I fischietti degli arbitri non sono tutti uguali
Nel calcio per esempio ognuno sceglie quello che gli pare e il suono può cambiare anche da partita a partita
Il fischietto è probabilmente l’oggetto più di tutti associato al lavoro di arbitri e arbitre, che in moltissimi sport lo usano per interrompere il gioco e segnalare per esempio l’inizio e la fine del tempo, i falli, le irregolarità e altre situazioni sulle quali è necessario attirare l’attenzione di atleti e pubblico. «La prima cosa che controllavo di avere quando facevo la borsa era il fischietto: dimenticarselo è una cosa gravissima per noi arbitri e se non avevo il mio temevo che qualcosa potesse andare storto», racconta Luigi Lamonica, storico arbitro di basket italiano e internazionale, oggi commissioner del Comitato italiano arbitri.
È insomma quasi impensabile immaginare una partita di calcio o di basket in cui l’arbitro non adoperi il fischietto, e in effetti l’utilizzo sportivo di questo oggetto ha origini molto antiche. Esiste in sostanza da quando esiste il fischietto nella sua versione moderna, e cioè dagli anni Settanta dell’Ottocento, quando Joseph Hudson fondò a Birmingham, in Inghilterra, la J Hudson & Co, che in poco tempo sarebbe diventata la più grande fabbrica produttrice di fischietti; esiste ancora oggi, con il nome di ACME Whistles, e in 150 anni ha prodotto oltre 450 milioni di fischietti. Sono oggetti che emettono fischi o sibili sempre uguali (i fischietti di base emettono una sola nota) attraverso il passaggio e la compressione dell’aria in uno spazio ristretto. Esistevano invece già in tempi antichi, in Egitto e in Cina, ed erano fatti di terracotta, di legno o di altri materiali.
Anche se per il pubblico può essere difficile distinguere i suoni, però, i fischietti non fischiano tutti allo stesso modo, a volte anche all’interno di uno stesso sport: in Italia per esempio la pallavolo e il basket hanno standard fissi sui fischietti da usare, mentre nel calcio ogni arbitro può usare quello che preferisce e che gli sembra più adatto.
Joseph Hudson propose il primo fischietto moderno, il Metropolitan, durante un concorso indetto nel 1883 da Scotland Yard, la polizia britannica, che cercava un sostituto più funzionale rispetto allo strumento usato fino a quel momento dai poliziotti, una specie di sonaglio che faceva rumore agitandolo in aria. L’idea di Hudson piacque e prese subito piede: furono ordinati ventimila fischietti solo per Birmingham e nell’anno successivo la J Hudson & Co ne produsse circa 250mila.
Già nel 1884 Joseph Hudson inventò il primo fischietto sportivo della storia, l’ACME Thunderer, che ancora oggi viene prodotto in una versione aggiornata ed è utilizzato da diversi arbitri ma anche da capitreno e addestratori di cani, per esempio. Il primo ACME Thunderer fu usato negli anni Ottanta dell’Ottocento nelle partite di calcio, uno sport che cominciava ad avere successo in Inghilterra in quegli anni: prima del fischietto, gli arbitri utilizzavano dei fazzoletti che lanciavano in aria per segnalare i falli e altre cose (una pratica che in realtà esiste ancora in alcuni sport, per esempio nel football americano).
Oggi i due fischietti utilizzati dalla maggior parte di arbitri e arbitre sono il Fox40 e il Molten Valkeen. In alcuni sport gli arbitri possono decidere singolarmente quale adoperare: per esempio nel calcio in Serie A non esiste un fischietto standard, la scelta viene lasciata all’arbitro. «Non ci sono indicazioni precise. La gran parte degli arbitri utilizza ancora il Fox40, che ha un costo limitato, mentre alcuni hanno cominciato a usare il Molten Valkeen, che però costa 60 euro e a me piace poco perché ha un suono meno pieno e più acuto», spiega Luca Marelli, ex arbitro di calcio e oggi opinionista sulle questioni arbitrali per DAZN. «Io sono un fedelissimo del Fox40, ce l’ho di quasi tutti i colori, li abbinavo al colore della divisa».
I fischietti infatti non sono tutti uguali, e le ragioni dietro alle preferenze possono essere di vario tipo. Prima di tutto, come accennava Marelli, c’è il suono che emettono, che è diverso a seconda del tipo e può essere più o meno acuto, più o meno penetrante, più o meno facile da percepire anche in lontananza, o in un ambiente particolarmente caotico come uno stadio o un palazzetto. Il Fox40 emette un suono di circa 115 decibel, la stessa intensità del Mikasa Beat, quello ufficiale degli arbitri internazionali di pallavolo, mentre il Molten Valkeen (oggi molto usato nelle competizioni calcistiche internazionali) arriva a 125 decibel. Anche lo sforzo che richiede il fischio e le dimensioni dell’oggetto, comunque, possono influenzare la scelta: «A me il Fox40 non piaceva perché era troppo piccolo, quindi se potevo ne usavo un altro della Fox, più grande, che mi dava più sicurezza», dice per esempio Lamonica.
