L’esonero di Daniele De Rossi e il caos nella Roma
Una scelta inaspettata e forse impulsiva della dirigenza sta portando contestazioni feroci, tra i dubbi sul futuro del club
Mercoledì 18 settembre la dirigenza della Roma ha esonerato l’allenatore della squadra maschile di calcio Daniele De Rossi, una scelta sorprendente e inattesa: si erano giocate solamente quattro partite dall’inizio del campionato, e in estate il contratto di De Rossi era stato rinnovato fino al giugno del 2027.
Nei cinque giorni successivi sono successe molte cose che hanno mostrato una certa confusione nella società: prima è stato nominato come nuovo allenatore Ivan Juric, che ha un’idea di gioco assai diversa da De Rossi. Poi un video di due tifosi che protestano violentemente fuori dal centro sportivo della Roma, chiedendo dove sia l’amministratrice delegata Lina Souloukou, è diventato virale. Souloukou è diventata l’obiettivo principale delle proteste dei romanisti e le autorità le hanno dato una scorta per proteggerla. Domenica si è dimessa. Infine, mentre domenica la Roma vinceva la sua prima partita di questo campionato, i gruppi del tifo organizzato della Curva Sud sono rimasti fuori dallo stadio fino al trentesimo minuto; una volta entrati, hanno mostrato diversi striscioni e fatto cori a favore di De Rossi e contro gli statunitensi del gruppo Friedkin, proprietario del club dal 2020.
Il caos è stato alimentato non solo dalla scelta della Roma di esonerare un allenatore giovane e promettente sul quale sembrava volesse puntare per creare un ciclo, per costruire cioè qualcosa di duraturo, dandogli il tempo a disposizione per farlo, ma anche per la gestione comunicativa di tutta la faccenda. La Roma ha esonerato De Rossi, che da calciatore giocò per 18 anni nella Roma e divenne capitano dopo il ritiro di Francesco Totti, in maniera improvvisa, con un breve comunicato in cui parlava di «decisione adottata nell’interesse della squadra, per poter riprendere prontamente il percorso auspicato, in un momento in cui la stagione è ancora al suo inizio».
Nei primi cinque giorni dopo l’esonero di De Rossi, nessuno tra i principali dirigenti del club aveva parlato della situazione: né la famiglia Friedkin, che non era presente allo stadio contro l’Udinese, né Souloukou dopo essersi dimessa, né il direttore sportivo Florent Ghisolfi. «Manca una comunicazione chiara: non puoi mandare via De Rossi con un comunicato di tre righe. Alla Roma non parla nessuno, non c’è una presa di posizione», aveva detto domenica sera il giornalista Fabio Caressa durante la trasmissione Sky Calcio Club.
Nel frattempo, lunedì è stato comunicato l’accordo tra i Friedkin e l’Everton per l’acquisto da parte del gruppo della squadra che gioca nel campionato inglese, con conseguenti dubbi sul reale coinvolgimento dei Friedkin nella gestione della Roma. E poco dopo la Roma ha pubblicato un comunicato per spiegare più estesamente le ragioni della scelta di esonerare De Rossi, e ribadire l’impegno dei Friedkin. Nel comunicato hanno scritto che «la campagna acquisti estiva ha segnato l’inizio di un progetto strategico pluriennale pensato per riportare la Roma ai vertici del calcio europeo» e che la loro responsabilità come proprietari del club è «prendere decisioni nel miglior interesse della Roma, anche quando sono estremamente difficili». Quella di esonerare De Rossi è stata presa «con la convinzione che sia la strada giusta per puntare ai trofei in questa stagione». Ci hanno tenuto a precisare che l’acquisto dell’Everton non modificherà il loro impegno nel club e anzi «potrà portare solo vantaggi alla Roma».
