Anche i pugili italiani hanno cominciato a insultarsi
Il cosiddetto “trash talking”, importato dall'estero, si sta rivelando una strategia efficace per far appassionare più persone a questo sport
Da un paio d’anni l’azienda promotrice di eventi di pugilato italiana The Art of Fighting (TAF) sta avendo un certo successo e allargando il numero di appassionati di questa disciplina grazie a una strategia di comunicazione molto efficace che coinvolge gli atleti nella promozione degli eventi. Gli incontri ora si svolgono più spesso in strutture grandi, perlomeno per gli standard del pugilato italiano, che ha sempre attirato pubblici da poche centinaia di persone. Il prossimo si terrà il 16 novembre all’Allianz Cloud, uno dei principali palazzetti di Milano, con più di 5mila posti.
Uno dei modi con cui la TAF è riuscita ad ampliare il suo pubblico è la diffusione, prima di ogni spettacolo, di video che esaltano il carisma di pugili e la loro rivalità. In questi video gli atleti solitamente si provocano reciprocamente, dando risalto ai propri punti di forza e schernendo gli avversari per i loro limiti fisici o tecnici, rinfacciandogli i match che hanno perso nel corso della loro carriera e criticandoli sul personale.
Fanno insomma del trash talking, una strategia retorica diffusissima nella boxe statunitense e nelle principali federazioni internazionali di sport da combattimento, come per esempio l’Ultimate Fighting Championship (UFC), la lega di arti marziali miste più seguita al mondo. Consiste nell’esaltare se stessi e sminuire l’avversario nelle dichiarazioni pubbliche, in modo tale da ricreare nella percezione del pubblico l’idea di un antagonismo che vada al di là dell’aspetto puramente sportivo di un incontro.
«Questo modo di comunicare serve ad aumentare l’entusiasmo per il match, e se sfruttata nel modo giusto permette di raggiungere spettatori che di solito non seguono gli sport da combattimento», dice Erwin Pintiliuc, creatore di contenuti e commentatore esperto di sport da combattimento. «L’obiettivo è appassionare la gente creando una rivalità fittizia tra i pugili, in modo tale che il loro incontro possa essere percepito come la chiusura di un arco narrativo, una sorta di finale di stagione. È un po’ ciò che accade nel wrestling professionistico, con la differenza che in questo caso i risultati degli incontri non sono predeterminati».
– Leggi anche: Il caos della Royal Rumble, spiegato
Negli Stati Uniti questa pratica è stata sdoganata già negli anni Sessanta dal campione di pugilato forse più famoso al mondo Muhammad Ali, che prima dei suoi incontri ostentava spesso una grande sicurezza nel proprio talento per esercitare pressione sugli avversari. Fuori dal pugilato, il più famoso trash talker degli ultimi dieci anni è stato probabilmente l’irlandese Conor McGregor, l’atleta che ha fatto sconfinare la popolarità delle arti marziali miste, un tempo considerate una pratica di nicchia, raggiungendo una fama simile a quella dei più grandi pugili professionisti.
In Italia però questo tipo di comunicazione non aveva mai trovato troppo spazio, anche perché la comunicazione del pugilato è stata tradizionalmente legata alle prestazioni sportive degli atleti, piuttosto che ai loro trascorsi personali. La situazione è cambiata ad aprile, quando Luca Chiancone e Dario Morello, due tra i più talentuosi pugili italiani in attività, si sono affrontati in un incontro valevole per il titolo Mediterraneo dei pesi medi della WBC (World Boxing Council, una delle quattro principali federazioni di pugilato mondiali).
L’evento, organizzato dalla TAF e conclusosi con la vittoria di Morello, ha ricevuto delle attenzioni inedite, ben al di sopra di quelle solitamente riservate a un incontro di pugilato. Si è svolto all’Allianz Cloud davanti a più di 5mila spettatori, una cifra considerevole per un incontro tra pugili con una carriera non troppo lunga e consolidata come Morello e Chiancone, ed è stato trasmesso in diretta su Dazn, la piattaforma di streaming online che in Italia, tra le altre cose, detiene i diritti di tutte le partite della Serie A di calcio. Secondo Pintiliuc «è stato uno degli eventi di pugilato italiani meglio riusciti degli ultimi anni, se non il migliore in assoluto».
L’incontro ha generato tutto questo interesse anche per il mondo in cui Chiancone e Morello hanno interagito nelle settimane che lo hanno preceduto, durante le quali non hanno perso occasione per battibeccare e punzecchiarsi reciprocamente con commenti sui social network, video su Instagram e dirette su YouTube.
Pintiliuc sostiene che «quello tra Chiancone e Morello è stato il primo match in cui il trash talking ha avuto un ruolo essenziale». La TAF ha incentrato la promozione dell’evento proprio su questo elemento, realizzando trailer e apposite interviste che enfatizzavano i trascorsi personali tra i due pugili. La strategia ha funzionato: nelle settimane prima dell’incontro, Morello e Chiancone sono stati intervistati da siti sportivi e anche da giornali generalisti che di solito non seguono assiduamente ciò che accade nel pugilato, come per esempio il Corriere della Sera.