Alcuni dei principali fischietti provati da un arbitro in un campo da calcio, e le differenze nel suono
Nel basket comunque la scelta è più standardizzata rispetto al calcio, perché nelle varie competizioni sono le federazioni a fornire i fischietti (sia l’Eurolega che la FIP, la Federazione italiana, mettono a disposizione due modelli della Fox, mentre la FIBA, la Federazione internazionale, fa usare anche il Molten Valkeen). Oggi comunque il Fox40 è il fischietto più usato al mondo, nello sport ma non solo: si dice ne venga venduto uno ogni otto secondi. Il suo fischio da quasi quarant’anni accompagna Mondiali, Olimpiadi e vari campionati nazionali, dalla NBA alla Serie A di calcio.
La storia della sua invenzione peraltro è abbastanza particolare e ha come protagonista Ron Foxcroft, un imprenditore e arbitro canadese che aveva una ditta di trasporti e arbitrava partite di basket sia locali sia internazionali. All’inizio degli anni Ottanta Foxcroft cominciò a sviluppare un fischietto differente da quelli in uso in quegli anni, la maggior parte dei quali al loro interno conteneva una pallina che, quando qualcuno soffiava dentro, si muoveva amplificando il suono e facendolo vibrare nell’aria. Quei fischietti però avevano un problema: a volte la pallina si incastrava, impedendo al suono di uscire.
È una storia che ha i tratti della leggenda, ma è impossibile stabilire se sia vera perché nessuno è in grado di contraddire il suo inventore (è raccontata in questa versione anche dal sito della Fox): comincia quando durante la finale maschile del torneo di basket delle Olimpiadi di Montreal 1976 un giocatore della Jugoslavia diede una gomitata a un avversario degli Stati Uniti. L’arbitro di quella partita era proprio Foxcroft, che vide l’infrazione: al momento di fischiare, però, la pallina nel suo fischietto si inceppò e gli impedì quindi di segnalare il fallo, facendogli subire insulti e fischi dal pubblico statunitense. Pare che da quel momento si rafforzò in Foxcroft l’idea che un nuovo fischietto fosse necessario.
Il seguito è una romanzesca storia di sagacia imprenditoriale statunitense: in questo breve documentario di History Channel Foxcroft racconta che per far conoscere il suo innovativo fischietto appena perfezionato (dopo quattordici diverse versioni) andò nell’albergo di Indianapolis in cui alloggiavano tutti gli arbitri dei giochi Panamericani del 1987 (un’importante manifestazione sportiva a cui partecipano tutti i paesi del Nord, del Centro e del Sud America). Nella notte, fece suonare il suo fischietto nel corridoio dell’albergo: quasi tutti gli arbitri rimasero colpiti dal fischio, ricorda Foxcroft, e chiesero di poterlo comprare.
Foxcroft aveva a quel punto il problema di produrlo su scala industriale, e anche qui la soluzione fu in parte frutto del caso, sempre secondo la sua versione: perché Foxcroft dice che sbattendo la cornetta del telefono dopo una chiamata andata male si rese conto che la plastica di cui era fatto il telefono era particolarmente resistente. Decise quindi di far costruire i fischietti con quel materiale, che era anche parecchio economico: in tre settimane riuscì a produrre 20mila fischietti e a entrare nel business. Anche senza la pallina, il Fox40 emette comunque un suono vibrato, perché produce tre frequenze leggermente diverse che si sovrappongono in maniera sfasata.
Una decina di anni fa la Fox creò e cominciò a vendere anche una versione elettronica del Fox40, nella quale quindi non bisogna soffiare dentro, ma premere un pulsante per azionarlo, producendo tre tipi diversi di suono che variano per intensità e potenza (tra i 96 e i 120 decibel). Questo fischietto diventò particolarmente utile nel periodo della pandemia da Covid-19, perché non essendo necessario soffiare gli arbitri evitavano di farlo sputacchiando in campo.
Un articolo del New York Times del 26 giugno 2020 si chiedeva se questo fosse il fischietto del futuro, ma alla fine oggi nessuno dei principali tornei e campionati dei vari sport lo adopera, un po’ per le resistenze a cambiare un gesto e un oggetto impiegato in quel modo da centocinquant’anni, un po’ perché certe restrizioni per la pandemia oggi non sembrano più necessarie, e un po’ perché l’elettronico pone problemi quali la durata della batteria e il funzionamento in condizioni climatiche difficili.