Insomma i dirigenti della Roma, spaventati dal brutto inizio di stagione in cui la squadra ha fatto 3 punti nelle prime 4 partite di campionato, hanno preferito intervenire subito per invertire la tendenza, temendo che le prime partite potessero essere l’anteprima di un’altra stagione mediocre nonostante i circa 100 milioni di euro spesi quest’estate per rinforzare la squadra. La Roma non arriva tra le prime quattro in Serie A dal 2017-2018 e non gioca quindi la Champions League, la principale competizione europea per club, dalla stagione 2018-2019.
Esonerare De Rossi era chiaramente una scelta impopolare, ma i Friedkin non hanno voluto aspettare, a costo di interrompere bruscamente un percorso, sacrificare uno dei simboli della tifoseria e senza avere un’alternativa adeguata per guidare la squadra.
De Rossi era stato nominato come allenatore della Roma lo scorso gennaio al posto del portoghese José Mourinho, con il quale le cose avevano smesso di funzionare da un po’ per la squadra: la Roma era nona con soli 29 punti ottenuti in 20 partite, 22 in meno della prima in classifica. La scelta di De Rossi era stata giudicata una mossa intelligente (o furba, a seconda delle interpretazioni) della dirigenza, che per sostituire un allenatore amato come Mourinho aveva scelto una persona a cui la tifoseria è ancora più attaccata. De Rossi, 41 anni, quasi non aveva esperienza come allenatore, ma era considerato una figura carismatica a sufficienza per riempire il vuoto lasciato da un personaggio ingombrante come Mourinho: ci era riuscito da subito, sia dal punto di vista sportivo sia da quello comunicativo.
In campo la Roma aveva cominciato a giocare un calcio più coraggioso e offensivo, valorizzando molti calciatori e risalendo in classifica: con De Rossi fece 34 punti nelle 18 restanti partite di campionato, mentre in Europa League, la seconda competizione europea per club, fu eliminata in semifinale dal Bayer Leverkusen, una delle migliori squadre della scorsa stagione, con la quale se la giocò quasi alla pari dopo aver eliminato il Milan nei quarti di finale. Per premiare il buon rendimento, la società annunciò la decisione di voler allungare il contratto di De Rossi poco prima della partita di ritorno contro il Milan, come a voler manifestare l’intenzione di dare fiducia all’allenatore a prescindere dai risultati. De Rossi aveva convinto anche nel modo in cui si era presentato fuori dal campo, parlando spesso in maniera schietta e mai banale, in contrasto con la maggior parte dei suoi colleghi.
Poi nel finale di stagione la Roma aveva rallentato, perdendo alcune partite decisive in campionato che non le avevano permesso di entrare nei primi cinque posti, quelli con cui ci si qualifica per la successiva Champions League. Per provare a spiegare le ragioni di un esonero avvenuto così presto, in molti citano il fatto che, contando anche il finale della scorsa stagione, la Roma abbia vinto solo una partita delle ultime undici e che quindi De Rossi, finiti l’entusiasmo e la carica emotiva che spesso accompagnano l’arrivo di un allenatore a stagione in corso, si stesse normalizzando verso un rendimento mediocre.
Ciononostante, la dirigenza aveva confermato la sua scelta e il 25 giugno De Rossi aveva firmato un nuovo contratto di tre anni. Considerando la sua giovane età, la discreta base di partenza della rosa e la buona disponibilità economica del club, sembrava potesse essere l’inizio di un percorso di crescita per la squadra. O perlomeno che De Rossi si fosse guadagnato la possibilità di dimostrare di essere all’altezza di una squadra ambiziosa, una cosa ancora da verificare del tutto, visto che allenava in Serie A da neanche un anno. Sono bastate però quattro partite per rivedere questa scelta: non era mai successo che la Roma esonerasse un allenatore dopo così poche giornate di campionato.
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Nelle prime quattro partite di questa Serie A la Roma non ha mai vinto, perdendo contro l’Empoli e pareggiando contro Cagliari, Juventus e Genoa (una partita in cui era stata in vantaggio fino all’ultimo minuto): un inizio evidentemente al di sotto delle aspettative per risultati e gioco mostrato, ma a detta di quasi tutti i commentatori non sufficiente per giustificare un esonero. Anche perché la Roma ha giocato tre di queste partite con la squadra non ancora al completo, visto che gli ultimi giocatori presi nel calciomercato estivo (i difensori Mario Hermoso e Mats Hummels) sono arrivati a inizio settembre.
