In Giappone le donne sposate potranno tenersi il loro cognome?
Si discute da tempo di cambiare una vecchia legge che di fatto lo impedisce: molto dipenderà da chi sostituirà Fumio Kishida come primo ministro
Venerdì 27 settembre il Partito Liberal Democratico (PLD) del Giappone voterà per eleggere il suo nuovo leader, che diventerà automaticamente il nuovo primo ministro del paese al posto di Fumio Kishida, diventato molto impopolare. I candidati sono 9, sette uomini e due donne, e hanno posizioni simili sotto molti aspetti. C’è tuttavia un tema su cui sono divisi: la possibilità di cambiare la legge in base alla quale le donne che si sposano prendono il cognome del marito.
È una questione superficialmente poco concreta che però è indicativa di un più ampio e importante aspetto della società giapponese, cioè la subordinazione delle donne agli uomini in molti contesti sociali, dalla famiglia al lavoro. La regola sui cognomi è quindi diventata un simbolo di varie altre disparità, anche perché è una peculiarità giapponese: secondo il governo non ci sono altri paesi con una legge analoga. Anche se è improbabile che questo tema sia dirimente per la scelta del nuovo primo ministro, il dibattito in proposito segna una divisione generazionale all’interno del PLD. L’elezione di un leader con una posizione più progressista potrebbe indicare un periodo di maggiore apertura al cambiamento di un partito che in generale è molto conservatore. Il PLD governa il Giappone quasi ininterrottamente dal 1955.
La legge per cui le donne cambiano il proprio cognome dopo il matrimonio risale alla cosiddetta era Meiji, il periodo in cui regnò l’imperatore Mutsuhito, dal 1867 al 1912. Tecnicamente non obbliga le donne ad abbandonare il cognome di nascita per adottare quello del marito, ma stabilisce che le coppie sposate debbano usare lo stesso cognome. Nei fatti tuttavia sono quasi sempre le donne a rinunciare al proprio: secondo un’indagine del 2022 commissionata dal governo, è quello che succede nel 95 per cento dei casi.
È dal 1996 che nella politica giapponese si discute della possibilità di modificare la legge sul cognome delle coppie sposate: in quell’anno una commissione del ministero della Giustizia suggerì di fare una revisione del codice civile in modo da modificare il sistema dei cognomi. Secondo i sondaggi dei media giapponesi, attualmente circa due terzi della popolazione sarebbero favorevoli a una riforma. Già in due occasioni la Corte Suprema giapponese ha chiesto al parlamento di legiferare sul tema, dopo che le erano stati presentati i casi di persone che avrebbero voluto cambiare cognome.
Un terzo caso, che coinvolge 6 coppie, è attualmente sotto esame in tribunale. Tra le coppie che hanno fatto ricorso contro la legge ci sono Yukari Uchiyama e il suo compagno Yukio Koike, che hanno 56 e 66 anni: dal 1991 si sono sposati e hanno divorziato tre volte per far sì che i loro figli potessero essere riconosciuti come legittimi e avere lo stesso cognome e al tempo stesso Uchiyama potesse mantenere il proprio cognome originale. Uchiyama ha detto che rinunciare al proprio cognome l’aveva fatta sentire come se la sua stessa «esistenza, il fondamento dei miei diritti come essere umano, fosse ignorata, o tagliata alle radici» e che «quando anche qualcosa di così semplice non cambia, varie questioni di genere che vengono sollevate non sono riconosciute».
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Lo scorso giugno aveva preso posizione sul tema anche la Keidanren, un’associazione che comprende molte imprese analoga alla Confindustria italiana, chiedendo che il sistema attuale fosse modificato. Nella vita professionale molte donne continuano a usare il cognome da nubili anche dopo il matrimonio per praticità, e la maggior parte delle aziende lo consente, ma la discrepanza tra il nome sui documenti e quello utilizzato può creare dei problemi, ad esempio nei viaggi di lavoro all’estero.
All’interno del Partito Liberal Democratico tuttavia è ancora molto diffusa l’idea che modificare la legge sui cognomi delle coppie sposate indebolirebbe i «valori familiari» giapponesi e l’unità delle famiglie. Tra i membri del partito contrari a cambiare le cose c’è Sanae Takaichi, che è la ministra della Sicurezza economica e una delle due donne candidate a prendere il posto di Kishida. Takaichi ha 63 anni e se fosse eletta diventerebbe la prima donna a guidare il governo del Giappone nella sua storia. Ha dichiarato che sebbene sia favorevole all’uso di cognomi diversi nei contesti lavorativi ritiene che l’uso di un unico cognome all’interno delle coppie sposate eviti una forma di confusione che potrebbe creare problemi agli eventuali figli delle coppie.
L’attuale ministra degli Esteri Yoko Kamikawa, che ha 71 anni ed è l’altra donna candidata, ha invece evitato di esprimersi sulla questione in modo perentorio, dicendo che serve un maggiore dibattito sul tema. Ha comunque detto di «riconoscere il rischio di divisioni» sull’argomento. Anche il 67enne Shigeru Ishiba, il candidato con maggiore consenso nei sondaggi d’opinione, ha idee simili.
Ha invece una posizione più progressista l’ex ministro dell’Ambiente Shinjiro Koizumi, uno degli altri candidati. Koizumi è figlio di Junichiro Koizumi, primo ministro del Giappone tra il 2001 e il 2006, e ha 43 anni: è il più giovane dei nove candidati alla guida del PLD. È anche l’unico candidato a essersi impegnato a cambiare la legge sui cognomi delle coppie sposate e ha promesso di farlo nel suo primo anno da primo ministro, se sarà scelto alla guida del partito. Nel 2020 Koizumi si era già fatto notare per aver preso un breve congedo di paternità dopo la nascita del suo primo figlio, una cosa che in Giappone fanno pochissimi uomini.
Facendo una promessa esplicita su una questione di parità di genere Koizumi si è distinto dagli altri candidati. Takaichi invece ha detto di avere un punto di vista opposto rinsaldando di fatto il proprio legame con la fazione più a destra del partito nella ricerca di consenso degli elettori più anziani.
L’attuale primo ministro Fumio Kishida è in carica dall’ottobre del 2021. Il consenso nei suoi confronti era molto diminuito a causa del coinvolgimento del suo governo in una serie di scandali, il più recente e più grave dei quali riguarda presunti fondi raccolti in maniera irregolare da membri influenti del Partito Liberal Democratico e aveva portato alle dimissioni di importanti esponenti del partito, tra cui diversi ministri e parlamentari. Secondo le accuse, alcuni membri della corrente Seiwakai, vicina all’ex primo ministro Shinzo Abe, non avrebbero dichiarato almeno 500 milioni di yen (circa 3,2 milioni di euro) ottenuti negli ultimi cinque anni negli eventi di raccolta fondi del partito, tenendone parte per sé. Ad agosto Kishida aveva annunciato che non si sarebbe candidato per il rinnovo della leadership del partito.
A votare per scegliere il successore o la successora di Kishida saranno i parlamentari del Partito Liberal Democratico insieme a membri del partito eletti nelle prefetture, gli enti amministrativi in cui è diviso il territorio del Giappone.
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