Come prendere spunto dalle sfilate
Un po' di consigli pratici su come aggiornare o arricchire il proprio modo di vestire senza comprare quel maglioncino rosso che hanno tutti
di Arianna Cavallo
Come accade dopo ogni Settimana della moda – quella di Milano dedicata alle collezioni per la primavera/estate 2025 si è conclusa lunedì – siti e riviste scrivono le loro previsioni su quelli che saranno il colore, i capi e gli stili di tendenza e li consigliano ai loro lettori: si tratta però di semplici opinioni, a volte influenzate dai rapporti pubblicitari con i marchi di abbigliamento. Altri, come l’account Instagram databutmakeitfashion o il motore di ricerca Tagwalk, pubblicano analisi con dati e percentuali sulle collezioni più importanti e segnalano i look e gli accessori più cercati online dalle persone, sempre per dare un’idea di ciò che sarà più visto e desiderato nei prossimi mesi.
Non c’è niente di male nel farsi influenzare dalle tendenze e nel comprare la “borsa del momento” ma ci sono anche modi più pragmatici di ispirarsi alle sfilate e aggiornare il proprio modo di vestire, senza rischiare di comprare qualcosa che potrebbe stancare presto o che non corrisponde alla propria personalità.
Dalle sfilate emergono sempre degli elementi comuni – a questo giro si è visto molto argento e abiti sexy che scoprono il corpo, come succede dalla fine della pandemia – ma la moda è diventata meno normativa di un tempo e, anche per avvicinare più clienti, i marchi propongono tante cose diverse tra loro. Per questo le sfilate sono simili a vetrine piene di idee ed esperimenti da adattare al proprio gusto: si può scoprire un accostamento di stampe o colori, provare una nuova tinta (magari in un dettaglio, come un calzino, anziché un maglione) o un accessorio, come una spilla, un foulard o un cerchietto per capelli.
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A volte quello che colpisce è l’idea di mondo espressa da una sfilata, che è uno spettacolo fatto solo in parte dai vestiti: «ci sono la musica, il set, il modo in cui modelle e modelli camminano, le loro facce, i loro corpi, il trucco e parrucco», ricorda l’esperto di moda Jacopo Bedussi.
«Per prima cosa devi capire cosa ti è piaciuto di una sfilata», aggiunge, «se il mondo a cui rimanda o se un singolo look ed, eventualmente, che cosa di quel singolo look: i volumi, i colori, i riferimenti a un altro decennio, lo styling», cioè il modo in cui capi e accessori sono abbinati tra loro e indossati. A quel punto si può provare a ricrearlo con quello che si ha a casa, comprando vintage o da marchi di buona qualità che propongono cose simili ma meno costose. È più facile con le collezioni di direttori creativi che lavorano sullo styling e che «rimettono insieme cose che in un modo o nell’altro già esistono», come fa per esempio Alessandro Michele, che ora è alla guida dell’azienda Valentino dopo aver diretto Gucci dal 2015 al 2022. È più difficile invece «se piacciono gli stilisti che inventano nuove forme e vestiti: per esempio negli anni Settanta le giacche da donna di Armani le faceva solo lui e nessun altro», dice sempre Bedussi.
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Lo styling è tra gli aspetti di una sfilata più facili da copiare, anche se a farlo in modo letterale si rischia di sembrare un po’ ridicoli a chi è estraneo al mondo della moda. Per l’autunno/inverno 2024 Miu Miu, il marchio per le ragazze di Miuccia Prada, ha fatto sfilare alcune modelle con il colletto della camicia mezzo fuori e mezzo dentro dal cappotto e con la collana di perle tutta storta: l’idea non era indossare camicia e collana in quel modo, ma portare con un piglio da “ragazzaccia” gli abiti borghesi tradizionali.
L’azienda di moda Bottega Veneta ha appena mostrato modelle e modelli con vestiti stropicciati, come se non fossero stati stirati, oppure con completi elegantissimi e le buste della spesa in mano, per suggerire un’idea di moda non ingessata ma mescolata alla vita quotidiana. Anche l’ultima collezione presentata da Prada giocava molto con lo styling, con accostamenti insoliti e sorprendenti per convincere a vestirsi nel modo più personale possibile.
Così ispirarsi alle sfilate non significa comprare qualcosa di nuovo, ma accostare in modo fresco cose che si hanno già. Aiuta anche che i direttori creativi si ispirino molto al passato, come si è visto anche nelle ultime sfilate: Prada, per esempio, ha proposto 49 paia di scarpe ispirate ai suoi modelli precedenti. Giorgia Dell’Orto, che ha fondato con altri due soci Ambroeus, uno dei negozi di abbigliamento vintage più noti a Milano, ripropone spesso alcuni look delle sfilate con i capi che ha già in vendita: «a volte è più facile ricrearli con il vintage che con il nuovo perché puoi trovare cose simili in ottimi materiali o anche i modelli originali», spiega.
