I vestiti strampalati, assurdi e giocosi della Settimana della moda di Milano
Le cose da sapere sulla ricorrenza di eventi e sfilate che si è conclusa oggi, e in generale è piaciuta parecchio
di Arianna Cavallo
Oggi, lunedì 23 settembre, si è conclusa la Settimana della moda di Milano, in cui importanti aziende italiane, ma non solo, hanno presentato le collezioni di abbigliamento da donna ready-to-wear (cioè gli abiti già confezionati che si vendono nei negozi) per la primavera ed estate del 2025 (c’era anche una minoranza di collezioni “co-ed”, con vestiti sia per la donna sia per l’uomo). Durante l’evento, iniziato martedì 17 settembre, ci sono state 56 sfilate e 74 presentazioni (alcuni marchi non sfilano ma mostrano gli abiti su grucce o modelle, e anche quelli che fanno le sfilate poi invitano giornalisti e clienti a guardare i vestiti da vicino nelle loro sedi o in showroom, i cosiddetti “re-see”).
È difficile tirare le somme per così tante proposte, diverse per stile ma anche per importanza dei marchi, ma in generale questa Settimana di Milano è piaciuta e ha superato le aspettative di molti giornalisti di moda che nelle ultime stagioni si erano lamentati per la poca creatività e per lo scarso ricambio generazionale: le aziende che sfilano sono infatti quasi sempre le stesse e ce ne sono poche emergenti. Quest’anno, probabilmente perché organizzare una sfilata costa tanto, mancavano alcune di loro, come gli apprezzati Cormio e Vitelli; era assente anche Giorgio Armani che presenterà la sua collezione a New York il 17 ottobre, per l’apertura di un suo nuovo negozio in città.
Il successo di questa edizione è legato soprattutto a una nuova visione della moda, che si era già affacciata negli ultimi anni ma che è diventata identitaria perché proposta in modo convincente da sempre più marchi. Dopo anni, i vestiti glamour, sexy, ispirati allo streetwear o conformisti come quelli del quiet luxury (capi senza tempo, dai materiali lussuosi e molto costosi) sono stati sostituiti dall’idea di vestirsi divertendosi con un particolare bizzarro: il rigore sartoriale della tradizione italiana è stato stravolto da tagli, tessuti e abbinamenti imprevedibili e sorprendenti, e ci si prova a salvare dalla noia e dal conformismo attraverso la dissonanza.
Un po’ di foto dalle sfilate più interessanti, anche per la presenza di personaggi famosi
Questo nuovo gusto è stato notato dai maggiori commentatori di moda: Tim Blanks ha scritto su Business of Fashion che c’è stata una «parata di meraviglie» e ha definito la moda di Milano «un mondo pieno di cose stupefacenti», mentre Vanessa Friedman ha notato sul New York Times che le sfilate migliori sono riuscite a tradurre in un look «la natura confusionaria e bizzarra di questo momento globale», come hanno fatto per esempio Prada, Bottega Veneta, Marni, Diesel e Bally. Di seguito abbiamo raccolto le sfilate più interessanti e di cui si è parlato di più, indipendentemente dalla bellezza degli abiti su cui ogni critico di moda o semplice osservatore ha la sua personale opinione.
Prada
A Milano le collezioni più interessanti sono sempre quelle di Prada, che dall’aprile 2020 sono disegnate dalla direttrice creativa Miuccia Prada insieme allo stilista belga Raf Simons. Questa è stata una delle più apprezzate dalla stampa degli ultimi anni: l’idea era opporsi all’uniformità e prevedibilità di un mondo dominato dagli algoritmi dei social network e dalle microtendenze che durano poche settimane (i cosiddetti -core). Per farlo bisogna essere imprevedibili ed estremamente personali con accostamenti strambi che cozzano tra loro, come un cappotto portato su un costume da bagno intero o una giacca a vento gialla su un vestito di specchietti e paillettes d’argento. Così anziché far ruotare la collezione attorno a 3-4 idee, come si fa di solito, Prada ha proposto 49 look completamente diversi l’uno dall’altro, spesso ispirandosi al suo stesso archivio: le scarpe, per esempio, erano tutte una rivisitazione di un modello precedente.
È stata una dichiarazione di anticonformismo e anti-moda: Vogue l’ha definita la sfilata di Prada «più stramba da anni», Friedman ha scritto che «è stato un manifesto contro le tendenze fatto dalla stilista che ha generato più tendenze di chiunque a Milano: è selvaggia e ironica» e anche la famosa critica di moda Suzy Menkes ha parlato di un «momento selvaggio, meraviglioso e scomodo».