Oltretutto il centrocampista Manu Koné, fondamentale per il gioco della Roma, era arrivato solo qualche giorno prima, mentre l’attaccante argentino Paulo Dybala, che fino a pochi giorni dalla fine del calciomercato sembrava dovesse andarsene, era rimasto: un’altra faccenda gestita con tempi e modi sbagliati dalla Roma. Fino a fine agosto, l’allenatore aveva pensato e provato una squadra senza Dybala, in cui probabilmente sarebbe stato da subito importante uno dei nuovi acquisti, l’argentino Matias Soulé. Il fatto che Dybala sia rimasto da un lato ha lasciato a De Rossi un calciatore forte a disposizione, ma dall’altro lo ha costretto a trovare una soluzione per far coesistere due giocatori molto simili, Soulé e Dybala, appunto.
Il messaggio con cui Paulo Dybala ha salutato Daniele De Rossi
Juric, il sostituto di De Rossi, ha parecchia esperienza in Serie A (ha allenato Genoa, Verona e Torino), ma le sue idee di calcio si adattano male ai giocatori che ha la Roma: sono molto tecnici e adatti al possesso palla, mentre Juric predilige giocatori con grandi doti atletiche. Peraltro a Juric è stato fatto un solo anno di contratto, un altro segnale di come in questo momento la dirigenza della Roma non abbia le idee molto chiare sul futuro della squadra. Per Juric ci sarà comunque il rinnovo di contratto automatico se la squadra si qualificherà alla prossima Champions League, una cosa evidentemente ritenuta fondamentale dalla dirigenza, per il prestigio e soprattutto le entrate economiche che ne derivano.
«Quella di Juric sembra una scelta dettata dal panico, o nemmeno: una scelta qualsiasi. L’importante è arrivare vivi a fine stagione. Allora non valeva la pena concedere del tempo a De Rossi? Non era più onesto, o anche solamente più furbo da parte dei Friedkin? E poi, perché non è stato fatto in estate, e perché non almeno durante la sosta per le nazionali? Sono passate solo 4 partite», ha scritto Lorenzo Baldini in un’analisi sul sito di approfondimento Ultimo Uomo.
L’esonero di De Rossi era talmente inatteso che si sono diffuse teorie fantasiose, come se dovesse esserci per forza dietro qualcosa di opaco per farsene una ragione: è una cosa che succede in particolare a Roma e con la Roma. Sono circolati alcuni audio che parlavano di presunti litigi tra De Rossi e i calciatori della Roma, in particolare il capitano Lorenzo Pellegrini, il centrocampista Bryan Cristante e il difensore Gianluca Mancini. Domenica, contro l’Udinese, sono stati fischiati dai tifosi. Ma sono ricostruzioni poco attendibili: la cosa più probabile è che la dirigenza abbia agito in maniera impulsiva o quando ha scelto di rinnovare il contratto a De Rossi, se non era convinta fosse lui l’allenatore giusto per far ripartire la Roma, o quando lo ha esonerato dopo quattro partite.
La contestazione dei tifosi durante Roma-Udinese raccontata da DAZN
C’è anche l’impressione che la proprietà non fosse preparata a gestire il seguito caotico della decisione. La dirigenza della Roma in questi anni era riuscita a schivare le critiche per i risultati non sempre positivi (la squadra è andata bene nelle competizioni europee ma in campionato è arrivata per tre anni di fila sesta) e per l’assenza di figure in grado di comunicare con l’esterno sfruttando la capacità di parlare e avvicinarsi ai tifosi dei suoi allenatori, prima José Mourinho e poi De Rossi. Con l’esonero di quest’ultimo, è venuto meno quello schermo tra tifosi e società, ed è cominciata la contestazione. Difficilmente Juric riuscirà a rimediare a questa frattura: è un allenatore preparato, ma meno empatico e carismatico dei suoi predecessori.