Il caso di violenza sessuale in una stazione di polizia nello stato indiano di Odisha
Se ne parla perché il video in cui la donna abusata racconta la sua esperienza sta circolando molto, e perché il suo compagno è un ufficiale dell'esercito
Dopo le proteste del personale sanitario durate per oltre un mese per lo stupro e l’omicidio di una specializzanda a Calcutta, in India c’è un altro caso di violenza di genere che sta facendo molto discutere. Una donna di 32 anni ha denunciato di essere stata picchiata, molestata e di aver subito un tentativo di stupro in una stazione di polizia nello stato di Odisha, nell’India orientale, conosciuto fino al 2011 come Orissa. Tre poliziotte e un poliziotto sono stati sospesi, un altro ancora è stato trasferito e sulla vicenda è stata aperta un’inchiesta.
Il caso sta avendo grande rilevanza nazionale non solo per la gravità della denuncia, ma anche perché la donna che ha preso parola è la compagna di un ufficiale dell’esercito e figlia di un altro membro in pensione dell’esercito. Secondo i movimenti femministi e le associazioni contro la violenza sulle donne ci sono molti casi simili, ma non vengono denunciati o vengono insabbiati. Il video dell’intervista in cui la donna, da una carrozzina, con un collare cervicale e un occhio tumefatto, racconta quanto le è successo sta circolando molto online.
Nello scorso fine settimana la donna, che è laureata in legge e gestisce un ristorante a Bhubaneswar (la capitale dello stato di Odisha), stava tornando a casa con il compagno quando ha avuto un’animata discussione con sette uomini lungo la strada. Verso l’una di notte ha quindi deciso di andare alla stazione di polizia, per denunciare l’aggressione e chiedere agli agenti di fermare alcuni degli uomini coinvolti, che erano ancora nelle vicinanze.
Ha poi raccontato che i poliziotti presenti si erano rifiutati di compilare la denuncia e avevano cominciato ad aggredire lei e il suo compagno: l’uomo era stato messo in una cella (dove è poi rimasto per 14 ore), mentre alcune poliziotte avevano cominciato a tirarle i capelli e a schiaffeggiarla. Quando la donna aveva reagito, era stata trascinata lungo un corridoio e legata e chiusa in una stanza dove un poliziotto le aveva tolto il reggiseno e l’aveva presa a calci sul petto. Alcune ore dopo, secondo quanto raccontato, l’ufficiale a capo della stazione di polizia era entrato nella stanza, l’aveva spogliata, si era abbassato i pantaloni e aveva minacciato di stuprarla se lei non avesse smesso di urlare.
In una prima versione la polizia ha cercato di nascondere il caso sostenendo che la coppia fosse arrivata nel commissariato ubriaca e fosse stata aggressiva con gli agenti che dunque avevano arrestato l’uomo e la donna dopo essere stati colpiti. Tre giorni dopo la presunta aggressione, un tribunale ha ordinato il rilascio della donna su cauzione e ha criticato la polizia e il tribunale di grado inferiore che l’aveva incarcerata. Un giudice incaricato di indagare sul caso ha definito inoltre la versione della polizia poco credibile e ha detto che esistono diverse prove della brutalità degli agenti: il giudice dovrà presentare i risultati delle sue indagini entro 60 giorni.
È stato anche rilevato come nella stazione di polizia non fossero presenti telecamere di sicurezza in tutte le stanze, diversamente da quanto previsto da una sentenza della Corte Suprema indiana, nonostante la struttura sia nuova e sia stata aperta solo quattro mesi fa.
Il caso è stato molto discusso sui media, anche per l’intervento di diversi membri dell’esercito indiano che si sono mobilitati per «difendere l’onore dell’ufficiale», cioè del compagno della donna e di suo padre. Come spesso accade nei casi di violenza di genere sui social network ci sono stati diversi tentativi di far ricadere la colpa di quanto accaduto su di lei. La donna è stata criticata per l’abbigliamento, per il fatto di aver bevuto (c’è chi ha postato gli scontrini dei superalcolici che avrebbe consumato in un bar) o per aver osato «discutere con degli uomini» per strada (che nel frattempo sono stati arrestati e rilasciati su cauzione). Sono circolate anche altre speculazioni su questa discussione: la coppia è di religione sikh e secondo informazioni non confermate dalle autorità sarebbe stata aggredita da uomini indù, che la polizia intendeva proteggere. Non ci sono però ancora certezze su quest’ultima informazione.
Namrata Chadha, avvocata e attivista per i diritti delle donne, ha detto che il caso ha ricevuto molta attenzione perché la donna coinvolta proviene da un ambiente privilegiato: «Ma nessuno sa cosa succede in questa e in altre stazioni di polizia quando le donne comuni vanno a cercare aiuto. Continuiamo a dire alle nostre figlie che se sono nei guai, devono andare alla polizia. Ora, cosa dovremmo dire loro?».