente approverà una nuova versione del “concordato preventivo”, una misura che introduce rilevanti agevolazioni fiscali per determinati contribuenti che non hanno dichiarato i loro redditi reali nel recente passato: originariamente era stata pensata per ridurre l’evasione fiscale, ma ora di fatto è diventata una forma neanche troppo attenuata di condono fiscale.
Questa nuova versione verrà definitivamente approvata nel giro di una settimana, e sta aprendo una grossa polemica politica: le opposizioni accusano il governo di voler fare «un regalo agli evasori». Gli esponenti di maggioranza, invece, durante il dibattito in Senato domenica hanno detto che la misura non può essere considerata un condono.
Il concordato preventivo biennale era stato introdotto dal Consiglio dei ministri nel gennaio scorso tramite un apposito decreto legislativo. È un meccanismo che consente ai lavoratori autonomi (le cosiddette “partite IVA”) di definire anticipatamente con l’Agenzia delle Entrate la cifra da dichiarare e da versare all’erario per i due anni successivi, sulla base del reddito dichiarato negli anni precedenti e delle aspettative di guadagno future.
La misura venne accolta male dalle opposizioni, anche per la scelta del governo di consentire di accedere al concordato ai contribuenti meno diligenti. Il ministero dell’Economia, insieme all’Agenzia delle Entrate, elabora infatti gli Indici statistici di affidabilità (ISA), cioè tabelle in base alle quali ai contribuenti, a seconda del loro settore e territorio, vengono attribuiti punteggi che vanno da 1 a 10, e che indicano appunto quanto quel commerciante o quell’imprenditore sono considerati contribuenti che dichiarano correttamente il reddito e versano correttamente le tasse (con punteggi superiori a 8) oppure no (punteggi più bassi). Il governo decise di concedere la possibilità del concordato anche ai contribuenti con punteggi ISA inferiori a 8, e questo non piacque.
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La tesi del governo fu che proprio i contribuenti con punteggi più bassi – che deliberatamente evadono, o con difficoltà oggettive a pagare le tasse – andassero invogliati attraverso il concordato, provando così a ridurre l’evasione nel settore dove è più consistente, e cioè appunto tra le partite IVA. Secondo l’ultima relazione annuale del ministero dell’Economia, l’evasione dell’IRPEF tra i lavoratori autonomi è del 69,7 per cento: significa che quasi 7 euro su 10 che devono al fisco vengono evasi. E tutto questo causa circa 30 miliardi di mancati introiti annuali alle casse dello Stato.
Lo scorso agosto, poi, il governo era intervenuto con un cosiddetto “decreto correttivo”, cioè un decreto legislativo che, recependo alcune indicazioni non vincolanti fornite dal parlamento, integrava la norma sul concordato preventivo, introducendo agevolazioni fiscali per gli anni precedenti a quelli su cui si applicava il concordato stesso.
Già in quell’occasione era stato introdotto uno strumento che di per sé aveva poco a che fare con la ratio del concordato. In sostanza, se il contribuente Mario Rossi concordava con l’Agenzia delle Entrate di pagare per gli anni 2025 e 2026 una cifra superiore a quella dichiarata nel 2023, su quella differenza poteva pagare un’aliquota molto agevolata (tra il 10 e il 15 per cento, a seconda del punteggio ISA che aveva). Questo per incentivare ad aderire al concordato anche quei professionisti che temevano di dover pagare più tasse di quelle versate in passato, e che dunque avrebbero potuto preferire continuare a evadere sperando di non essere beccati dall’Agenzia delle Entrate (scenario peraltro molto probabile). L’effetto però fu di introdurre un’imposta sostitutiva estremamente agevolata anche per i contribuenti a bassa affidabilità (dunque quelli che verosimilmente evadono o hanno evaso di recente), con sgravi che in alcuni casi raggiungevano anche il 70 per cento.
Domenica, infine, il concordato ha subìto un’ulteriore e ancor più significativa deformazione. Sono stati approvati alcuni emendamenti presentati dalla maggioranza di destra al decreto cosiddetto “Omnibus” approvato lo scorso 9 agosto dal governo, cioè un decreto che ha al suo interno una lunga e variegata serie di misure che riguardano settori diversi e che rinnova o modifica norme la cui validità sta per scadere. Le commissioni Bilancio e Finanze del Senato, chiamate ad analizzare il testo, hanno votato a favore di misure correttive presentate da Fausto Orsomarso, Massimo Garavaglia e Dario Damiani, tre importanti senatori di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia.