Bottega Veneta
Da quando, nel 2021, il franco-belga Matthieu Blazy è il direttore creativo di Bottega Veneta, le sfilate del marchio sono diventate «il momento che tutti aspettano» a Milano, come le ha definite Menkes. Uniscono raffinatezza, sperimentazione nei materiali e nelle lavorazioni e un gusto per l’imprevedibile: Blazy ha creato un nuovo canone di bellezza nel mondo del lusso, e anche l’ultima sfilata è stata tra le più apprezzate della Settimana di Milano.
Era ispirata al modo in cui i bambini giocano a vestirsi da adulti, pasticciando in modo libero e sconclusionato con gli abiti dei genitori, e celebrava anche il caos della vita di ogni giorno, da affrontare con spensieratezza e spirito avventuroso senza cercare di controllare tutto ma arrendendosi agli imprevisti: c’erano completi troppo grandi, vestiti sgualciti, pantaloni con una sola gamba abbinati a una gonna, modelle e modelli elegantissimi con le buste della spesa in mano, spille di rana (un simbolo di metamorfosi) e coniglietti porta fortuna. Secondo Menkes la sfilata è stata «divertente, colorata, piacevole, intelligente, con cose facili da indossare: quello che uno sogna per una collezione di moda moderna», dove vestirsi diventa «un gesto di libertà», ha scritto Blanks.
Bally
Il direttore creativo italiano Simone Bellotti ha presentato la sua terza collezione da donna per il marchio svizzero Bally, confermandolo come il più interessante marchio emergente a Milano (non perché sia recente, esiste dal 1851, ma perché prima non era particolarmente rilevante). Già con la sua prima collezione era riuscito ad aggiornare la proverbiale eleganza milanese rendendola contemporanea; questa è stata più sperimentale e ispirata al lavoro dell’artista tedesco Hugo Ball, che nel 1916 fondò a Zurigo il dadaismo (il movimento d’avanguardia che ispirò il surrealismo). Bellotti ha detto di aver cercato un equilibrio tra il rigore svizzero e il rigoglio di elementi naturali come i funghi, le rocce e i fiori delle Alpi svizzere. Friedman l’ha definita una «collezione che esplora realmente il fascino di una nuova silhouette, che sa evocare la paura per l’ignoto che incombe e che offre una corazza all’altezza».
Il gruppo OTB: Marni, Jil Sander e Diesel
Quando lo scorso gennaio fu presentata a Parigi la collezione haute couture (alta moda) del marchio Maison Margiela disegnata dall’inglese John Galliano divenne chiaro a chi si occupa di moda che in Italia si era affermato un nuovo gruppo di moda di lusso: Only The Brave (OTB) di Renzo Rosso. Oltre a Margiela, OTB possiede anche tre marchi che hanno appena sfilato a Milano: Marni, Jil Sander e Diesel, che Rosso fondò nel 1978. Rispetto ad altri grossi gruppi, OTB ha scelto con cura i direttori creativi e ha lasciato loro il tempo di lavorare e sperimentare, indipendentemente dai risultati economici immediati. In questo modo le aziende sono cresciute e si sono imposte con una propria identità, lontana dalla tendenza dominante di moda lussuosa e rassicurante, e con uno stile massimalista, originale e sopra le righe.
Negli ultimi anni Marni ha fatto un salto di qualità e si è posizionato come un marchio stravagante e sperimentale. Questa sfilata è stata più sartoriale e contenuta, ha convinto molto alcuni e meno altri – Friedman l’ha definita una «collezione trionfante» e una «sfilata fantastica» mentre il critico italiano Andrea Batilla l’ha trovata più borghese del solito.
Diesel, che da quattro anni è guidata dal belga Glenn Martens, organizza sempre sfilate spettacolari incentrate sull’uso del denim. Modelli e modelle avevano sguardi dilatati (grazie alle lenti a contatto) per sembrare degli alieni: «appaiono normali, non troppo pazzi, ma non riescono a nascondersi così i loro occhi esplodono», ha spiegato Martens. Hanno sfilato su una passerella ricoperta da 1.500 chili di scarti dalla produzione del denim per ricordare l’impegno dell’azienda per la sostenibilità ambientale: negli ultimi quattro anni l’utilizzo di denim rigenerato, cotone organico e riciclato è passato dal 3 al 57 per cento.
Sunnei
È un altro marchio milanese che rapidamente si è fatto strada anche grazie alle sfilate concettuali e irriverenti, tanto che Cathy Horyn, tra le critiche di moda più stimate, lo ha definito «il più originale dopo Prada a Milano». Per celebrare i suoi dieci anni, i fondatori Simone Rizzo e Loris Messina hanno selezionato un cast di modelle e modelli non professionisti dai 60 anni in su, una scelta rischiosa anche in questi anni in cui molti marchi inseriscono in passerella ex supermodelle o celebrità non più adolescenti.
