Il disegno di legge sulla sicurezza è pieno di nuovi reati

Su 38 articoli, almeno 20 aumentano pene e aggiungono nuovi illeciti e delitti: è tanto anche per gli standard del governo Meloni

Giorgia Meloni e Carlo Nordio insieme agli agenti della Polizia penitenziaria durante la cerimonia per il 206mo anniversario della formazione del corpo svoltasi al Pincio, a Roma, il 22 marzo 2023 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Giorgia Meloni e Carlo Nordio insieme agli agenti della Polizia penitenziaria durante la cerimonia per il 206mo anniversario della formazione del corpo svoltasi al Pincio, a Roma, il 22 marzo 2023 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

Lo scorso 18 settembre la Camera dei deputati ha approvato il cosiddetto “ddl Sicurezza”, un disegno di legge molto pubblicizzato dal governo che introduce un numero eccezionale di nuovi reati e inasprimenti di pene: sui 38 articoli di cui si compone, sono almeno 20 quelli che prevedono l’introduzione di nuovi reati o l’estensione della loro applicabilità, aumento delle pene e delle sanzioni, interpretazioni più restrittive di alcune norme penali. In particolare, com’è stato notato dal deputato del Partito Democratico Matteo Mauri, nel provvedimento ci sono «almeno 14 articoli in cui si aumentano i reati e almeno 13 articoli in cui si aumentano le pene».

È un numero altissimo persino per un governo come quello di Giorgia Meloni, che fin dal suo insediamento ha risposto sistematicamente a una gran varietà di problemi in questo modo, e cioè con l’introduzione di nuovi reati o aggravando le pene di quelli già esistenti: un atteggiamento che è già stato definito “populismo penale”, o panpenalismo. Finora i reati introdotti dal governo di Meloni sono stati una quindicina: dai cosiddetti “raduni pericolosi” al reato che sanziona le attività degli scafisti «lungo tutto il globo terracqueo», fino alla gestazione per altri considerata “reato universale” (una pratica che peraltro è già illegale in Italia).

Il ddl Sicurezza ha generato un dibattito acceso in parlamento nelle ultime settimane, con le opposizioni che lo hanno criticato giudicandolo troppo repressivo. Persino nella coalizione di governo ci sono state perplessità da parte di Forza Italia. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, che pure aveva più volte promesso che il suo approccio sarebbe stato contrario all’introduzione di nuovi reati, finora è rimasto molto marginalizzato nel dibattito. Martedì il provvedimento è stato assegnato alla commissione Giustizia del Senato, dove dovrà essere analizzato e potrà subire ancora modifiche, anche se è piuttosto improbabile che ce ne siano di sostanziali. Poi dovrà essere approvato dalla Camera e dal Senato.

Alcuni dei nuovi reati introdotti col disegno di legge riflettono battaglie elettorali su cui i partiti di destra hanno insistito molto negli ultimi tempi, altri non sembrano particolarmente necessari perché intervengono su condotte che sono già punite dal codice penale. L’articolo 10 prevede per esempio un nuovo reato, quello di «occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui», con una pena che va dai 2 ai 7 anni di reclusione: la condotta che viene punita è quella di chi «mediante violenza o minaccia occupa o detiene senza titolo un immobile» o impedisce al legittimo proprietario di rientrarvi, cioè in sostanza l’occupazione di una casa, che in realtà era già sanzionata da tre articoli del codice penale (633, 633-bis e 634) che prevedono una pena da 1 a 3 anni di reclusione. Peraltro sullo stesso tema il governo di Giorgia Meloni era già intervenuto subito dopo il suo insediamento, nel novembre del 2022, col cosiddetto “decreto rave”, introducendo appunto l’articolo 633-bis che punisce con la reclusione da 3 a 6 anni chiunque «organizza o promuove l’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui».

