L’esercito del Sudan ha iniziato la più grande controffensiva degli ultimi mesi
Nelle zone della capitale Khartum controllate dalle forze paramilitari, contro cui combatte una guerra civile da più di un anno
Giovedì l’esercito regolare del Sudan ha iniziato una controffensiva particolarmente intensa, la più grande degli ultimi mesi, nelle zone del paese controllate dal potente gruppo paramilitare Rapid Support Forces (RSF), che sono concentrate soprattutto nella capitale Khartum. È iniziata durante la mattinata, quando l’esercito ha bombardato alcune postazioni dell’RSF a Khartum e a Bahri, una città poco più a nord.
La giornalista di Al Jazeera Hiba Morgan ha detto che l’esercito ha preso il controllo di tre ponti principali della capitale sul fiume Nilo, due dei quali collegano Khartum a Omdurman, la città più popolosa del paese. Fonti dell’esercito sentite da Morgan hanno detto che l’attacco era «in preparazione da mesi». Sempre giovedì mattina, le RSF hanno risposto attaccando alcune basi dell’esercito a Omdurman, uccidendo almeno quattro persone e ferendone 14 (secondo fonti del ministero della Salute di Khartum). Morgan ha anche aggiunto che le RSF stanno spostando parte delle proprie truppe da Omdurman a Khartum.
Da più di un anno, l’esercito e le RSF si scontrano in una sanguinosa guerra civile che coinvolge gran parte del territorio del Sudan, il terzo paese più grande del continente africano e uno dei più poveri al mondo. La guerra civile era iniziata nell’aprile dello scorso anno, al culmine di una serie di tensioni tra il presidente Fattah al Burhan, che guida l’esercito regolare, e il vicepresidente Mohamed Hamdan Dagalo (noto anche come Hemedti), che guida le RSF. I due guidavano una giunta militare, il Consiglio Sovrano, che governava il paese da ottobre del 2021 dopo aver preso il potere con un colpo di stato.
– Leggi anche: I due militari al centro della crisi in Sudan
Il gruppo paramilitare RSF conta circa 100mila uomini ed è un diretto discendente dei Janjawid, un gruppo di miliziani arabi di etnia baggara che durante la guerra nel Darfur del 2003 si resero responsabili di vari crimini di guerra, e secondo molte interpretazioni anche di genocidio.
L’esercito regolare ha invece circa 300mila uomini, è sostenuto dall’Egitto e ha il vantaggio militare di avere a disposizione l’aviazione. Gli aerei da guerra stanno bombardando da mesi le zone controllate dalle RSF, causando molti morti anche fra la popolazione civile.
Dopo una fase iniziale in cui furono organizzate tregue temporanee per permettere ai civili di abbandonare le zone degli scontri (tregue per lo più violate), la guerra fra le due fazioni è diventata più violenta e generalizzata, con maggiore intensità nella regione di Khartoum, la capitale, in quella centrale del Kordofan e in quella occidentale del Darfur. Sono le zone in cui le RSF hanno preso inizialmente il controllo, ottenendo importanti successi militari.
L’esito militare della guerra è tuttora molto incerto e la situazione fluida: non è chiaramente distinguibile una linea del fronte, né si può davvero indicare se esercito regolare e RSF siano vicini a una vittoria o a una sconfitta finale.
È una guerra che colpisce in modo molto grave la popolazione civile e non solo per i bombardamenti indiscriminati. Sin dai primi giorni di scontri, i due eserciti hanno depredato le case di molti civili, portando via ogni bene di un qualsiasi valore: non solo auto, carburante, soldi e cibo, ma anche porte e finestre, secondo molte testimonianze. Ci sono stati molti casi di uccisioni su base etnica, soprattutto nella regione del Darfur, e di stupri e crimini sessuali nei confronti di donne e ragazze.
Mercoledì le Nazioni Unite hanno evidenziato che la guerra civile in Sudan sta provocando «la crisi di sfollamento in più rapida crescita al mondo»: dall’aprile dello scorso anno, più di 10 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case.
– Leggi anche: Un anno di guerra in Sudan