Sunnei ha mostrato la bellezza e l’eleganza di corpi pieni di rughe e non sempre tonici e, anche se resterà un caso probabilmente isolato, ha ricordato che la moda è per tutti e che può crescere come chi la disegna e il pubblico che la indossa. Inoltre, sempre secondo Horyn, Sunnei è stato l’unico marchio a «cogliere lo spirito dell’estate» mentre gli altri «non sono riusciti a disegnare vestiti estivi e hanno sentito la necessità o la pressione di “elevare” qualsiasi cosa».
– Leggi anche: La moda contemporanea in Italia la fa SUNNEI
Gucci
È stata la terza sfilata di abbigliamento da donna del direttore creativo Sabato De Sarno e i critici l’hanno considerata la sua migliore finora. Le precedenti non avevano convinto molto, per alcuni erano troppo commerciali e avevano un’identità poco chiara; questa è sembrata più risolta e ha proposto abiti sexy, con molta pelle, lingerie e ispirati agli anni Sessanta. Ha ribadito l’idea di moda di De Sarno, che non è offrire un’idea di mondo ma vestiti che la gente ha voglia di indossare, e forse per questo non è piaciuta a critici che cercano nella moda un commento al presente come per esempio Friedman, mentre ha convinto altri per la bellezza dei capi.
C’erano molti accessori – il noto modello di borsa Bamboo, scarpe, gioielli, foulard, occhiali – con cui Gucci punta a rimpolpare le vendite un po’ in difficoltà, e molti cappotti, probabilmente il capo che De Sarno è più bravo a disegnare. La sfilata si è conclusa con le modelle che sorridevano, ballavano e cantavano sulla colonna sonora di Non voglio mica la luna della cantante Fiordaliso, trasmettendo anche così il messaggio gioioso e vitale della Gucci di De Sarno.
Altre cose interessanti
La collezione di Maccapani, il marchio fondato un anno fa da Margherita Missoni, è stata presentata in una palazzina, immaginando un mondo in cui un gruppo di amiche trentenni si ritira a vivere insieme, dipingendo, ascoltando musica, facendo puzzle e leggendo pigramente libri a letto. I vestiti sono pensati per affrontare la vita di ogni giorno, dal portare i figli a scuola ad andare a una cena elegante, e sono comodi e con tessuti fatti in Italia. Le scarpe e le borse sono state scovate da Missoni su eBay all’interno di una collaborazione: il sito ospiterà anche una sezione curata da Missoni con oggetti e accessori vintage trovati su eBay. Il marchio sta crescendo velocemente e ha ricevuto anche un investimento da Marco Bizzarri, l’ex amministratore delegato che contribuì a rilanciare Gucci scegliendo come direttore creativo Alessandro Michele nel 2015.
È piaciuto come sempre il lavoro di Marco Rambaldi, con modelle e modelli dai corpi reali e ben lontani dai canoni estetici dominanti (cioè donne altissime, magrissime, spesso caucasiche).
Ha sorpreso la collezione di Versace, non sexy e provocatoria come al solito, ma ispirata agli anni Settanta e in particolare alla collezione per l’estate 1997 di Versus, la linea disegnata da Donatella Versace, anche se a molti ha ricordato i motivi di Missoni. Ferragamo ha proposto una collezione ispirata alla danza classica (il balletcore, una tendenza che sui social ha successo da un po’) con molte scarpe che si legano alla caviglia con nastri di seta e grandi borse che ricordano i borsoni con cui le ballerine vanno a lezione.
Dolce & Gabbana ha disegnato una collezione ispirata alla popstar Madonna, presente tra il pubblico, e ha riproposto il famoso reggiseno a cono inventato per lei dallo stilista francese Jean-Paul Gaultier. Il direttore creativo di Roberto Cavalli, Fausto Puglisi, ha ricordato il fondatore dell’azienda, morto ad aprile, e ha chiuso la sfilata con sette supermodelle a lui care (Mariacarla Boscono, Alek Wek, Isabeli Fontana, Natasha Poly, Joan Smalls, Karen Elson ed Eva Herzigova) che indossavano vestiti degli anni Duemila e che hanno invitato a unirsi a loro l’ex seconda moglie di Cavalli, Eva Düringer.
Fendi, infine, ha festeggiato i suoi 100 anni con una collezione che ha reso omaggio all’archivio e agli anni Venti, in cui il marchio fu fondato, e agli anni Novanta, quelli del grande successo commerciale. Le modelle sfilavano su una colonna sonora in cui Silvia Venturini Fendi, direttrice creativa della linea maschile e degli accessori, parla di moda con la madre Anna, figlia di Adele, che aprì il primo negozio Fendi a Roma, nel 1925. I gioielli sono stati disegnati da Delfina, figlia di Silvia, mentre le borse, come sempre, da Silvia, l’inventrice del famoso modello Baguette. Ad alcuni critici la sfilata è piaciuta, altri invece l’hanno ritenuta troppo simile allo stile di Miu Miu, il marchio per le ragazze disegnato da Miuccia Prada.