• Italia
  • Domenica 29 settembre 2024

La strage di Marzabotto, ottant’anni fa

Tra il 29 settembre e il 5 ottobre del 1944 i nazisti massacrarono circa 800 civili: oggi l'hanno ricordata Sergio Mattarella e il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier

Una lapide commemorativa a Marzabotto (ANSA)
Una lapide commemorativa a Marzabotto (ANSA)
Caricamento player

Domenica sull’Appennino bolognese si è tenuto un evento per commemorare gli ottant’anni dalla strage di Marzabotto, o eccidio di Monte Sole, una delle più estese stragi compiute dal nazismo e uno dei più gravi crimini compiuti in Europa durante la Seconda guerra mondiale. Tra il 29 settembre e il 5 ottobre del 1944, in sei giorni consecutivi di violenze, le truppe naziste guidate dal maggiore Walter Reder massacrarono quasi 800 civili nei comuni di Marzabotto, Grizzana Morandi e Monzuno, in provincia di Bologna, in un’azione di rappresaglia contro la formazione partigiana Stella Rossa, impegnata nella Resistenza.

La cerimonia commemorativa per gli ottant’anni dalla strage si è tenuta proprio a Marzabotto, il più grande dei tre comuni colpiti. Hanno partecipato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che era stato a Marzabotto l’ultima volta nel 1992, e il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier. È la seconda volta che un capo di Stato tedesco visita Marzabotto per commemorare la strage compiuta dai nazisti: la prima fu nel 2002, col presidente Johannes Rau, accompagnato dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

Sergio Mattarella e Frank-Walter Steinmeier a Marzabotto, il 29 settembre 2024 (ANSA/ BENEDETTA DALLA ROVERE)

La strage di Marzabotto fu compiuta pochi mesi dopo un’altra estesa strage di civili, sempre dai nazisti: quella di Sant’Anna di Stazzema, in Versilia, compiuta il 12 agosto del 1944 e in cui furono uccise oltre 500 persone. L’obiettivo di questo tipo di operazioni era indebolire l’attività delle formazioni partigiane impegnate nella Resistenza, terrorizzare i civili che le sostenevano e mantenere quindi il controllo sul territorio.

Dopo la strage di Sant’Anna di Stazzema, le rappresaglie dei nazisti sembravano essersi momentaneamente fermate. I nazisti però sapevano che sull’Appennino bolognese era attiva e presente la brigata partigiana Stella Rossa, che nei mesi precedenti aveva intensificato le attività con atti di sabotaggio, assalti alle caserme nazi-fasciste e scontri.

Come altre formazioni partigiane, Stella Rossa nacque dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943 ed era composta da centinaia di giovani partigiani che provenivano proprio dai comuni dell’Appennino bolognese.

Un murale commemorativo della brigata partigiana Stella Rossa a Marzabotto (Il Post)

La strage di Marzabotto fu organizzata tra gli altri dal maresciallo nazista Albert Kesselring, poi processato per crimini di guerra e ritenuto responsabile di una serie di altri noti massacri, tra cui la stessa strage di Sant’Anna di Stazzema e quella delle Fosse Ardeatine. A capo delle truppe che guidarono i sei giorni di massacri fu messo il generale Reder: prima di iniziare, la mattina del 29 settembre, i soldati ai suoi ordini accerchiarono e rastrellarono un’estesa area attorno ai comuni interessati.  

Assistiti da una serie di funzionari fascisti locali che conoscevano il territorio, i soldati tedeschi penetrarono nell’area, la setacciarono e attaccarono la popolazione civile in oltre un centinaio di località.

– Leggi anche: L’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, ottant’anni fa

Mitragliarono civili disarmati all’interno di case, cascine, scuole, cimiteri, lungo le strade e dentro le chiese; uccisero centinaia di donne, bambini e anziani, decapitarono un sacerdote, e distrussero intere zone abitate; le abitazioni vennero rase al suolo con lanci di bombe a mano e incendi. Al termine dei sei giorni consecutivi di rastrellamenti e violenze il bilancio fu di quasi 800 persone uccise.

Nei giorni immediatamente successivi alla strage la stampa locale, ancora controllata dai fascisti, minimizzò e in alcuni casi negò l’accaduto. Uno dei casi più citati dalla storiografia è quello del Resto del Carlino, allora diretto dal giornalista Giorgio Pini: l’11 ottobre del 1944, pochi giorni dopo la conclusione della strage, sul suo giornale fu pubblicato un breve trafiletto non firmato e intitolato “Voci inconsistenti” che definiva le denunce di quanto accaduto nell’Appennino le «solite voci incontrollate, prodotto tipico di galoppanti fantasie in tempo di guerra». Il trafiletto diceva poi che attorno a Marzabotto si era svolta una «operazione di polizia contro una banda di fuorilegge» e che non era «affatto vero» che fossero stati uccisi dei civili.

Anni dopo, in un’intervista con l’ex partigiano e studioso Nazario Sauro Onofri, Pini disse di aver incaricato un suo giornalista di scrivere quel trafiletto dopo essersi informato sull’accaduto chiedendone conto agli stessi tedeschi, senza fare ulteriori verifiche, e che il suo obiettivo era tranquillizzare la popolazione. «Il contrasto tra quel comunicato e la realtà che si è saputa poi, è tale che la cosa mi mette a disagio», disse Pini.

I processi per la strage di Marzabotto iniziarono subito dopo la Seconda guerra mondiale e continuarono fino all’inizio degli anni Duemila: il primo fu quello contro il generale Reder, condannato all’ergastolo e morto nel 1991 a Vienna, in Austria. Poi furono processati 17 ufficiali e sottufficiali nazisti coinvolti a vario titolo nella pianificazione, organizzazione e attuazione della strage, 10 dei quali furono ritenuti colpevoli.

– Leggi anche: Un’amicizia vera tra capi di Stato