Il fatto che il reato si aggiunga ad altri simili già esistenti e il tempismo con cui è stato annunciato hanno fatto pensare a molti che sia stato inserito nel disegno di legge per sfruttare il recente dibattito sull’occupazione delle case innescato dall’eurodeputata Ilaria Salis e mostrare attivismo su un tema caro a molti elettori conservatori.

L’articolo 14 invece introduce di fatto il reato di blocco stradale, trasformando cioè da illecito amministrativo a illecito penale la condotta di chi interrompe il regolare traffico stradale o ferroviario col proprio corpo. Finora per effetto di una legge del 1948 – che era stata parzialmente inasprita dal primo governo di Giuseppe Conte nel 2018 tramite il cosiddetto “decreto Sicurezza” – per chi faceva questi blocchi stradali era prevista una multa da 1.000 a 4.000 euro: ora si vuole introdurre la pena di un mese di reclusione (e una multa fino a 300 euro), che però aumenta di entità – da 6 mesi a 2 anni – se il fatto è commesso da più persone riunite. È una norma, questa, pensata principalmente per disincentivare e punire le proteste fatte negli ultimi anni dagli attivisti ambientalisti di “Ultima Generazione”.

Sempre nell’ambito dell’ordine pubblico connesso alla gestione delle manifestazioni, l’articolo 24 inasprisce le pene per il reato di deturpamento e imbrattamento di beni pubblici, quindi anche statue e monumenti, come successo più volte negli ultimi anni in casi molto discussi e spesso connessi alle proteste ambientaliste, particolarmente osteggiate dalla destra e non solo. Attualmente questi reati sono puniti con pene da 1 a 6 mesi reclusione e multe da 300 a 1.000 euro; nel disegno di legge invece è stata inserita una nuova fattispecie di reato che si applica ai casi in cui questi atti siano compiuti contro beni mobili e immobili adibiti a funzioni pubbliche (sedi di istituzioni, per esempio), con pene che vanno dai 6 ai 18 mesi di reclusione e con multe da 1.000 a 3.000 euro (e fino a 3 anni di reclusione e a 12.000 euro di multa in caso di recidiva).

Sullo stesso tema è previsto un aumento delle pene anche per il danneggiamento (art. 635 del codice penale), che comprende varie pratiche solitamente fatte rientrare tra i cosiddetti “atti vandalici”, ugualmente usate in diverse proteste ambientaliste. Nel caso in cui queste azioni vengano fatte con minacce o violenze il ddl aumenta la pena fino a 5 anni di reclusione, e non più 3, e le multe possono arrivare fino a 15mila euro.

La protesta di alcuni attivisti di Ultima Generazione contro i negozi di via Condotti, nel centro di Roma, il 16 maggio 2024 (Cecilia Fabiano/LaPresse)

C’è poi un altro nuovo reato, quello di «rivolta all’interno dell’istituto penitenziario», all’articolo 26 del disegno di legge: e anche questo è una specie di risposta ad avvenimenti recenti, visto che ultimamente ci sono state varie proteste di detenuti nelle carceri italiane dovute anche alle pessime condizioni in cui si trovano. Il reato prevede pene da 1 a 8 anni di reclusione (ma con aggravanti che arrivano fino a 20 anni) per chiunque promuova o organizzi una sommossa all’interno di un carcere, commettendo «atti di violenza o minaccia», tentando di evadere ma anche, più semplicemente, esercitando «resistenza, anche passiva, all’esecuzione degli ordini impartiti»: è una formulazione considerata potenzialmente molto problematica, perché potrebbe comprendere anche chi disobbedisca pacificamente agli agenti di polizia penitenziaria (atteggiamento per cui già oggi comunque sono previste sanzioni disciplinari per i detenuti).

