È praticamente impossibile sapere come l’Ucraina usa le armi italiane
Il governo vorrebbe vietarne l'utilizzo in territorio russo, ma controllare cosa succede agli aiuti militari inviati è irrealistico
di Valerio Valentini
In queste settimane il governo italiano ha sostenuto che, davanti alla richiesta dell’Ucraina di usare le armi occidentali per colpire il territorio russo, ciascun paese abbia la facoltà di decidere in autonomia, e di controllare come meglio ritiene l’utilizzo dei propri aiuti militari. Secondo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, se anche i paesi della NATO dovessero accordare all’Ucraina la facoltà di colpire in Russia, sarebbe poi lecito e possibile per ciascuno dei paesi fornitori concordare col governo ucraino come utilizzare i rifornimenti militari.
L’Italia, secondo Meloni, potrebbe impedire all’Ucraina di adoperare armi, munizioni e mezzi italiani contro la Russia. Ma a ben vedere, questa ipotesi è piuttosto irrealistica, per ragioni legate al tipo di armi che l’Italia fornisce.
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I dispositivi militari sul cui effettivo utilizzo è possibile esercitare un controllo costante e su cui gli ucraini devono chiedere specifiche autorizzazioni sono infatti i missili in grado di colpire obiettivi a distanze considerevoli, forniti quasi esclusivamente da Stati Uniti e Regno Unito. Per l’Italia il discorso è molto diverso.
Gli unici dispositivi così avanzati dal punto di vista tecnologico che l’Italia invia all’Ucraina sono per la difesa antiaerea, e sono appunto utilizzabili solo a scopo difensivo. Quanto al resto delle armi italiane concesse, si tratta perlopiù di munizioni e pezzi di artiglieria abbastanza obsoleti, su cui il controllo satellitare è quasi sempre proibitivo, se non impossibile: e dunque, banalmente, se l’esercito ucraino utilizza o meno quelle armi in territorio russo, noi non potremmo saperlo se non a posteriori.
Le richieste che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky avanza da mesi ai partner occidentali riguardano essenzialmente i missili ATACMS e Storm Shadow. I primi sono di fabbricazione americana, i secondi vengono prodotti da un consorzio europeo a cui partecipano Francia, Regno Unito e Italia. Il governo statunitense e quello britannico già un anno fa hanno iniziato a inviare queste armi, ma autorizzando gli ucraini a utilizzarli solo a scopo difensivo. Ora Zelensky vorrebbe poterli utilizzare anche per colpire depositi di munizioni, basi militari e altre infrastrutture situate in territorio russo che l’esercito russo utilizza per condurre gli attacchi contro le città ucraine.
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Che gli ATACMS e gli Storm Shadow non possano essere utilizzati dagli ucraini al di fuori delle prescrizioni americane e britanniche è certo. Entrambi i missili, per raggiungere gli obiettivi, seguono dei tracciati teleguidati da un complesso sistema di navigazione che prevede, tra l’altro, un controllo satellitare: per cui i generali americani e quelli britannici sanno esattamente quale sia l’uso che viene fatto di ciascuno di questi missili, ognuno dei quali costa peraltro centinaia di migliaia di dollari. L’esercito ucraino deve pertanto concordare in anticipo qualsiasi lancio di questi missili, condividendo gli obiettivi da colpire e i dettagli sull’attacco, e ottenere dai partner una specifica autorizzazione. E, almeno in teoria, gli Stati Uniti sono in grado di disattivare i missili anche a distanza, nel caso in cui dovessero essere contrari a un certo tipo di utilizzo.
Le uniche armi con caratteristiche simili che l’Italia fornisce all’Ucraina sono i Samp-T, cioè dei dispositivi in grado di lanciare da terra munizioni che intercettano i missili nemici in volo prima che colpiscano l’obiettivo. Nel febbraio del 2023, Italia e Francia avevano inviato insieme una batteria di Samp-T, per difendere le città ucraine dai bombardamenti russi. Col passare dei mesi, però, è stata danneggiata e resa di fatto inefficace; dallo scorso aprile l’Italia ha promesso di inviare all’Ucraina una nuova batteria, su cui andavano prima condotti dei lavori di riparazione che sono durati molto più del previsto, per cui la consegna effettiva del dispositivo dovrebbe avvenire solo in questi giorni, con oltre tre mesi di ritardo rispetto alle previsioni iniziali.
