Il Libano non può permettersi un’altra guerra
L'economia è in crisi da tempo, la politica è instabile e la popolazione è sempre più impoverita ed esausta
Con l’aumentare di frequenza e intensità dei bombardamenti israeliani in Libano, da giorni si sta parlando della possibilità che l’esercito israeliano avvii un’operazione militare di terra nel paese. Se succedesse, sarebbe la terza invasione israeliana in Libano negli ultimi cinquant’anni.
Da decenni il Libano fa i conti con una situazione politica, economica e sociale molto precaria, e al momento il paese non avrebbe i soldi né le risorse necessarie per rispondere a un’emergenza di questa portata. La situazione è diventata ancora più instabile in seguito all’uccisione da parte di Israele di Hassan Nasrallah, il leader del gruppo militare e politico libanese Hezbollah, avvenuta venerdì scorso con un bombardamento sulla capitale Beirut.
Per capire come vanno le cose in Libano bisogna partire proprio dall’influenza che Hezbollah esercita su ogni aspetto della vita nel paese. Il gruppo nacque negli anni Ottanta e nei decenni successivi si rafforzò molto, anche grazie al sostegno dell’Iran. Oggi è considerato la più forte milizia del Medio Oriente, ma è anche un partito politico che fa parte dei governi, elegge rappresentanti in parlamento e gestisce scuole, ospedali e programmi di welfare per i suoi sostenitori.
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Di fatto in Libano è assai complicato formare un governo senza il sostegno di Hezbollah, a causa dell’intricato sistema politico che vige nel paese. Per ragioni storiche e demografiche le cariche politiche sono attribuite in base alla confessione religiosa: i seggi in parlamento devono essere equamente spartiti tra musulmani sunniti, musulmani sciiti e cristiani maroniti, le tre principali correnti religiose del paese, e anche le principali cariche dello stato devono essere divise tra le confessioni (il presidente della Repubblica deve essere un cattolico maronita, il primo ministro un musulmano sunnita, il presidente del parlamento un musulmano sciita).
Questo rende molto complesso formare un governo e nominare un presidente della Repubblica (che è eletto dal parlamento), perché ogni volta è necessario raggiungere dei complicatissimi accordi tra rappresentanti di etnie e confessioni diverse. Tra le altre cose il Libano non ha un presidente della Repubblica dall’ottobre del 2022, quando si è concluso il mandato di Michel Aoun.
Oltre all’instabilità politica, l’economia del paese è in crisi da decenni a causa della debolezza della valuta locale, la lira libanese. Negli anni Novanta, dopo la fine della guerra civile, la banca centrale del Libano decise di adottare un sistema di cambi fissi, ossia un meccanismo che viene usato spesso dalle economie emergenti per stabilizzare la moneta. Il valore della lira fu così “ancorato” al dollaro, una valuta forte il cui valore è tendenzialmente stabile.
Nella pratica questo comportò che le banche dovevano essere sempre pronte a scambiare le lire in dollari, e che gran parte dell’economia iniziò a essere legata al dollaro: i prezzi nei supermercati e nei negozi iniziarono a essere esposti in dollari, anche se gli stipendi venivano pagati in lire.
All’inizio il meccanismo funzionò perché rese stabile il cambio e i prezzi, ma allo stesso tempo costrinse il Libano ad avere sempre grosse riserve di dollari a disposizione. Fino all’incirca al 2010 l’economia libanese andò bene, aiutata dagli investimenti esteri e dal turismo. Intanto però Hezbollah stava acquisendo maggiore importanza nella politica nazionale, e il fatto che fosse considerato un gruppo terroristico dagli Stati Uniti disincentivò gli investimenti dall’estero.
Nel tempo il tasso di cambio fisso divenne insostenibile per mancanza di dollari, e nel 2019 furono imposti ai cittadini limiti stringenti sull’uso del denaro: per evitare la fuga di capitali, le banche stabilirono forti restrizioni sui trasferimenti all’estero e sui prelievi in dollari. Il valore reale della lira libanese, sebbene ufficialmente ancorato al dollaro, crollò di oltre il 90 per cento sul mercato nero. La conseguenza fu che il potere d’acquisto dei libanesi si ridusse in misura considerevole, causando grosse proteste antigovernative.
Da allora il Libano vive in uno stato costante di tensione sociale, in cui i cittadini protestano incolpando i politici di corruzione sistematica e di una cattiva gestione del paese, per loro alla base delle attuali e gravi difficoltà economiche.
A tutto questo si è aggiunta la pandemia di Covid-19, che come nel resto del mondo ha avuto un impatto considerevole sull’economia. Ad agosto del 2020 ci fu inoltre un’enorme esplosione al porto di Beirut che causò più di 200 morti, oltre 7mila feriti, 300mila sfollati e danni per miliardi di dollari. La crisi dell’economia si aggravò, il Prodotto interno lordo scese, l’inflazione aumentò e il valore della lira sul mercato nero crollò ulteriormente.
L’instabilità politica e la debolezza dell’economia hanno causato una terza crisi: quella psicologica ed emotiva di una popolazione disillusa e in grave difficoltà.
In Libano manca spesso l’elettricità, che è garantita soltanto in alcune ore del giorno. Per il resto del tempo riesce a usarla solo chi ha accesso a un generatore privato, e persino gli abitanti della capitale Beirut rimangono spesso al buio. A causa dell’inflazione molti beni di prima necessità, come i medicinali, sono molto costosi oppure difficili da trovare; milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile e la cronica carenza di carburante causa lunghe code alle pompe di benzina.
Nel 2023 la situazione aveva cominciato a migliorare grazie alla ripresa del turismo e alle rimesse dei milioni di libanesi emigrati all’estero, ma l’invasione israeliana della Striscia di Gaza dello scorso ottobre ha complicato tutto di nuovo.
Hezbollah è alleato di Hamas e nell’ultimo anno, in solidarietà con il popolo palestinese, ha intensificato i lanci di razzi verso Israele (che vengono in gran parte intercettati dal sistema di difesa antiaereo). Israele risponde con missili e bombardamenti contro le postazioni di Hezbollah, che però colpiscono anche zone densamente popolate dai civili.
L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi, ha detto negli ultimi giorni che più di 50mila persone si sono spostate dal Libano alla Siria, e ci sono anche più di 200mila sfollati interni.
«La nostra casa è stata abbattuta. Non ne abbiamo più una, non abbiamo nulla» ha detto al New York Times Amal Mohamed Zayyat, una cittadina libanese sfollata. «Non avevamo scelta. Se non fossimo partiti, saremmo morti nella nostra casa. Da diversi giorni ci svegliamo con il rumore delle bombe, dei missili, con la polvere e le macerie. Stiamo morendo, non ce la facciamo più, siamo esausti».