Da dove viene la grave crisi del settore dell’auto nell’Unione Europea
La scarsa lungimiranza di politica e aziende ha creato una transizione disordinata verso i veicoli elettrici, su cui la Cina è molto più avanti
In queste settimane sono state tante le notizie che hanno reso evidente una crisi senza precedenti del settore dell’auto nell’Unione Europea: i dati sulle vendite mostrano un mercato in declino, le aziende fermano interi stabilimenti e minacciano chiusure e licenziamenti, i dipendenti organizzano scioperi. Sono in grossa difficoltà anche le più grandi imprese europee, quelle che hanno avuto un ruolo importante nell’industrializzazione del continente e che di questo processo sono diventate un po’ il simbolo, come la Volkswagen tedesca e Stellantis, erede dell’italiana Fiat e della francese Peugeot.
Dietro a questa crisi ci sono cause di lungo periodo che stanno producendo i loro esiti tutte insieme: dopo anni di esigui investimenti in innovazione e di incentivi marginali da parte delle istituzioni – e dunque di scarsa visione sia dei manager che della politica – l’intero settore si è trovato a dover affrettare il processo di transizione verso i veicoli elettrici, ancora molto costosi e poco interessanti per i consumatori europei. Nel frattempo deve adeguarsi a norme europee molto severe e risente della forte concorrenza della Cina, che al contrario ha sviluppato un fiorente mercato dei veicoli elettrici e ha sostanzialmente la leadership della tecnologia necessaria per produrli, dalle materie prime alle batterie.
La dimensione della crisi si capisce bene dall’andamento delle vendite di veicoli nuovi. Secondo gli ultimi dati dell’ACEA, l’associazione europea dei produttori di auto, ad agosto le immatricolazioni in Unione Europea sono state il 18 per cento in meno rispetto ad agosto del 2023: i paesi dove sono andate peggio sono Germania, Francia e Grecia, dove la perdita è stata rispettivamente pari al 28, 24 e 21 per cento. In Italia le immatricolazioni sono state il 13 per cento in meno di un anno fa.
Il calo è stato poi particolarmente accentuato nelle vendite di veicoli elettrici, lo standard a cui punta il settore e che ci si aspetterebbe essere in crescita, per via degli investimenti e per il fatto che è un settore recente: nell’Unione Europea invece le vendite sono state il 43,9 per cento in meno rispetto ad agosto dell’anno scorso. Ci sono stati grossi cali in Germania e in Francia, i due paesi in cui il mercato delle auto elettriche è attualmente più grande e in cui le vendite sono state rispettivamente il 69 e il 31 per cento in meno rispetto ad agosto 2023. Anche in Italia la riduzione è stata consistente, del 41 per cento.
I risultati di un solo mese, seppur così negativi, non sono sufficienti a indicare una crisi, ma quelli di più lungo periodo sì: le vendite annuali di auto sono ancora di 3 milioni di unità sotto i livelli di prima della pandemia. Gli stabilimenti europei stanno lavorando alla metà della loro capacità produttiva, secondo i calcoli di Bloomberg: è il caso di Volkswagen, che ha già fatto intendere di voler chiudere alcuni stabilimenti e di iniziare licenziamenti di massa, ed è anche il caso di Stellantis, che in Italia tiene migliaia di lavoratori in cassa integrazione e sta producendo sempre meno veicoli rispetto al passato. Ma anche aziende come BMW e Mercedes-Benz non sono messe bene.
Nei primi otto mesi del 2024, da gennaio ad agosto, le vendite complessive di veicoli sono comunque cresciute rispetto allo stesso periodo del 2023 – seppur di poco, dell’1,4 per cento – mentre quelle di auto elettriche sono risultate l’8,3 per cento in meno. È proprio l’andamento di quelle elettriche che definisce le prospettive future per il settore, perché dal 2035 nell’Unione Europea, secondo le regole attuali, non sarà più possibile vendere nuovi veicoli a diesel o a benzina. Il divieto di vendita dei veicoli a benzina e diesel fa parte di un ambizioso progetto europeo per contrastare il riscaldamento globale, che mira a raggiungere la cosiddetta neutralità carbonica entro il 2050.
Le posizioni sul divieto specifico di produrre e commercializzare veicoli con motori tradizionali a partire dal 2035 sono piuttosto polarizzate: c’è chi ritiene che sia un passaggio importante e inevitabile per arrivare alla neutralità carbonica e c’è chi invece teme che il divieto sia troppo vincolante e repentino, e che finirà per rivelarsi dannoso per l’industria dell’auto europea, che vale il 7 per cento del Prodotto Interno Lordo del continente e 13 milioni di posti di lavoro. Tutte le considerazioni critiche verso il divieto, anche quelle più pragmatiche, si scontrano però con i numeri e l’urgenza di contrastare il cambiamento climatico: l’Unione Europea è la terza produttrice mondiale di CO2 e le automobili rappresentano il 12 per cento di tutte le emissioni, mentre l’intero settore dei trasporti è responsabile di un quarto del totale.