Anche in questo caso, il disegno di legge introduce un nuovo reato per una condotta che è già sanzionata dal codice penale all’articolo 415 («Istigazione a disobbedire alle leggi», con pene da 6 mesi a 5 anni di reclusione), che ora lo stesso articolo 26 aggrava ulteriormente aumentando la pena di un terzo proprio nei casi in cui il fatto sia commesso in un carcere. Lo stesso articolo, dunque, introduce una fattispecie specifica per le rivolte in carcere con un’aggravante rispetto a un reato già esistente, e introduce contestualmente un reato a parte che punisce in maniera ancor più grave una condotta sostanzialmente analoga.

– Leggi anche: Il difficile compromesso di Carlo Nordio sulle carceri

Con la stessa logica, l’articolo 27 introduce un nuovo reato per reprimere le rivolte violente messe in atto all’interno dei centri di trattenimento e di accoglienza per i migranti, anche questi spesso in condizioni degradanti: le pene vanno da 1 a 6 anni per chi promuove o organizza le rivolte (pure «mediante atti di resistenza anche passiva», come nel caso precedente), e da 1 a 4 anni per chi vi prende parte (ma con le aggravanti si può arrivare fino a 20 anni, se durante la rivolta qualcuno viene ucciso o subisce lesioni gravi).

Alcuni detenuti sul tetto del carcere milanese di San Vittore durante una protesta per le condizioni sanitarie durante la pandemia di Covid-19, l’8 marzo 2020 (Claudio Furlan/LaPresse)

L’articolo 29 è stato invece considerato da alcuni esponenti delle opposizioni come la “norma anti-ong”, intese come le organizzazioni non governative che soccorrono i migranti nel mar Mediterraneo. Prevede infatti l’estensione e l’inasprimento di alcuni reati attualmente contemplati nel Codice della navigazione per i comandanti delle navi, italiane o straniere, che non rispettano ordini di alt o che commettono atti di resistenza o di ostilità verso le imbarcazioni della Guardia di finanza o di altre navi militari, con pene che vanno, a seconda dei casi, fino a 10 anni di reclusione.

Ci sono diversi altri reati o aumenti di pena introdotti dal ddl Sicurezza. Gli articoli 19 e 20 per esempio aumentano le pene per i reati di lesioni, minaccia o resistenza a pubblico ufficiale; un altro le aumenta per chi sfrutta minorenni per chiedere l’elemosina (il cosiddetto “accattonaggio”). Vengono introdotti aggravanti di pena e una nuova fattispecie di reato per le truffe agli anziani e per alcuni reati connessi alle attività terroristiche; nuovi divieti e nuove sanzioni per l’importazione, la lavorazione e il commercio della cannabis, o per la vendita di schede telefoniche SIM senza una regolare identificazione del cliente che le acquista.

E poi si introduce la facoltà di arrestare donne incinte o madri di figli di meno di un anno in specifiche strutture detentive a loro destinate: un provvedimento pensato per rispondere a un problema in realtà dalla diffusione molto limitata ma molto discusso, cioè quello delle borseggiatrici delle metropolitane delle grandi città che evitano il carcere perché incinte o con figli piccoli.

– Leggi anche: Com’è la vita delle madri detenute in Italia

Un altro reato (all’articolo 25) inasprisce le sanzioni e aumenta la decurtazione di punti dalla patente per chi non si ferma al segnale di stop della polizia stradale e un altro ancora (articolo 13) estende l’applicazione del “Daspo urbano”, cioè il divieto di accesso ad alcuni luoghi ritenuti sensibili (stazioni ferroviarie, cantieri, piazze che ospitano manifestazioni, eccetera) nei confronti di persone potenzialmente pericolose per l’ordine pubblico. Fu introdotto nel 2017 ed era già stato ampliato e inasprito nel 2018 con il cosiddetto decreto Sicurezza di Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno. Ora verrebbe ulteriormente esteso: il questore può infatti disporlo anche nei confronti di chi sia stato anche solo denunciato (o condannato in via non definitiva) per una serie di reati contro la persona e contro il patrimonio.