Il nuovo governo francese non rispecchia il risultato delle ultime elezioni
È formato da ministri macronisti e del partito Repubblicano (di destra), e ha escluso esponenti del Nuovo Fronte Popolare (di sinistra) che aveva vinto a luglio
Sabato sera è stato infine nominato il nuovo governo francese guidato dal primo ministro Michel Barnier, formato da 39 ministri e segretari di Stato. Il governo è molto più a destra di quanto il presidente Emmanuel Macron avesse promesso quando parlava della necessità di arginare l’ascesa dell’estrema destra e chiedeva di creare un “fronte Repubblicano” con le altre forze politiche del paese. Questo aspetto è molto commentato oggi dai giornali nazionali, che criticano Macron per non avere nominato un governo che rispettasse l’esito delle elezioni legislative dello scorso luglio, vinte dal Nuovo Fronte Popolare (coalizione di forze di sinistra), e di avere permesso al Rassemblement National di Marine Le Pen (destra radicale) di stare in una posizione di forza.
Tra le altre cose, il politologo francese Vincent Martigny ha detto a Le Monde che è un governo che proviene dal passato e che rappresenta la «vecchia Francia».
Il nuovo primo ministro francese è Michel Barnier, ex capo dei negoziatori europei per Brexit e che durante le primarie presidenziali del 2022 espresse opinioni molto contrarie all’immigrazione. Barnier fa parte del partito di destra dei Repubblicani, che nel nuovo governo ha ottenuto dieci ministeri, compresi quelli importanti dell’Interno, dell’Agricoltura e dei Territori d’oltremare. Il profilo dei Repubblicani, dice Le Monde, «sta resuscitando la cosiddetta destra “fillonista”» che prende il nome dall’ex primo ministro di Nicolas Sarkozy, François Fillon, candidato senza successo alle elezioni presidenziali del 2017.
È una destra cattolica e conservatrice, incarnata dal nuovo ministro dell’Interno Bruno Retailleau, capogruppo dei Repubblicani al Senato e noto per le sue posizioni rigide sull’immigrazione e i diritti civili. Nel luglio del 2023, a proposito dei giovani con origini migranti, Retailleau si diceva preoccupato di una «regressione» della Francia «verso le origini etniche» delle popolazioni di migranti; nel febbraio del 2022 fece propria l’espressione xenofoba dell’estrema destra «Français de papier» («Francesi sulla carta») per parlare dei cittadini naturalizzati francesi in contrapposizione con coloro che sarebbero i «veri» francesi, i «francesi d’origine».
Diversi esponenti del nuovo governo sono poi apertamente schierati contro i diritti delle persone LGBT o delle donne: difendono dunque la cosiddetta «famiglia tradizionale» e sono contrari al matrimonio tra persone dello stesso sesso. Laurence Garnier (nuova segretaria di Stato responsabile del Consumo), ad esempio, fa parte della Manif pour tous, movimento contrario all’estensione del matrimonio civile alle coppie omosessuali, ha votato contro la criminalizzazione delle terapie di conversione (pratiche ampiamente screditate dalla comunità scientifica che pretendono di “curare” l’orientamento sessuale delle persone non eterosessuali) e contro l’inserimento del diritto all’aborto nella Costituzione.
L’ala sinistra di Renaissance, il partito di Macron, ha perso invece molta influenza, perché nel nuovo governo siedono rappresentanti dell’area macronista che provengono soprattutto dai Repubblicani. «Alla fine ci ritroveremo con un governo dell’UMP» ha riassunto il politologo Vincent Martigny facendo riferimento all’Unione per un Movimento Popolare di Nicolas Sarkozy di cui i Repubblicani sono gli eredi, aggiungendo: «È come se la politica avesse fatto un passo indietro. È come se nel 2012 avessimo immerso la questione dei diritti nella formalina e l’avessimo resuscitata oggi».
Un’altra questione molto discussa in questi giorni riguarda il fatto che il governo non rispecchia appunto il risultato delle elezioni: né i Repubblicani né il campo presidenziale, che ora governeranno insieme, avevano vinto le elezioni legislative del 7 luglio. Dopo il voto, la sinistra aveva chiesto a Macron di nominare un primo ministro che venisse dal suo schieramento, ma Macron si era detto da subito contrario.
Per certi versi la scelta di Macron non è stata comunque sorprendente. Da tempo infatti il presidente si era spostato a destra, sostituendo i ministri tecnici provenienti per lo più dalla società civile, che lui stesso aveva nominato dopo la campagna presidenziale del 2016, con personalità politiche provenienti o vicine alla destra.
Il nuovo governo dipende dal fatto che il Rassemblement National non si unirà a mozioni di sfiducia presentate dalla sinistra, che quindi non avranno voti sufficienti per passare. La sinistra ha definito la nomina di Barnier come una mossa fatta «con il permesso e forse su suggerimento del Rassemblement National», e qualche giorno fa il principale quotidiano di sinistra francese, Libération, aveva messo in copertina una foto di Barnier con la scritta: «Approvato da Marine Le Pen».
Nonostante il presidente di Rassemblement National, Jordan Bardella, abbia detto che il nuovo governo Barnier «segna il ritorno del macronismo» e «non ha futuro», il suo partito ha accolto positivamente la nomina (in più occasioni Barnier aveva detto di «rispettare» le idee del Rassemblement National). Marine Le Pen, ex presidente del partito, si è invece sbilanciata, definendo Barnier «una persona rispettosa delle diverse forze politiche» che non ha «mai ostracizzato» il suo partito.
Marine Le Pen, futura candidata alle presidenziali, intende dunque approfittare di questo ruolo senza precedenti all’interno dell’Assemblea Nazionale per aumentare la pressione sul nuovo governo che, a sua volta, dovrà promuovere misure apprezzate se non esplicitamente promosse dall’estrema destra, per restare in piedi. Questa situazione potrebbe essere sfruttata dal Rassemblement National anche per proseguire nella sua operazione di “normalizzazione” dell’immagine del partito, rendendola più rassicurante e credibile. È opinione diffusa che Marine Le Pen appoggerà il nuovo governo finché lo riterrà utile.
L’unico rischio che il Rassemblement National corre è quello di apparire come alleato di un esecutivo composto da partiti a cui finora si è sempre opposto. Ma all’interno del partito non sembrano esserci preoccupazioni, in tal senso.
C’è poi un precedente che potrebbe giocare a favore di RN: la contestata e dura riforma dell’immigrazione del 2023 presentata da Macron e votata da tutti i partiti di destra, compreso RN. In quel caso RN non solo aveva intravisto il possibile avvicinamento di alcuni dei suoi oppositori alle proprie posizioni più radicali, ma si era anche reso conto che la scelta di votare una legge proposta da Macron non era stata interpretata dai propri elettori in modo negativo: non era stata letta come l’offerta di una “stampella” al governo, ma come una vittoria strappata a quello stesso governo.