Reform UK sta provando a diventare un partito vero
Nigel Farage ha fatto approvare un nuovo statuto, i tesserati sono più di 80mila e stanno aprendo sedi locali, ma i toni restano un problema
Lo scorso fine settimana a Birmingham c’è stata la convention di Reform UK, il più recente e fin qui di maggior successo partito populista guidato da Nigel Farage. Farage ha fatto approvare un nuovo statuto che, pur lasciandogli la leadership e il controllo di Reform UK, ne modifica significativamente l’assetto, rendendolo più simile a quello dei partiti britannici tradizionali, Laburisti e Conservatori. Questo passaggio, secondo Farage, costituisce l’«ingresso nell’età adulta» per Reform UK, che ora cercherà di darsi una struttura più organizzata e soprattutto di radicarsi a livello locale.
In sintesi, Farage vuole che Reform UK non abbia gli stessi limiti del Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (UKIP), che negli anni prese milioni di voti e fu determinante per Brexit ma si distinse per una classe dirigente estremista e perlopiù impresentabile, senza mai riuscire a fare il salto di qualità ed evolversi. Reform UK non si distanzia granché dall’ideologia dello UKIP, ed è stato evidente durante la convention, ma ha due cose che quel partito non ha mai avuto: maggiori risorse economiche e uno spazio politico da riempire, dovuto principalmente al momento di debolezza che stanno attraversando i Conservatori.
A Birmingham Farage ha insistito sulla necessità di «professionalizzare e democratizzare il partito». Il nuovo statuto dovrebbe servire proprio a questo, anche se il primo aspetto prevale sul secondo. Farage ha parlato di «cedere il controllo ai membri», che sono diventati più di 80mila: un numero di tesserati superiore a quello dei Verdi e molto vicino a quello dei Libdem, considerati da decenni il terzo partito del bipolarismo britannico.
Il precedente assetto di Reform UK era simile a quello di una start-up, con la maggioranza delle quote detenute dallo stesso Farage (60 per cento) e le restanti da Richard Tice, uno dei cinque deputati fatti eleggere a luglio. Con il nuovo statuto, Farage e Tice non saranno più i proprietari e il partito diventerà un’organizzazione senza scopo di lucro.
Gli iscritti eleggeranno un comitato direttivo, ma i media britannici hanno notato che il loro potere effettivo sarà scarso: potranno votare per sfiduciare il leader (cioè Farage) solo se la mozione sarà prima stata sostenuta da metà dei tesserati o da 50 deputati (come detto, oggi Reform UK ne ha cinque). È prevista una soglia diversa – pari a metà del gruppo parlamentare – solo qualora il partito avesse più di 100 deputati. Anche in questo caso, i tesserati non potrebbero sfiduciare direttamente il leader: la mozione si tradurrebbe in una richiesta al direttivo di destituirlo.
I cinque seggi alla Camera dei Comuni, la camera bassa britannica, comunque hanno consentito a Reform UK di accedere a circa 376mila sterline (quasi 450mila euro) dei fondi pubblici erogati ogni anno ai partiti che hanno almeno un deputato. Anche grazie a queste risorse, il partito sta assumendo dirigenti regionali e funzionari a cui affidare una selezione dei candidati più rigorosa: uno di loro è Jack Aaron, un ex candidato di cui si parlò molto per un post ambiguo su Adolf Hitler. Farage ha anche detto che sono state già aperte o apriranno a breve sedi locali in 266 collegi elettorali, su 650 totali.
Nonostante le ambizioni da grande partito, questa prima convention ha avuto un programma poco convenzionale, senza i moltissimi panel ed eventi laterali che caratterizzano quelle di Laburisti (in corso a Liverpool fino a mercoledì) e Conservatori (a Birmingham dal 29 settembre al 2 ottobre). Di fatto, è stato notato da un inviato del Times, la mattina non c’erano interventi rilevanti, i discorsi dei leader si sono concentrati al pomeriggio, poi brindisi e feste dalle 17 in poi.
Diversi interventi dal palco hanno avuto toni xenofobi, quando non sono state citate direttamente teorie del complotto care all’estrema destra. Per esempio, il deputato Rupert Lowe ha sostenuto che durante la pandemia il governo abbia «inflitto un vaccino sperimentale a milioni di persone». Su questo, secondo BBC News, Reform UK rischia di ereditare uno dei problemi dello UKIP: «un esercito di sostenitori entusiasta ma spesso indisciplinato e candidati con l’abitudine di dire sui social media cose razziste o semplicemente bizzarre».
La cosa si è vista sull’immigrazione, uno dei temi su cui il partito ha puntato di più. Farage, che aveva passato la campagna elettorale a parlare di «invasione» e «D-Day al contrario», ha provato a correggere un po’ il tiro: «Non ci importa il colore della pelle, ma che [le persone migranti] condividano i valori di questo paese».
Prima di lui Tice aveva parlato invece della «necessità di salvare il paese», mentre il segretario del partito Zia Yusuf, che è figlio di immigrati dallo Sri Lanka, diceva che «i valori britannici sono sotto attacco».
Anche secondo la rivista New Statesman, Reform UK è a un bivio: «Il suo personale si è lasciato alle spalle il dilettantismo che affliggeva lo UKIP. Ha soldi e ha una strategia imprenditoriale da parte del segretario Yusuf […]. Comunque, anche se in crescita [nei consensi], le sue idee pigre e riciclate dovranno crescere insieme con il partito se vorrà mai provare ad adempiere all’imperativo nel suo nome» (di riformare il Regno Unito).
Farage ha detto ironicamente che Reform UK dovrebbe ispirarsi ai Libdem per radicarsi nel paese e soprattutto attrarre donazioni: tra aprile e giugno ha ricevuto solo 2,6 milioni di sterline (più di 3 milioni di euro), un decimo di quanto hanno preso i Laburisti. I suoi partiti precedenti – lo UKIP e il Brexit Party – erano molto forti in Inghilterra, ma poco nelle altre nazioni che formano il Regno Unito. Il prossimo passo, secondo i media, sarà cercare di investire in Galles e in Scozia, dove per ragioni diverse Reform UK potrebbe andare bene.
In entrambe le nazioni si vota nel 2026. Nel frattempo, Farage dovrà anche convincere gli elettori di aver preso seriamente il suo lavoro da deputato: è stato criticato perché è già andato tre volte negli Stati Uniti, a sostenere la campagna del suo amico Donald Trump, ma non si è fatto vedere tanto spesso a Clacton, il collegio che rappresenta alla Camera dei Comuni.
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