Le auto elettriche sono però ancora poco diffuse e poco allettanti per il mercato di massa: la gran parte delle persone cerca veicoli per spostarsi con praticità e a basso costo. Al momento i modelli elettrici in circolazione non rispondono a nessuna delle due esigenze. Sono innanzitutto ancora molto costose rispetto a quelle col motore a combustione: sono ancora pochi i modelli elettrici sotto i 20mila euro, anche a guardare tra le auto di fascia bassa. In più sono ancora poco pratiche: da una parte i modelli di fascia più bassa (dunque non quelli di Tesla, per intenderci) non consentono di fare enormi distanze con una ricarica; dall’altra le colonnine di ricarica sono ancora poco diffuse sul territorio. Per ora sono insomma auto adatte per le piccole e medie percorrenze.
Uno studio dell’ACEA mostra come le vendite di auto elettriche siano maggiori dove c’è una maggiore disponibilità di colonnine sul territorio: questo si vede per esempio dal fatto che i due paesi dove sono concentrate più colonnine – Paesi Bassi e Germania, che insieme ne hanno il 42 per cento – sono anche tra quelli dove la quota di mercato delle auto elettriche è più alta. È così anche in Norvegia, un paese che ha puntato molto sugli incentivi all’acquisto e sulle infrastrutture, dove ormai in circolazione ci sono più auto elettriche che a benzina.
Nella maggior parte dei paesi europei questo è mancato: le infrastrutture di ricarica sono ancora poco diffuse, sebbene le cose cambino radicalmente da paese a paese, e gli incentivi all’acquisto di auto elettriche sono cronicamente insufficienti un po’ ovunque (in Italia per l’intero 2024 erano stati stanziati 240 milioni di euro, e le richieste li hanno fatti terminare in appena 9 ore).
Da anni le aziende automobilistiche criticano questo atteggiamento delle istituzioni, che giudicano poco lungimirante e al momento incapace di indirizzare la transizione energetica del settore. Anche le stesse aziende però sono state accusate di poca lungimiranza, visto che le loro innovazioni si stanno dimostrando largamente insufficienti rispetto a quanto fatto per esempio dalla Cina: i produttori cinesi hanno beneficiato di ricchissimi sussidi pubblici, che da una parte hanno finanziato la ricerca e lo sviluppo di modelli sempre più all’avanguardia, e dall’altra consentono alle imprese di vendere le loro auto praticamente sottocosto. In questo modo le auto cinesi battono quelle occidentali sia per tecnologia che per prezzo: è il motivo per cui l’Unione Europea – come gli Stati Uniti e il Canada – ha deciso l’imposizione di dazi all’importazione di auto elettriche provenienti dalla Cina.
Nel settore poi si è creato un grosso cortocircuito normativo. Le regole estremamente ambiziose dell’Unione Europea hanno posto alcuni obiettivi intermedi per limitare gradualmente le emissioni delle nuove auto immatricolate: il primo di questi obiettivi è nel 2025, e imporrà ai produttori di non superare in media i 95 grammi di anidride carbonica al chilometro per le vetture vendute complessivamente, se non vorranno essere multati. È un obiettivo che fu ritenuto quasi irrealistico quando venne fissato, e ha spinto alcune aziende a sospendere gli obiettivi di lungo termine per lo sviluppo dei modelli completamente elettrici, promuovendo invece veicoli ibridi capaci di far abbassare le emissioni medie del totale venduto già nel breve periodo.
Per come sono messe ora le vendite di auto elettriche secondo ACEA non sarà in ogni caso possibile rispettare gli obiettivi del 2025, col rischio praticamente certo per i produttori di incorrere in «multe multimiliardarie»: secondo i calcoli di ACEA servirebbe che le auto elettriche arrivassero a una quota di mercato del 22 per cento, e al momento questa è ferma al 14 per cento.
Da giorni in Italia e in Europa si sta dibattendo molto sulla possibilità di far slittare in avanti gli obiettivi del 2025 – una richiesta partita da ACEA – e addirittura di anticipare al 2025 (quindi di un anno) la discussione sulla clausola di revisione degli obiettivi del 2035. Quest’ultima è una proposta partita dall’Italia e dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, appoggiato dalla Germania: Italia e Germania, proprio per l’importanza economica della loro industria automobilistica, sono stati tra i paesi che più hanno ostacolato l’entrata in vigore del regolamento sul divieto di vendita di veicoli a benzina e diesel dal 2035. Urso sta anche proponendo l’istituzione di un fondo per compensare il settore dai costi dell’ambiziosa regolamentazione europea in materia di emissioni.
– Ascolta Ci vuole una scienza: Guida alle auto elettriche, spiegate con calma