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  • Lunedì 30 settembre 2024

Nel ciclismo è tutta una questione di maglie

Iridate, gialle, rosa, nere, a pois e combinate, sono state centrali fin dalle prime competizioni un secolo fa

Tadej Pogačar al Giro d'Italia del 2024 (Gian Mattia D'Alberto/LaPresse)
Tadej Pogačar al Giro d'Italia del 2024 (Gian Mattia D'Alberto/LaPresse)
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Sabato e domenica a Zurigo, in Svizzera, i Mondiali di ciclismo su strada si sono conclusi con le prove in linea élite, maschile e femminile. Le gare sono state vinte dalla belga Lotte Kopecky e dallo sloveno Tadej Pogačar: per un anno, già dalla loro prossima corsa su strada, Kopecky e Pogačar indosseranno quindi la maglia iridata, da “iride”, che oltre a essere il nome di una parte dell’occhio intorno alla pupilla è anche un sinonimo di arcobaleno. La maglia iridata è bianca con bande orizzontali degli stessi colori della bandiera olimpica, e nel ciclismo contraddistingue i campioni e le campionesse mondiali.

Kopecky con la maglia iridata, 28 settembre 2024 (AP Photo/Peter Dejong)

Questa cosa che una importante gara mondiale assegni maglie, che queste maglie valgano quanto trofei, e che chi sia primo in una corsa a tappe debba indossarne una durante la corsa, è una peculiarità del ciclismo, uno sport parecchio legato ai suoi simboli, ai suoi riti e alle sue tradizioni. Nel ciclismo – soprattutto quello su strada – le maglie sono una metonimia: si dice “maglia gialla” per riferirsi al corridore che la indossa in quel momento, e si parla di “gruppo maglia gialla” in riferimento a un gruppo di cui fa parte “la maglia gialla”.

L’importanza delle maglie nel ciclismo non è qualcosa di recente. La maglia gialla, simbolo del primato al Tour de France, esiste da oltre un secolo; la maglia rosa, associata invece al Giro d’Italia, c’è dal 1931; e parla di una maglia (la divisa della squadra Bianchi) anche la frase forse più famosa nella storia del ciclismo:

Un uomo solo al comando, la sua maglia è biancoceleste: il suo nome è Fausto Coppi.

Oggi certe maglie sono parte del valore culturale ed economico di eventi come il Giro, il Tour o i Mondiali, ma nacquero per ragioni pratiche: servivano a rendere riconoscibile, tra decine di corridori intenti a pedalare su strade infangate o polverose, il primo in classifica generale.

Il Tour de France, che esiste dal 1903, all’inizio ne fece a meno e poi, dopo qualche anno in cui il primo in classifica era stato identificato da una fascia verde al braccio, passò alla maglia gialla. Si dice spesso che venne scelto il giallo perché era il colore delle pagine di L’Auto-Vélo, il giornale che si era inventato e organizzava il Tour. Ma Chris Sidwells, autore del libro Cycling Jerseys, spiega che fu probabilmente solo un caso: pare infatti che il giallo fosse l’unico colore in cui erano disponibili le maglie ordinate da Henri Desgrange, fondatore e organizzatore del Tour. A Desgrange servivano infatti più di 30 maglie, in diverse taglie, e nel giro di pochi giorni. E arrivarono comunque tardi, motivo per cui iniziarono a essere indossate solo dopo alcune tappe.

Tra l’altro c’è anche chi sostiene – a dire il vero senza grandi prove – che già qualche anno prima era capitato che qualcuno avesse indossato maglie gialle mentre era primo nella classifica del Tour de France. Fatto sta che il giallo si fece senz’altro notare per le strade di Francia, forse pure troppo: Eugène Christophe, primo ciclista a indossarla durante il Tour del 1919, disse che durante le tappe gli spettatori presero a chiamarlo “canarino”.

La maglia gialla Mario Cipollini pedala insieme a Marco Pantani durante la quinta tappa del Tour (P.Pavani / ANSA / LI)

È invece vero che dal 1931 la maglia rosa è rosa perché quello era ed è il colore della Gazzetta dello Sport. In Italia il colore causò problemi di altro tipo: fu introdotta nel pieno del ventennio fascista e, trattandosi di un colore non percepito come propriamente virile, non fu facile la sua affermazione come simbolo del primato di uno sport allora popolarissimo.

Negli anni, dalle abbondanti maglie in lana si passò prima alla seta, poi alla Lycra e in periodi più recenti a materiali sintetici sempre più leggeri, performanti e aerodinamici. Dalle maniche lunghe si passò a quelle corte e dalle tasche anteriori a quelle posteriori, più comode e meno ingombranti. Soprattutto, i nuovi materiali portarono nuove possibilità di design e quindi di sponsorizzazione. Con la lana ci si doveva limitare a cucire scritte o semplici loghi con un colore diverso. Grazie ai nuovi materiali le squadre iniziarono invece a essere sponsorizzate da marchi sempre più vari, che spesso niente avevano a che fare con il ciclismo. È, in parte, il motivo per cui ancora oggi certi corridori, di certe squadre con poche possibilità di vittoria, vanno in fuga in alcune tappe: per farsi vedere e, tra le altre cose, fare vedere gli sponsor a chi guarda la corsa.