Gli emendamenti cambiano la natura stessa del concordato: detta un po’ grossolanamente, chi aderisce ha la facoltà di “sanare” precedenti situazioni potenzialmente illecite, vedendosi riconosciute significative agevolazioni fiscali da applicare a una o più dichiarazioni fatte tra il 2018 e il 2022. Il contribuente che accede al concordato, in questo caso, potrà infatti dichiarare al fisco redditi non dichiarati (dunque evasi) in quel periodo: quelle cifre verranno ricalcolate con aggravi limitatissimi e tassate in maniera estremamente vantaggiosa.
Per chi ha tabelle ISA pari a 10 (e dunque, almeno in teoria, non dovrebbe aver evaso nulla: ma si sa che queste tabelle non sono così affidabili), il ricalcolo prevede un incremento dell’imponibile del 5 per cento per ciascun anno, e su quella cifra si vedrà applicata un’aliquota del 10 per cento. Con un calcolo un poco approssimativo, si può dire che se questo contribuente non ha dichiarato mille euro all’anno, finirà col pagare un’aliquota di poco più del 10 per cento, e cioè 105 euro per ciascun anno, con uno sconto notevole rispetto alle aliquote ordinarie che si applicano a chi ha sempre pagato le tasse e che è tassato fino a più del 40 per cento.
Man mano che il punteggio ISA del contribuente scende, diminuisce anche l’entità delle agevolazioni previste, che restano in ogni caso sostanziose. Per chi è infatti considerato un evasore abbastanza abituale, con un punteggio ISA inferiore a 3, verrà applicata un’aliquota del 15 per cento alla cifra non dichiarata aumentata del 50 per cento: sul reddito non dichiarato in passato – qualunque sia l’ammontare – dovrà ora pagare circa il 22,5 per cento, che è comunque meno dell’aliquota più bassa (23 per cento) che si applica però solo ai redditi annui inferiori a 28mila euro.
Inoltre sui periodi d’imposta del 2020 e del 2021 viene previsto un ulteriore sconto, come contributo ex post per la pandemia da coronavirus: per quei due anni, ai redditi non dichiarati vengono applicate delle aliquote ridotte del 30 per cento.
Nel suo complesso è un’iniziativa voluta dal governo anche per cercare di aumentare il numero di adesioni al concordato, come dice lo stesso governo nel recente Piano Strutturale di Bilancio, cioè il piano di finanza pubblica e di politica economica per i prossimi sette anni. In questo modo il ministero dell’Economia può sperare di aumentare lo stimato effetto positivo sul gettito di questa misura: in altri termini, il ministero potrà dire che il concordato produrrà maggiori entrate per l’erario, e con questo espediente potrà trovare, almeno virtualmente, nuove “coperture”, risorse necessarie per finanziare alcune misure della legge di bilancio che altrimenti produrrebbero immediatamente degli effetti negativi sull’indebitamento dello Stato.
A gennaio il governo aveva inizialmente stimato di incassare 1,8 miliardi di maggiori introiti tramite il concordato, che avrebbe in teoria dovuto spingere a pagare le tasse contribuenti che altrimenti avrebbe evaso. Una successiva analisi del ministero dell’Economia, però, aveva prudentemente rivisto questo dato, rinunciando a stimare delle ricadute preventive e dunque sostenendo che non fosse possibile prevedere effetti positivi della misura. Neppure ora, con questa modifica, si hanno stime precise sul concordato: anzi, domenica il leghista Garavaglia ha spiegato che, almeno «sulla carta» e come «fatto puramente formale», questa nuova versione del concordato con annesso ravvedimento produce una spesa stimata in 986 milioni di euro in 5 anni.
Questo è l’effetto diretto che la riduzione delle aliquote produrrà. Poi, come ha precisato Garavaglia, c’è un effetto indiretto che il governo spera di ottenere, invogliando potenziali evasori a far emergere redditi non dichiarati e a pagarci le tasse, e incentivando di conseguenza anche le adesioni al concordato stesso. Da questo punto di vista, per Garavaglia il concordato è una di quelle «norme che aumentano il gettito». Per le opposizioni, al contrario, questa forma di condono surrettizio verrà visto come un incentivo indiretto a evadere, aumentando dunque l’entità delle tasse non pagate. Il governo, finora, non ha previsto ufficialmente alcun aumento di gettito.