Alessandro Michele ha rifatto Valentino
Domenica ha presentato a Parigi la sua prima e attesa sfilata da direttore creativo dell'azienda, dividendo come suo solito
Domenica 29 settembre l’azienda di moda Valentino ha presentato a Parigi la prima collezione, quella per la primavera/estate 2025, disegnata dal nuovo direttore creativo Alessandro Michele e intitolata “Pavillons des folies” (il padiglione delle follie). Era probabilmente la sfilata più attesa della stagione da quando, a fine marzo, Michele era stato scelto al posto di Pierpaolo Piccioli, che aveva lasciato l’incarico una settimana prima. Michele è tra le personalità più note nel mondo della moda e ha rivoluzionato il gusto del pubblico nei suoi anni alla guida del marchio Gucci, dal gennaio 2015 al novembre 2022, di cui triplicò i ricavi nei primi quattro anni (nel 2019 il fatturato fu di 9,6 miliardi di euro).
Nonostante il successo, Michele è un direttore creativo divisivo: amatissimo da alcuni e malvisto dagli altri essenzialmente per gli stessi motivi: le sue collezioni massimaliste, eccentriche, con accostamenti stravaganti al limite del kitsch e abiti pensati per essere indossati sia da uomini sia da donne.
Anche la sfilata di domenica era una cosiddetta co-ed, presentava cioè sia la collezione da donna sia da uomo in 85 look molto ispirati agli archivi di Valentino, in particolare a quelli dalla fine degli anni Sessanta a inizio anni Ottanta. C’erano tanti elementi riconoscibili dell’azienda – l’utilizzo di stampe a fiori, volant, fantasie paisley, ricami, pois, perle, turbanti, pellicce (ecologiche), grandi cappelli, pizzi, molto rosso e bianco – aggiornati nelle linee e soprattutto nello styling, il modo di indossare capi e accessori e di abbinarli tra loro: da sempre uno dei punti di forza di Michele. Per esempio i look da uomo riprendevano lo stile di vestire di Valentino Garavani, il fondatore dell’azienda, con pantaloni a zampa, grandi occhiali, giacche blu, cardigan stretti in vita da una cintura, foulard, ma attualizzati e abbinati a ballerine, collane di perle e una specie di foulard-cravatta.
Il set della sfilata, organizzata in periferia e non al consueto e centrale Hôtel Salomon de Rothschild, richiamava il passato di Valentino: c’erano divanetti, poltroncine, lampade e voliere vuote ricoperte da lenzuoli bianchi, come fosse una soffitta dimenticata o il negozio di un antiquario, mentre modelle e modelli camminavano su un pavimento di specchi rotti, un’opera dell’artista Alfredo Pirri intitolata “Passi”. La colonna sonora è stata realizzata dal musicista e arrangiatore Gustave Rudman a partire da Passacaglia della vita, una canzone di autore anonimo del XVII secolo.
Alcuni hanno accusato Michele di aver proposto da Valentino la stessa estetica di Gucci – e di aver fatto un Valent-ucci, o Gucci-tino – com’era già successo per la collezione resort, presentata a sorpresa e soltanto online a giugno dopo che, ha raccontato lo stesso Michele, qualcuno era riuscito a impossessarsi delle foto. Lui si aspettava critiche simili ma «forse è un complimento perché vuol dire che sono proprio io», ha detto. Michele non è il primo a ricevere commenti simili, era già capitato a direttori artistici fortemente autoriali come il francese Hedi Slimane da Celine e l’inglese John Galliano da Christian Dior.
Altri lo hanno accusato di non aver rispettato lo spirito di Valentino, riferendosi però allo stile di Piccioli: raffinato, elegante e monocromatico. In realtà il lavoro di Michele è stato molto fedele all’originale, e Giancarlo Giammetti, che fondò Valentino insieme a Garavani – ha commentato che è stato «un grande colpo di maestria poter reinterpretare degli abiti di sessant’anni fa con una maniera così contemporanea ma, nello stesso tempo, così rispettosa».
Il gusto di Michele, infatti, è molto più vicino allo spirito lussuoso e romantico di Valentino che a quello di Gucci, dove il massimalismo non esisteva ed è stato lui a inventarselo: Michele ha detto in una lunga intervista al sito di moda Business of Fashion (BoF) di sentire «una connessione» con Garavani e di aver lavorato avendolo in mente: «Penso sempre “gli piacerebbe? è troppo? o potrebbe essere una bella cosa da fare nel 2025 per Valentino?” Perché cerco sempre di tradurlo nell’oggi». Forse anche per questo la sfilata non è stata molto innovativa ma soprattutto un’operazione di riscoperta e riproposta.
Nonostante questo a molti è piaciuta, e la sensazione dopo la sfilata era quella di un grande ritorno, come ha scritto la critica Nicole Phelps su Vogue Runway e come si legge in post e commenti sui social network. L’assenza di Michele dal mondo della moda è coincisa con l’ascesa dell’estetica quiet luxury, fatta di vestiti di lusso, senza tempo ma anche un po’ piatti e conformisti.
Ora, scrive il critico Tim Blanks, «ci è stata regalata una collezione […] con una leggerezza così gloriosa, senza sforzi, con tecniche squisite e con una bellezza così assoluta che ha dimostrato in modo potente la mancanza di qualcosa»: quello che Jacopo Venturini, l’amministratore delegato di Valentino, ha definito «l’urgente bisogno di creare di nuovo desideri ed emozioni».