Ed è il motivo per cui gli appassionati di ciclismo di tutto il mondo conoscono nome e colori di un’azienda di Arcore specializzata in carni ed insaccati – Molteni – che negli anni Settanta riuscì a diventare la squadra per cui correva il belga Eddy Merckx, il ciclista più vincente di sempre.

Merckx con la maglia Molteni stringe la mano a papa Paolo VI prima dell’inizio del Giro del 1974, a Città del Vaticano (Keystone/Hulton Archive/Getty Images)

Le repliche e le sempre più rare versioni originali di maglie vecchie ormai diversi decenni sono parte integrante delle cosiddette ciclostoriche, cioè rievocazioni in genere non competitive del ciclismo di molti decenni fa. Invece la maglia rosa, la maglia gialla e la maglia iridata sono comunque ancora in ottima compagnia tra le maglie-simbolo-di-qualcosa.

Ci sono, per cominciare, le maglie dei campioni e delle campionesse nazionali e continentali. Per fare un esempio, nel giugno di quest’anno l’italiano Alberto Bettiol ha vinto i Campionati italiani su strada, e quindi fino all’edizione del prossimo anno correrà indossando un’apposita maglia tricolore verde-bianco-rossa. Lo stesso succede per i campioni nazionali degli altri paesi, e c’è poi anche una maglia per chi diventa campione europeo: ha stelle gialle e diverse sfumature di blu su sfondo bianco.

Più in generale, ogni corsa a tappe ha le sue maglie, ognuna per un’apposita classifica: quella generale ma anche quella a punti, quella dei gran premi della montagna o quella per i corridori con meno di 26 anni.

Al Giro d’Italia c’è stata per anni una maglia nera: una vera maglia di colore nero che veniva indossata da chi era ultimo in classifica. Una maglia molto ambita, per cui è celebre la sfida tra Sante Carollo e Luigi Malabrocca, entrambi impegnati ad andare più piano dell’altro così da arrivare ultimi, ma non così piano da finire fuori tempo massimo. La maglia nera è una maglia così nota da essere diventata parte del linguaggio comune, una più breve alternativa a “fanalino di coda”.

È di colori più allegri un’altra maglia famosissima, che almeno in Francia è popolare quasi quanto quella gialla. La maglia a pois, una maglia a pallini rossi su sfondo bianco, indossata giorno dopo giorno dal miglior scalatore del Tour. C’è chi dice che nacque per affinità con l’incarto delle barrette Chocolat Poulain, una marca di cioccolato che ne fu primo sponsor nel 1975, ma è più probabile – spiega Sidwells smontando un’altra bella storia con il solo difetto di non essere vera – che i pois rossi su sfondo bianco furono scelti fa Félix Lévitan, co-direttore del Tour che aveva visto una maglia simile da giovane, durante le gare nei velodromi parigini.

Il francese Thomas Voeckler sul Col de Menté al Tour del 2012 (Photo by Doug Pensinger/Getty Images)

La sperimentazione – a tratti quasi una perversione – del ciclismo con le maglie è arrivata addirittura a farne una che era l’insieme di altre maglie. È la cosiddetta maglia combinata, che tra il 1968 e il 1989 fu assegnata al Tour a chi – tappa dopo tappa – era in testa alla classifica combinata, che veniva calcolata in base alla posizione in tutte le altre classifiche. Per un periodo, forse non a caso durante gli anni Ottanta sono rimasti noti abbinamenti tra colori arditi e accesi, la maglia combinata fu un mosaico di tutte le altre maglie.

A complicare le cose, la maglia combinata fu usata tra l’altro nello stesso periodo in cui la squadra francese La Vie Claire adottò una “maglia Mondrian”, ispirata alle opere del pittore olandese Piet Mondrian.

Il ciclismo nemmeno si ferma alle maglie, arriva fino ai numeri: i numeri sulle maglie dei corridori hanno in genere sfondo bianco, ma diventano gialli se quei corridori sono in corsa al Tour de France nella squadra del corridore in maglia gialla o di altri colori (storicamente rossi) per identificare il corridore più “combattivo” (spesso colui che è stato più tempo in fuga il giorno prima).

In tutto questo, la maglia iridata è la più semplice: esiste dal 1927 e deve i colori a quelli dei cerchi olimpici, a loro volta scelti dall’ideatore delle Olimpiadi moderne Pierre de Coubertin per un logo che avesse tutti i colori delle bandiere dei paesi presenti alle Olimpiadi del 1912.

Ovviamente, capita spesso che a un ciclista o una ciclista siano assegnate più maglie durante una corsa, per esempio quella “a pois” e quella gialla, oppure che un ciclista campione del mondo (e quindi intento a gareggiare in maglia iridata) si trovi a dover indossare la maglia gialla del Tour de France (è assai probabile che sia Kopecky che Pogačar si troveranno in questa situazione). No, le maglie non si indossano ovviamente una sull’altra, e i ciclisti e le cicliste non hanno grandi margini per scegliere quale indossare. Esiste infatti un non semplicissimo sistema di priorità e gerarchie tra maglie: sia all’interno di una stessa corsa a tappe che in assoluto. Se, per esempio, Pogačar dovesse ottenere (il-diritto-di-indossare) la maglia gialla durante il Tour del 2025, quella maglia avrebbe la precedenza sulla maglia iridata.