Il congedo di paternità prolungato ha funzionato bene per chi lo ha provato
Cioè sia per i padri che per i datori di lavoro, secondo uno studio approfondito basato su una ventina di grandi aziende italiane
Il centro studi Tortuga ha pubblicato un esteso rapporto sull’esperienza di una ventina di grandi aziende italiane che già da qualche tempo hanno introdotto autonomamente congedi di paternità più lunghi di quelli molto brevi attualmente previsti dalla legge italiana, che al momento sbilancia fortemente sulle donne il carico della gestione dei figli. L’adesione è stata alta, oltre il 70 per cento, e in generale dicono di esserne rimasti soddisfatti sia i dipendenti che lo hanno provato, sia le loro aziende. Tra chi ha rinunciato, invece, le ragioni riguardano soprattutto i timori di ripercussioni negative sulla carriera. Il rapporto è stato presentato giovedì alla Camera dei deputati.
In Italia e non solo, lo sbilanciamento della cura familiare sulle donne è una delle cause della riduzione dell’occupazione femminile e della bassa natalità: allo stato attuale, per molte donne è ancora estremamente difficile, se non impossibile, conciliare lavoro e vita familiare. Lo studio pubblicato da Tortuga si intitola “Verso una genitorialità condivisa” ed è stato promosso da Lia Quartapelle, deputata del Partito Democratico che da tempo si occupa di questi temi e promotrice di una proposta di legge sull’argomento.
Il rapporto si basa su 24 grandi aziende che in Italia hanno introdotto misure per promuovere una maggiore parità nella gestione della famiglia: 22 di queste lo hanno fatto anche attraverso l’estensione del congedo di paternità a mediamente 8,6 settimane (cioè oltre due mesi) in più rispetto ai 10 giorni previsti dalla legge, retribuendolo al 100 per cento. L’estensione è andata da un minimo di una settimana a un massimo di 26 settimane (cioè circa sei mesi).
Una campagna per il congedo paritario nel Regno Unito
Hanno aderito al congedo di paternità esteso soprattutto i padri più giovani (il 75 per cento di quelli tra i 30 e i 39 anni contro il 65 per cento di quelli tra i 40 e i 49) e tutti quelli che lo hanno fatto dicono che lo rifarebbero. D’altra parte invece, dopo aver visto altri colleghi farlo, il 96 per cento di chi nelle aziende coinvolte non aveva aderito si è dichiarato pronto a farlo in futuro. Un terzo dei padri intervistati (sempre in queste 24 grandi aziende), inoltre, dice che non accetterebbe di lavorare in un posto che non prevede politiche simili, indipendentemente dalla possibilità di avere stipendi più alti.
Gli uomini che hanno aderito al congedo prolungato hanno detto di averlo fatto per stare più vicino alla famiglia (l’87 per cento), o per poter essere più presenti nella vita dei figli (l’81 per cento). Chi non ha utilizzato il congedo o lo ha utilizzato solo in parte invece dice di averlo fatto per paura di ripercussioni negative sulla carriera, per l’alto carico di lavoro, per pressioni sul lavoro o perché i colleghi non ne avevano usufruito.
Gran parte delle aziende coinvolte, il 63 per cento, dice di essere riuscita a gestire l’assenza del dipendente anche senza sostituirlo (e quindi senza costi aggiuntivi), ma solo riorganizzando il lavoro internamente e redistribuendo le mansioni tra gli altri dipendenti. Alcune delle aziende intervistate per lo studio hanno detto di aver beneficiato di questa riorganizzazione, con un’evoluzione dei ruoli al loro interno e una maggiore assunzione di responsabilità da parte dei dipendenti non in congedo: dicono quindi di averne ricavato addirittura un impatto positivo sulla produttività.
Alcune delle aziende esaminate hanno introdotto il congedo di paternità prolungato gradualmente, insieme ad altre misure per permettere ai propri dipendenti di conciliare il lavoro con la gestione della vita familiare: asili nido aziendali, una maggiore flessibilità sul lavoro da remoto oppure il sostegno di uno psicologo (o comunque di una figura che accompagni il reinserimento al lavoro dopo la nascita dei figli).
Complessivamente le aziende che hanno introdotto il congedo di paternità prolungato sono riuscite non solo a promuovere una maggiore parità di genere al loro interno, ma anche ad aumentare il benessere individuale nei dipendenti che ne hanno usufruito: «i dipendenti che abbiamo intervistato hanno detto di essere riusciti a creare legami più stretti coi propri figli, e di essersi goduti maggiormente l’esperienza di essere padri», dice Luisa Pomarici di Tortuga, una delle autrici dello studio.
Ci sono poi motivi diversi per le aziende di introdurre il congedo prolungato: oltre che per promuovere una maggiore parità di genere, per esempio per venire incontro alle esigenze di famiglie non coperte dalla legge attuale, come le coppie dello stesso sesso.
Le aziende esaminate sono molto grandi e vanno dai 200 agli oltre 10mila dipendenti: sono ABB, Avanade, Barilla, Carrefour, ENEL, Engie, Findomestic, Gruppo ITAS, Gucci, Haleon, Lamborghini, Lavazza, Mondelez, Nestlé, Sanofi, SISAL, Snam, Takeda, Teleperformance, TIM, Unicoop, Unicredit, Vodafone e WBD. Non sono rappresentative dell’intero tessuto aziendale italiano, in cui la maggior parte delle imprese è molto più piccola, ma secondo gli autori dello studio quanto emerge dalle loro esperienze è comunque un buon punto di partenza.
In Italia, quando una coppia ha un figlio o una figlia, la legge prevede due tipi di congedi obbligatori: quello di maternità, che dura almeno cinque mesi, e quello di paternità, che dura almeno dieci giorni. Esiste anche il congedo parentale, che è facoltativo e può essere preso da entrambi, ma che viene generalmente utilizzato soprattutto dalle madri. I congedi obbligatori riguardano inoltre soprattutto lavoratrici e lavoratori dipendenti, e non gli autonomi.
«Finora questo governo ha sempre promosso interventi “chirurgici”, per così dire, sulla genitorialità: sgravi fiscali, piccoli interventi che aiutano ma non cambiano le condizioni strutturali che riducono l’occupazione femminile e sono alla radice della bassa natalità», dice Lia Quartapelle, secondo cui il congedo di paternità prolungato andrebbe introdotto per legge, anche nel settore pubblico e per tutti i tipi di lavoratori, non solo quelli dipendenti. Sul tema sono state presentate negli anni varie proposte di legge, con idee diverse sulla durata del congedo: secondo Quartapelle «probabilmente la cosa più sensata è prolungare il congedo di paternità gradualmente e fare in modo che venga assimilato dai luoghi di lavoro insieme ad altre misure strutturali».