Il punto, aggiunge, «non è mai copiare paro paro, ma estrapolare i concetti, le forme e i colori e rifarli con le cose che hai o che trovi in giro». Nella vita di tutti giorni non è comodo mettersi corpetti, mutande al posto dei pantaloni e cappotti che strisciano a terra ma «bisogna saper interpretare lo spirito delle sfilate». Per esempio Bally, uno dei marchi più apprezzati a Milano, ha fatto sfilare cappotti molto larghi e strutturati sui fianchi e gonne con una specie di rigida balza alla vita: per avere qualcosa di simile, dice Dell’Orto, «si possono usare dei vestiti con una vita più stretta e spalle larghe, una gonna a vita molto alta o delle cinture che stringono e fanno l’effetto corsetto».
Secondo lei le tendenze più interessanti non sono quelle a breve termine ma «i cambiamenti proposti nei volumi, nelle forme, nell’accostamento di capi fatto in modo non convenzionale rispetto al momento storico», che si diffondono fino a diventare di massa. Dell’Orto ricorda per esempio una sfilata nel 2021 del marchio francese Celine «in cui furono usati i cappellini da baseball con i blazer classici oppure i primi jeans larghissimi e lunghissimi presentati da Alessandro Michele da Gucci, che hanno dettato il trend nel denim fino a ora».
Per questo guardare una sfilata può essere utile anche «per cercare di schivare i trend» spiega Yara De Nicola, direttrice e co-fondatrice di Alla Carta, una rivista indipendente che racconta il mondo contemporaneo attraverso la moda, l’arte e il design. «Le cose trendy arrivano, che tu voglia o no, ed è difficile non esserne influenzati: il bello è riuscire a farle tue». Quello che si trova nei negozi della grande distribuzione e della fast fashion (le catene che vendono abbigliamento molto dozzinale e di tendenza) è copiato dalle sfilate, le cui proposte si riversano nei guardaroba di chiunque: chi vuole essere alla moda e chi no finiscono per avere un maglione rosa acceso o una borsetta simile, ovviamente con costi e qualità assai diversi.
Il celebre monologo sul maglioncino ceruleo dal film Il diavolo veste Prada
Allo stesso modo i marchi di lusso si appropriano, a volte, di tendenze già in corso sui social network – come Ferragamo che ha ispirato l’ultima collezione al balletcore, il modo di vestire nella danza classica, che va da tempo su TikTok – o di modelli di successo disegnati da aziende più piccole. In questi casi De Nicola suggerisce di comprare i riferimenti originari a cui si ispirano gli stilisti: per esempio Phoebe Philo, allora direttrice creativa del marchio francese Celine, «ha stravolto la prospettiva sulle Birkenstock rendendole qualcosa di elegante dopo aver fatto uscire una ciabatta simile: ma a quel punto puoi prenderti le Birkenstock». Lo stesso ha fatto Miu Miu con le scarpe da barca e con una giacca ispirata a quella di Carhartt, un marchio statunitense di workwear (cioè gli abiti da lavoro).
Un’idea, dice De Nicola, è comprare qualcosa di un grosso marchio di moda «come fosse un pezzo d’arte, per dare credito a chi l’ha inventata, anche perché spesso i designer sono spremuti e buttati via se non raggiungono gli obiettivi economici». Per motivi simili consiglia di non acquistare pensando alle tendenze ma rivolgendosi ad aziende più piccole che spesso hanno un’identità originale e che controllano il loro ciclo produttivo, come le italiane Magliano, Cormio, Vitelli e Sunnei: «quando compri cose di piccoli marchi non lo fai con il senso di colpa ma con più soddisfazione».
Ci sono elementi di una sfilata con cui è più facile sperimentare, come il modo di truccarsi e pettinarsi. «Da qualche stagione il beauty è un po’ sottotono, non si fa grande sperimentazione, ma il vantaggio è che si possono rifare molte cose nel quotidiano» spiega Sofia Viganò, responsabile del sito di Vogue Italia e della sua sezione dedicata al Beauty. Per esempio, aggiunge, ci sono «i capelli raccolti molto tirati con il gel e la riga in mezzo della Gen Z [i nati tra il 1996 e il 2010, n.d.r.], portati però con due chignon bassi dietro. È divertente anche la tendenza dei capelli scompigliati o senza piega che si è vista da Prada ma soprattutto attorno alle passerelle: per esempio la cantante Rosalía è andata alla sfilata di Dior con i capelli sciolti come se se li fosse asciugati con il phon». Un’altra cosa da provare, in linea con lo spirito giocoso delle migliori sfilate a Milano, «è il trucco lilla che aveva l’atleta paralimpica Veronica Yoko Plebani da Marco Rambaldi: non sta bene a nessuno e per questo fa il giro e sta bene a tutti».
Nel suo essere un evento quasi pop, una sfilata può influenzare con aspetti ancora più impalpabili, come dice Bedussi ricordando quella della collezione autunno/inverno 2012 di Prada: «il modo in cui camminavano, con quella spacconaggine e ironia di fondo, ha cambiato il modo in cui mi muovo ancora oggi».