Le discussioni in Serbia sulla proposta di spostare la tomba di Tito
Stanno avvenendo dentro al partito del sindaco di Belgrado e del presidente serbo: c'entra l'eredità politica del dittatore della Jugoslavia
In Serbia si sta discutendo della proposta del sindaco nazionalista della capitale Belgrado, Aleksandar Šapić, di spostare la tomba di Josip Broz Tito, il dittatore che governò la Jugoslavia fino alla sua morte nel 1980. In particolare Šapić vorrebbe trasferirla da Belgrado a Kumrovec, la città croata in cui nacque Tito, a circa 60 chilometri da Zagabria. Il presidente serbo Aleksandar Vučić, che è il leader del Partito Progressista Serbo (SNS) di cui fa parte anche Šapić, ha già detto che è contrario. La storia va letta nel contesto del rapporto tra la Serbia di oggi e il suo passato comunista, e come questo sia divisivo ma anche strumentalizzato a fini politici.
Già ad aprile Šapić aveva detto che avrebbe voluto trasformare in un nuovo “Museo della Serbia” il Museo della Jugoslavia, anche noto come “Casa dei fiori” e al cui interno c’è il mausoleo di Tito. Lunedì della settimana scorsa il sindaco è tornato sulla questione durante una riunione del Consiglio comunale, che in realtà aveva all’ordine del giorno il bilancio. «Penso che spostare la tomba di Josip Broz sia una cosa molto importante per il popolo serbo e il futuro di questo paese», ha detto Šapić in quell’occasione.
Šapić, ex campione di pallanuoto, è in carica dal 2022. Fu eletto nel 2012 sindaco di Novi Beograd, un comune che fa parte dell’area metropolitana di Belgrado, con un partito dell’attuale opposizione a Vučić: nel 2021 si alleò con lui entrando nell’SNS.
Già ai tempi di Novi Beograd e nelle successive campagne elettorali nella capitale, Šapić parlava dell’importanza di liberarsi della «vecchia eredità comunista» per guardare al futuro. Stavolta ha proposto di fare un monumento a Draža Mihailović, un leader collaborazionista serbo durante la Seconda guerra mondiale che nel 1946 fu giustiziato dai partigiani di Tito.
Il presidente Vučić, però, ha già bocciato le proposte del sindaco. «Non sono mai stato un grande fan dei comunisti e del loro regime, ma Josip Broz fa parte della nostra storia, ha vissuto ed è stato sepolto qui, e resterà parte della storia serba e jugoslava», ha detto intervistato dal sito Politico. La maggioranza di Šapić a Belgrado dipende dalle stesse forze politiche della coalizione nazionalista di Vučić, all’interno della quale ci sono partiti con sensibilità diverse, inclusi alcuni Socialisti. Anche il ministro dell’Interno, Ivica Dačić, ha criticato l’idea del sindaco.
Insomma, se Šapić volesse insistere con la sua proposta rischierebbe di spaccare lo schieramento che lo sostiene: per questo è probabile che per il momento rimanga una provocazione.
Tito è considerato in diversi paesi dell’ex Jugoslavia una figura unificatrice, capace di tenere insieme una federazione di paesi che infatti sopravvisse di poco alla sua morte, lacerandosi in una lunga guerra civile. Alcuni nazionalisti serbi, però, condividono la proposta del sindaco di Belgrado per ragioni etniche, cioè per il fatto che il dittatore non era serbo (nacque da un padre croato e una madre slovena in una città dell’Impero austro-ungarico che si trova nell’odierna Croazia, vicino al confine sloveno).
Vučić è presidente dal 2017 (nei tre anni precedenti era stato primo ministro). Nella sua carriera ha fatto parte di partiti ostili a Tito e alla sua eredità politica, ma negli ultimi anni ha anche cercato di riappropriarsi di un pezzo della storia jugoslava, cercando di collocare il suo governo in continuità con l’approccio internazionale di Tito, e cioè con la politica del non allineamento. Ai tempi della Guerra fredda, ciò significava una specie di equidistanza tra i due blocchi guidati da Stati Uniti e Unione Sovietica.
Nel 2021 Belgrado ha ospitato le celebrazioni del sessantesimo anniversario della nascita del Movimento dei paesi non allineati, che esiste ancora e ne fanno parte 120 stati (soprattutto di America Latina, Africa e Asia). All’epoca il governo serbo utilizzò gli incontri per fare pressioni sui paesi partecipanti perché non riconoscessero l’indipendenza del Kosovo.
Oggi rivendicare un non allineamento serve a Vučić per giustificare il fatto che la Serbia non ha adottato sanzioni dopo l’invasione russa dell’Ucraina e, in generale, per mantenere gli storici legami con la Russia – e quelli nuovi, commerciali, con la Cina – senza pregiudicare gli investimenti dei paesi dell’Unione Europea.
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