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Per quel che riguarda i Samp-T la questione dell’autorizzazione a usare le armi occidentali contro il territorio russo è irrilevante, perché sono dispositivi difensivi. Il governo ucraino sta effettivamente valutando la possibilità di dislocarli più a ridosso del confine russo, così da intercettare con maggiore facilità i missili nemici e avere una funzione deterrente più efficace. (Spesso i russi bombardano il territorio ucraino facendo decollare i propri cacciabombardieri ma facendoli restare nel proprio spazio aereo, dove gli ucraini non sono autorizzati a colpirli; sapere che la contraerei è più vicina scoraggerebbe o quantomeno renderebbe più problematiche quelle operazioni). Al tempo stesso, però, c’è da tenere in considerazione che, avvicinandoli al fronte, li si espone a un rischio maggiore di essere colpiti da attacchi mirati da parte dei russi. E quindi questa ipotesi, secondo quanto spiegano fonti della Difesa coinvolte nella faccenda, va ponderata con attenzione, per capirne i pro e i contro.
Per il resto, le forniture che l’Italia ha garantito finora all’Ucraina non comprendono armi sofisticate e missili neanche lontanamente paragonabili, per letalità ed efficienza tecnologica, agli ATACMS e agli Storm Shadow.
Non conosciamo nel dettaglio il materiale inviato, perché i governi italiani (quello di Mario Draghi prima, e quello di Meloni poi) hanno deciso di tenerli riservati, rendendoli noti solo ai membri del COPASIR, il Comitato parlamentare che vigila sull’operato dei servizi segreti e sulla sicurezza della Repubblica. Sappiamo però che, al di là di materiale di protezione civile, dispositivi sanitari, gruppi elettrogeni e altri strumenti molto utili per fornire energia elettrica in situazioni d’emergenza, l’Italia ha inviato alcuni mezzi blindati per il trasporto delle truppe (i Lince), mitragliatori, missili anticarro Milan di vecchia fabbricazione, mortai spesso vecchi di cinquanta o sessant’anni, munizioni (di varie dimensioni, fino a 155 millimetri) e pezzi d’artiglieria varia, tra cui dei semoventi cingolati (dei piccoli carri con obici montati sopra) molto obsoleti e vetusti che l’esercito italiano stava dismettendo e che si sono rivelati poco o nulla funzionanti, alla prova dei fatti.
Su tutte queste armi un divieto all’utilizzo in territorio russo sarebbe praticamente impossibile da esercitare concretamente, soprattutto perché è inverosimile pensare che ci sia un controllo puntuale sull’effettivo utilizzo di questi dispositivi. In teoria, i comandi ucraini sono tenuti a fare rapporto a quelli NATO per spiegare come vengono utilizzate le armi fornitegli da paesi membri dell’Alleanza Atlantica. Ma in molti casi si tratta di formalità burocratiche a cui nessuno dà davvero grande importanza.
Nelle trincee o nei bunker in prima linea, per esempio, le munizioni vengono accatastate senza fare distinzione tra quelle inviate dall’Italia, dalla Polonia, o dalla Francia: tutte quelle compatibili coi sistemi d’arma in uso vengono utilizzate indistintamente, e sarebbe illusorio pretendere che i militari ucraini impegnati al fronte si mettano a fare queste cernite. E lo stesso vale per i mortai o i mezzi di artiglieria leggeri, che vengono spostati secondo le esigenze sul campo, spesso in breve tempo e secondo le imprevedibili evoluzioni delle battaglie. Anche in questo caso, sapere se in un certo punto del fronte è stato utilizzato un mortaio olandese, uno britannico, o uno americano, è piuttosto difficile.
Quando gli ucraini sono penetrati nel territorio russo, occupando parte della regione di Kursk, hanno ovviamente utilizzato anche armi occidentali. Alcuni servizi di intelligence europei, tra cui quelli francesi, hanno poi verificato a posteriori se e in che modo nell’avanzata fossero stati adoperati mezzi forniti dalla Francia. Ciò dimostra come sia difficile per i paesi occidentali – tranne, forse, gli Stati Uniti – conoscere col giusto preavviso gli esatti dettagli logistici delle azioni militari condotte dall’esercito ucraino.
Quel che si sa, per il momento, è che di certo nell’area di Kursk gli ucraini stanno utilizzando con una certa disinvoltura, a seconda delle esigenze, armi, munizioni e mezzi statunitensi e britannici, col tacito consenso da parte dei rispettivi governi; e lo stesso principio, sia pure in scala ridotta, vale anche per altri paesi europei. Fonti diplomatiche ucraine spiegano che, con specifico riguardo alle operazioni intorno a Kursk, nessun governo occidentale ha espresso formalmente contrarietà o divieti particolari. La logica, in sostanza, è un po’ quella per cui, almeno ufficialmente, gli occidentali non chiedono e gli ucraini non dicono. L’Italia, in questo senso, sia pur limitatamente alle non rilevanti forniture militari inviate, non fa eccezione.
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