Per aumentare il livello di hype (cioè di condivisione eccitata dell’attesa), la federazione ha anche organizzato anche un “faccia a faccia” di 35 minuti in cui Chiancone e Morello si insultavano facendo leva su diversi aspetti, come le presunte lacune tecniche dell’uno o dell’altro. Per esempio, Chiancone accusava Morello di avere scarso coraggio per via della sua tendenza a incentrare gli incontri sulle schivate, mentre Morello definiva Chiancone un «picchiatore», ossia un pugile rozzo e privo di maestria tecnica, e quindi poco gradevole da guardare. Dall’altro lato, Morello accusava Chiancone di avere utilizzato il suo nome soltanto per farsi conoscere dal grande pubblico, etichettandolo come un «pugile sconosciuto» che «esiste soltanto grazie a me».
Morello ha 31 anni, e da almeno un paio ha saputo costruirsi un’immagine da pugile inconsueta. È appassionato di filosofia e cultura pop, argomenti che fa spesso trasparire durante le interviste, e compare spesso nei video di creatori di contenuti legati al mondo del cibo e della ristorazione come per esempio Alessandro Bologna, youtuber conosciuto con lo pseudonimo di Franchino er criminale che negli ultimi due anni ha ottenuto un grande seguito.
Oltre a comparire in contenuti non strettamente legati alla boxe, Morello fa spesso parlare di sé per la sua tendenza a criticare alcuni aspetti del pugilato tradizionale, come l’enfasi sulle diete e la sacralità della corsa e del salto con la corda negli allenamenti: «avrò corso tre chilometri nell’ultimo anno e mezzo, e la corda non ce l’ho proprio», dice ridendo.
Secondo Morello «il trash talking è una strategia che funziona, e che in un certo senso è necessaria. Spiegare a un pubblico poco avvezzo al pugilato che due persone saliranno sul ring per darsele di santa ragione senza che ci sia niente di personale è difficile: costruire una storia attorno all’incontro è un modo per dare un senso a qualcosa che apparentemente non ne ha».
Morello aggiunge che il trash talking «devi anche potertelo permettere. Bisogna farlo se si ha l’attitudine giusta, altrimenti rischi di fare la figura di quell’amico che vuole fare il simpatico a tutti i costi ma non ci riesce». Un altro aspetto importante è non prendere le cose troppo sul personale. «Ci sono casi in cui l’acredine tra due pugili può essere reale, ma nella maggior parte delle occasioni le rivalità vengono create per creare spettacolo o giocare su un senso di ambiguità. Bisogna spingere il pubblico a chiedersi: “stanno facendo sul serio?”», dice Pintiliuc. «Nella maggior parte dei casi ovviamente l’incontro finisce con un abbraccio. In Italia il trash talking è stato storicamente sottostimato dai pugili italiani, e oggi gli atleti in grado di farlo in modo credibile sono pochi.
Morello sostiene che l’incontro di aprile ha avuto grande risonanza anche perché sia lui che il suo avversario sono stati in grado di contraddire «il cliché che viene solitamente associato ai pugili, ossia quello dell’atleta cresciuto nelle case popolari, privo di interessi e riferimenti culturali. Sia io che Luca ci discostiamo moltissimo da questo stereotipo, a partire dalle nostre storie personali: siamo nati in contesti borghesi e agiati, e fondamentalmente facciamo i pugili perché ci piace, non per un qualche senso di riscatto».
– Leggi anche: Chi è stato Primo Carnera
Un altro elemento che ha reso la rivalità tra Morello e Chiancone interessante per il pubblico è stato il fatto che i due avrebbero già dovuto combattere lo scorso anno. L’incontro era però saltato per motivi regolamentari: ai tempi infatti Morello non risultava tesserato con la FPI (Federazione Pugilistica Italiana, quella che organizza gli incontri di pugilato in Italia), e non aveva concluso in tempo le visite mediche necessarie per poter affrontare un combattimento. «Questa circostanza ci ha dato la possibilità di vendere il match come una specie di evento risolutivo, l’incontro che nessuno dei due poteva rifiutare».
Secondo Morello, «il trash talking e la costruzione delle rivalità saranno essenziali per il futuro di questa disciplina. Nel professionismo non percepiamo uno stipendio, come avviene per esempio tra i dilettanti: guadagniamo in base a quanto facciamo vendere, e per forza di cose dobbiamo sforzarci di creare eventi interessanti».
«Nel pugilato professionistico – continua – l’intrattenimento ha da sempre avuto un’importanza paragonabile a quella dell’aspetto sportivo. Gli incontri vengono organizzati per biglietti, per fare arricchire chi organizza e chi combatte. Avere una buona parlantina e una buona fama è fondamentale, e anche creare motivi di interesse non strettamente legati alle abilità tecniche. Le promozioni si aspettano che tu sia in grado di portare un certo numero di persone al palazzetto, ed essere un personaggio aiuta. Funziona così da sempre».
Per questo motivo, continua Morello, «costruirsi la nomea dello spaccone, avere un certo seguito sui social e ostentare la propria abilità è un modo di proporsi sul mercato. Non a caso, oggi vogliono sfidarmi tutti». Sul punto concorda anche Pintiliuc. «Non ricordiamo i grandi pugili soltanto per le loro abilità tecniche, ma anche per la loro capacità di tenere in mano un microfono e per la loro attitudine da uomini di spettacolo. L’incontro di aprile ha contribuito a diffondere questa consapevolezza».